Guerra e disinformazione in Siria. Il caso di Eva Bartlett.

EVA BARTLETT SYRIA
La giornalista canadese Eva Bartlett è stata oggetto di polemiche per la sua attività d’informazione da reporter ‘embedded’ dietro le linee del governo siriano.

IL CASO DI EVA BARTLETT

Articolo di Federico Berti

FAKE NEWS

La riflessione sul giornalismo ‘non embedded’ e sul problema della verità, la sostanziale risoluzione dell’informazione nel rituale narrativo, porta alla necessità di applicare alle notiie che leggiamo sui giornali lo stesso metodo che avevamo sperimentato nello studio delle fiabe popolari, di conseguenza alla prima fra tutte le domande, ovvero chi stia raccontando cosa e perché. Parlando del caso di Eva Bartlett dunque, il primo passo non potrà essere che una raccolta d’informazioni sul conto dell’informatore, per capire quali siano le sue ‘scelte’ e se ci sentiamo di condividerne posizioni, presupposti, prospettive

Dalla recente conferenza stampa della giornalista canadese, che ha denunciato alle Nazioni Unite uno uso sconsiderato della propaganda nel blocco Nato rispetto allo scacchiere siriano, ha avuto inizio una vera e propria campagna diffamatoria volta a screditare non tanto l’idea, quanto la persona che la porta. Questa campagna è per noi occasione d’imparare a riconoscere un attacco personale e neutralizzarlo.

TESTO E CONTESTO

Uno dei limiti del giornalismo da ‘citizen reporter’ tanto in voga al giorno d’oggi è nell’incapacità di contestualizzare le notizie, tendiamo a isolarle dal quadro complessivo dei fatti dimenticando che ogni punto vista va messo in relazione con molti fattori. La dottoressa Bartlett è cittadina canadese, il Canada è da almeno tre anni ostile alle missioni in Siria e Iraq, ha aperto recentemente i suoi confini a più di 25000 profughi siriani e intrapreso una politica interna d’integrazione che ha avuto notevole riverbero mediatico. Il primo ministro Justin Trudeau ha insistito in modo particolare sui valori della tolleranza in seguito all’attacco avvenuto in una moschea nel Quebec, ribadendo con ciò una posizione liberale fondata sulla tolleranza religiosa e l’incontro che già nel mandato di suo padre aveva gettato le basi per un atteggiamento diverso rispetto al pluralismo culturale.

Il giovane premier canadese ha del resto scelto un profugo dalla Somalia come ministro dell’immigrazione, contrapponendosi in questo alla politica protezionistica e isolazionistica dei vicini Stati Uniti; interrogato sul pericolo di attentati terroristici nel suo paese, ha annunciato di temere molto di più l’eversione interna del radicalismo di estrema destra. Fin dall’insediamento al governo canadese nel 2015, Trudeau ha dichiarato di voler ritirare le proprie forze armate dai quadri di guerra in Siria e in Iraq. Continuano le sanzioni al Venezuela e la discriminazione dei nativi americani, ma sul Medio Oriente il Canada annuncia di voler fare molti passi indietro e una ventina di giorni fa ha dichiarato di non voler partecipare alle future azioni di guerra sul territorio siriano. Scrivo queste cose per chiarire l’ambiente culturale da cui proviene la giornalista Eva Bartlett, di cui tanto si parla in queste settimane: la sua posizione ostile alla guerra in Siria non è isolata, né occasionale. Se consideriamo che il Canada è pur sempre un paese del blocco Nato, questa esplicita contrapposizione tra il liberale Trudeau e il liberista Trump non si può liquidare con una semplice campagna diffamatoria. Dietro l’attivista, c’è un orizzonte più ampio.

 

