Vagabondo! La dolce vita di strada. Memorie d’un saltimbanco Ep.20


“Mi aggiro in silenzio nel labirinto spettrale dei vicoli senza incontrare anima viva, nemmeno i satiri danzanti di piazza San Francesco si vedono per le strade”. Nella foto, Perugia, corso Vannucci

Vagabondo!

Framm.XX

Commento musicale
Nomadi, “Io Vagabondo”
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LA DOLCE VITA
DI STRADA

S’è fermato al tavolo della birreria col suo carretto zaino in spalla e pennello da barba appeso fuori ad asciugare, guardalo come scoppia di salute bello elegante con quella camicina stirata e le scarpe lucide fibbia d’argento, si fa presto a dire vagabondo quello si vede ha studiato mangia in trattoria mica sulle panchine, legge studia prende appunti disegna nei bar di lusso. Ora te lo voglio dire hai proprio una gran faccia da figlio di papà… Lo sai quanto devo lavorare per sedermi a quel tavolo? Dodici ore ogni santo giorno in mezzo a quei pezzenti, nemmeno un minuto per pisciare. Ma vai a lavorare! Guardo negli occhi il giovane imprenditore abbronzato coll’orologio astronomico e il telefonino, che negli anni ’90 se lo potevano permettere mica tutti. Ascolto divertito, penso al mio cellulare e al computer portatile colla tesi di laurea dentro che mi porto sempre dietro pure al cesso. Un lusso pure quello. Solo che io il computer lo adopero come cuscino ai giardini della scala mobile “Sai che ti dico? Hai proprio ragione. Cosa bevi?”. Rispondo. “Stasera pago io”.

Siamo simili noi due, in fondo. Ti odio, ma ti amo perché sei tutto ciò che non voglio diventare, mi basta guardarti in quella faccia da straccione ripulito colle scarpe di vernice sotto il Denim strappato di marca fine. Non glie lo dico, preferisco ascoltare. Ha un sacco di storie inverosimili quel figlio di buona donna, per lo più mi parla di quelle bestie che spinge avanti a frustate nella sua fabbrica di materiali elettrici, le chiuderebbe tutte dentro e gli darebbe fuoco se potesse. Lui non è cattivo, sono loro che lo fanno arrabbiare. Peccato s’è fatto tardi, Perugia il muro di folla ormai disperso le famiglie vanno a letto e i vitelloni scendono da basso nel prato di San Francesco al bongo party dove resteranno fino all’alba, quando quei poveri cristi dei netturbini verranno a raccogliere le lattine vuote, le sigarette e quelle vomitevoli montagne di merda seminate qua e là dai più intraprendenti. Vorrei stendermi un po’ a dormire ma il giardino di ieri promette poco bene. Brutte facce, suoni inquietanti, pessimi odori. Ho sonnecchiato un paio d’ore dietro il bancone della birreria, ma quei tamburi mi rimbombano dentro come cannonate. Mi alzo, raccolgo le mie cose.

Col carretto a mano risalgo il lastricato vado a cercarmi un altro posto godendomi il fresco d’una piacevole serata estiva. Dolce vita di strada, vent’anni passano presto tanto vale goderseli. Mentre penso queste cose non m’accorgo che il cielo s’è oscurato, la luna scompare dietro una massa di nuvole che non vedono l’ora di azzuffarsi nell’immensità della notte. La temperatura è scesa, fa freddo. Non so dove fermarmi, continuo a camminare e penso a un documentario sui pesci che davano l’altra mattina in caffetteria: lo squalo deve nuotare in continuazione, non può mai fermarsi o muore soffocato. Per questo ha sempre fame. Uno squalo, mi dico. Non può mai fermarsi. E’ freddo. Portoni chiusi, luci spente alle finestre.

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perugia di notte

“Col mio carretto a mano risalgo il lastricato vado a cercarmi un altro posto godendomi il fresco d’una piacevole serata estiva.
 Dolce vita di strada”
. Nella foto: Perugia di notte

LA CITTA’ SOMMERSA

Un lampo, un tuono e scoppia il finimondo. L’acqua rovescia nelle strade le figlie di Nettuno, il vento solleva i sassi dei giardini  e li scaglia contro le insegne dei negozi. Non ho tempo di guardarmi intorno, devo proteggere gli strumenti musicali, l’amplificatore, la borsa coi vestiti. Ho tutto il mondo sulle spalle, ma non trovo un riparo. Spingendo sempre a mano la cassa da morto riesco a infilarmi sotto un albero, che frena un poco l’impeto ma non trattiene l’acqua. Vedo i tavoli di un’osteria accatastati uno sull’altro, assicurati con le catene perché nessuno li porti via, provo a incastellarli come carte da gioco ma non basta, il vento s’infila dappertutto e le sirene ululanti vengono a mordermi l’orecchio. Stendo il sacco a pelo impermeabile sul carretto per limitare danni all’equipaggiamento e resto qualche minuto nella posizione del fenicottero sperando che passi. Macché. L’uragano continua a infuriarmi intorno, vestiti bagnati mi si raffreddano addosso, devo muovermi. Uno squalo. 

Davanti a me la cabina del telefono illuminata, come in un fumetto apocalittico m’infilo dentro e inizio a liberarmi dei panni inzuppati dall’acqua, mentre sono là in mutande col culo per aria che frugo nello zaino alpino, sento le trombe del giudizio… O meglio una sola tromba, il clacson d’una macchina. Scopro che la cabina era proprio davanti al semaforo, e che il semaforo in quel momento è rosso. Se la racconto non mi crede nessuno, penso. “Vagabondo, vai a lavorare!”. Sentitamente ringrazio per il prezioso consiglio, in questo momento ne avevo davvero bisogno. Mi vesto in fretta e trovo rifugio sotto un’edicola dei giornali a pochi metri dal mio improvvisato castello di carte. Sono le quattro del mattino, la pasticceria di fronte apre alle sei e mezzo. Pazienza, aspetterò. Ho imparato a dormire anche s’un piede solo e con un occhio aperto, ma ora il freddo vien da dentro e dove tocco prendo la scossa. Mi sento un parafulmine. Dolce vita di strada. Un vecchio squalo tra le rovine di Atlantide. Perugia, la città sommersa.

Smette di piovere finalmente, riprendo il carretto dell’allegria e mi aggiro in silenzio nel labirinto spettrale dei vicoli senza incontrare anima viva, nemmeno i satiri danzanti di piazza San Francesco si vedono per le strade. Sono la morte che vaga per un cimitero colle tombe al neon. Si spengono le luci, schiarisce l’oscurità ma l’alba non viene ancora. All’improvviso vedo uscire del fumo da un cortile, mi sembra un sogno. Gli operai stanno bruciando non so cosa, mi avvicino e siedo al calore delle fiamme. Nemmeno il fuoco arriva a scaldarmi dentro. Quel giorno ho perduto l’innocenza, fu allora che vidi per la prima volta il vecchio Caronte farmi l’occhiolino da una rivista di annunci. Vendevano un camper. Vagabondo! Pensai. Chi ha molti soldi vive come un pascià, e a piedi caldi se ne sta.

Continua:
Framm.XXI
“Il pavone fa la ruota”


artisti di strada gigi russo
Pagina del famoso organizzatore

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