Vita di Esopo Frigio, prudente e faceto adulatore. Venezia, 1545.


Vita di Esopo Frigio,
prudente e faceto adulatore.

Tradotta e ornata dal
signor conte Giulio Landi.

Venezia, 1545
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Per collezionisti, libreria antiquaria
Venezia 1545 | Torino 1645 | Napoli 1865

Guglielmo Barucci,
Un (nuovo) «Esopo» cinquecentesco:
la «Vita di Esopo» del conte Giulio Landi

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La volgarizzazione della Vita di Esopo a opera di Giulio Landi (1545) è stata caratterizzata da una lunga fortuna che ne ha fatto l’introduzione biografica “ufficiale” per secoli alle favole. Nondimeno, la traduzione del Landi era nata come testo autonomo, come chiaramente attestato dal paratesto. La Vita può essere letta su tre diversi livelli (comico, politico, filosofico-religioso) che per essere compresi debbono essere ricondotti tanto all’ambiente piacentino, specie con l’ambigua accademia degli Ortolani, quanto all’intera produzione del Landi e alla sua rete intellettuale.

Cit. in: Carte Romanze 3/1 (2015): 223-77 – ISSN 2282-7447, Leggi il saggio completo

Note personali
di Federico Berti

Il testo risale a metà del XVI secolo, per la data e il luogo di pubblicazione potrebbe essere stato ragionevolmente fra le letture d’infanzia del giovane Giulio Cesare Croce, l’autore delle Sottilissime astuzie di Bertoldo, il quale aveva appena quattro anni quando il libro uscì. Lo stile e la lingua sono compatibili con il repertorio narrativo delle veglie e la descrizione del personaggio di Esopo Frigio sembra in molti tratti simile a quella del contadino crociano: il mitico schiavo della tradizione classica era infatti secondo alcuni un etiope, un ‘negro’, secondo altri un indoeuropeo proveniente dalle regioni più orientali dei Balcani, in ogni caso un uomo deforme all’aspetto, gobbo dalla voce sgraziata, ma che sapeva parlare bene essendo stato fra gli uomini più saggi del suo popolo. La stessa allegoria dello schiavo introdotto nella vita civile e ammesso alla pubblica assemblea, a patto di non esprimersi mai in modo diretto ma sempre attraverso facezie, aneddoti, destinato a morire per il fatto stesso di trovarsi in un ambiente non consono al suo stile di vita, lo accomunano all’operetta del cantastorie di San Giovanni in Persiceto. Il libro del conte Landi è molto godibile e ricorda in effetti anche la scansione degli episodi che poi tornerà nell’opera del Croce. Il luogo di pubblicazione dell’edizione originale è infatti Venezia, ma il professor Barucci fa notare un livello di lettura riconducibile all’ambiente piacentino e all’Accademia degli Ortolani; considerando che il Croce era nativo di San Giovanni in Persiceto nelle campagne del bolognese, a distanza di soli 150 chilometri da Piacenza lungo la via principale che collegava la maggior parte degli itinerari commerciali, la Via Emilia, è impensabile che l’autore del Bertoldo, cantastorie e suonatore ambulante, non fosse a conoscenza dell’operetta del conte Landi. Ciò rende questo testo di particolare importanza anche nella ricostruzione del repertorio familiare ai narratori popolari Emiliano-Romagnoli di allora.


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