La verità sul patto fra Stalin e Hitler
La verità sul patto
fra Stalin e Hitler
Facciamo chiarezza
Articolo di Federico Berti
Da ormai vent’anni diamo per scontata l’equiparazione del nazismo al socialismo. Tra le ragioni del confronto la responsabilità attribuita a Josif Stalin di aver stretto un’alleanza nel 1937 con la Germania nazista orientata alla spartizione dell’Europa Orientale, che secondo alcuni diede il contributo decisivo allo scoppio della Seconda guerra Mondiale. Tesi da contestualizzare, come vedremo. Il controverso patto Molotov-Ribbentrop non stabiliva un nuovo asse con l’Unione Sovietica ma una promessa di non aggressione. Per comprenderne il significato bisogna risalire al programma del partito nazista e alla teoria dello spazio vitale di cui si parla nel Mein Kampf. Questa Lebensraum era solo un primo passo verso la politica espansionistica d’un popolo che si riteneva destinato alla conquista del mondo, che implicava naturalmente anche la sottomissione dell’Unione Sovietica essendo tra i compiti del partito nazista proprio quello di salvare l’Europa dal bolscevismo: in una prospettiva di guerra totale come questa, la firma del patto di non aggressione non si poteva prendere sul serio, non a lungo termine almeno, ma doveva consentire al popolo russo il tempo necessario a prendere qualche precauzione in più in vista dell’inevitabile invasione, che puntuale avvenne due anni più tardi.
L’Unione Sovietica aveva previsto il pericolo nazista molto prima delle altre potenze europee, per questo negli anni ’30 il partito aveva intrapreso un rapido processo d’industrializzazione, sfruttamento delle risorse minerarie, colonizzazione delle regioni ancora scarsamente abitate nella Siberia orientale, miglioramento nelle comunicazioni e naturalmente risoluzione dei conflitti interni che portavano il segno della guerra civile. Il paese usciva da oltre un decennio di estenuanti guerre e la sua economia com’è noto era basata s’un modello quasi feudale, bisognava provvedere alla riorganizzazione dell’economia, della produzione, industrializzare un paese ancora arretrato, costruire le necessarie infrastrutture. Il patto Molotov-Ribbentrop è in sintesi la conseguenza d’una politica di Appeasement che l’Europa aveva messo in atto per rimandare il più possibile l’inizio della guerra, esautorata di fatto la Società delle Nazioni con le guerre coloniali intraprese da Italia e Germania verso la metà degli anni ’30 non restavano che le trattative dirette.
Accusare Stalin di un’alleanza occulta con Hitler è antistorico, significa ignorare sia la compartecipazione della ricca borghesia inglese, francese, americana, nel finanziamento al partito nazista e nella dissoluzione della repubblica di Weimar, sia l’ineluttabilità d’un conflitto annunciato fin dai primi discorsi del Fuehrer. Non è in discussione la moralità o l’etica di un accordo che ha tutto l’aspetto d’un provvedimento strategico e pragmatico, ma la sua valutazione obiettiva nel quadro della politica internazionale, tenendo presente che nessun trattato venne mai rispettato e questo la dice lunga sul valore da attribuirvi. Del resto sia il Duce che il Fuehrer vennero invitati alla Conferenza di Monaco per firmare un documento in cui si riconosceva alla Germania l’annessione dell’Austria e della Cecoslovacchia. Insieme a lui, i rappresentanti di Francia e Inghilterra ratificarono l’atto. L’Unione Sovietica, poiché non riconosciuta come stato dalle nazioni, non era stata invitata e dovette provvedere a cercare accordi individuali. Non si comprende per quale motivo dovremmo accusare Stalin di collaborazionismo con Hitler e non la Società delle Nazioni di aver trattato con la Germania nazista. Due pesi, due misure?
Questo naturalmente non vuol dire che dovremmo inneggiare allo stalinismo, che ebbe senza dubbio il merito di vincere la guerra ma anche il demerito di sacrificare all’accentramento del potere nelle mani di una ristretta oligarchia le menti migliori del partito. Stalin è morto in gloria, ma lasciò un paese ridotto a un’entità in cui la burocrazia aveva ormai soffocato l’ideologia, impedendo la transizione verso la fase successiva del progresso verso il socialismo. Questo lo sappiamo, è inutile ripeterlo. Ma non dobbiamo per questo indulgere al revisionismo, all’antistoricismo, a un’irrazionale demonizzazione di tutto quello che avvenne tra la morte di Lenin e quella di Stalin. O peggio, equiparare, come ha fatto l’Europa con la risoluzione del 2019 e l’Ucraina con quella del 2015, il nazismo al comunismo. Furono due realtà completamente diverse, che commisero errori diversi nel perseguire due opposte visioni del mondo.