RITRATTO DELL’AUTORE

Non sono riuscito a ricostruire la sua età anagrafica, ma nella biografia da lei stessa indicata risulta attiva dal 2007 come osservatore in Medio Oriente, dichiara di aver vissuto a Gaza nel triennio 2008-2013 per documentare quelli che in molti hanno denunciato come crimini di guerra israeliani; sette viaggi in Siria nel triennio 2014-2017 nelle zone liberate di Aleppo, Homs, al-Waer, Madaya, al-Tall, Damasco, Palmira. Come giornalista free lance ha collaborato con numerose riviste internazionali e ricevuto l’anno scorso l’International Journalism Award, dal Mexican Press Club. Ha pubblicato i suoi articoli sul Mint Press, un giornale con sede a Minneapolis negli Stati Uniti in collaborazione con movimenti come Shadow Proof, Truth Out, Common Dreams, Media Roots, War Is A Crime, Occupy e altri. Per chi non li conoscesse, parliamo di David Swanson nominato per tre anni di seguito al Premio Nobel per la Pace, la street artist Abby Martin di Los Angeles, Craig Brown curatore della campagna per il repubblicano Tom Andrews, non è insomma una voce isolata la sua, ma lavora in rete con diversi movimenti vicini all’area libertaria, da dieci anni in prima linea nei territori di guerra con una presenza particolarmente attiva in Medio Oriente, nello specifico Israele e Siria. Non si deve quindi valutare il suo punto di vista come il capriccio di una giovane free-lancer innamorata di Bashar al-Assad, ma come una militanza costante in relazione con testate da ogni parte del mondo, tra cui proprio Stati Uniti e Canada.

LE FONTI PRIMARIE

Comprendo lo smarrimento che si può provare di fronte all’ossessione delle fake news, quando per esempio venne smentito qualche anno fa il video della presunta decapitazione del giornalista Jack Foley, propagandato dal governo degli Stati Uniti e finito in prima pagina sulle maggiori testate internazionali, molti lettori si sentirono sgomenti, non sapevano più a chi credere. Tuttavia guardando con attenzione i video girati a Gaza e in Siria dalla giornalista canadese, noteremo innanzi tutto che diversi testimoni hanno un nome e un cognome, alcuni sono personaggi pubblici, altri sono persone comuni, talvolta passanti, tassisti, negozianti, nei servizi di Eva Bartlett non si vedono immagini catturate da anonimi cittadini ma interviste girate proprio da lei, nelle quali si sente fuori campo la sua stessa voce di intervistatrice. La stessa ambientazione è riconoscibile, cosa vuol dire questo? Che l’agenzia per cui ha realizzato il servizio ha avuto la possibilità di verificarne il contenuto, c’è la sua firma e dunque lei si assume la responsabilità di quella produzione. Padre Giovanni, Madre Agnes Mariam, la giornalista Vanig Konjan, sono persone di cui possiamo verificare l’identità. Ma non basta, un altro particolare deve lasciar riflettere chi guarda i video e legge i reportage di Eva Bartlett, ed è che non si trova mai a filmare nei territori controllati dalle forze d’occupazione, bensì dalle regioni liberate. Un dettaglio da non trascurare, quel che lei riprende è pubblico.

LA COERENZA INTERNA

Dopo aver collocato la persona di Eva Bartlett nel suo ambiente culturale, aver letto il suo curriculum, tracciato un quadro dei suoi collaboratori e dell’ambiente intellettuale in cui si muove, dopo aver letto i suoi servizi e guardato i suoi video, possiamo tornare alle accuse che le vengono mosse svolgendo lo stesso tipo di contestualizzazione sulle fonti da cui proviene l’accusa, per esempio il milanese ‘Blitz Quotidiano’, diretto da Marco Benedetto, già amministratore delegato del gruppo editoriale ‘Espresso’ per 24 anni, lo stesso che in gioventù ha diretto l’ufficio stampa della Fiat. Scrivo questo solo per contestualizzare la fonte, visto che l’articolo sulla Bartlett è firmato semplicemente ‘Redazione Blitz’  e rimanda a un articolo di Mirko Bellis pubblicato su Fan Page, senza dare nessuna informazione biografica, né indicare le numerose collaborazioni internazionali, ovvero il quadro in cui la sua attività viene ad articolars

Veniamo al contenuto dell’accusa, in primo luogo la giornalista canadese non ha mai parlato di ‘complotto’ dei media ma piuttosto di propaganda nazionale che è l’esatto opposto: la cospirazione avviene nell’ombra, il controllo dell’informazione è istituzionale. La Bartlett viene accusata di aver mentito sui Caschi Bianchi, la cui presenza risulterebbe secondo la redazione di Blitz ampiamente documentata in Siria: lo è infatti, ma nelle zone controllate dai ribelli e non in quelle liberate, dove nessuna di queste organizzazioni internazionali sembra aver mai documentato una presenza stabile. Sono i territori dove lei ha svolto l’attività di ricerca e documentazione, per l’appunto. Save the Children è un’organizzazione apertamente finanziata dal governo di Tony Blair, lo stesso che partecipò con George Bush ai bombardamenti in Iraq causando la morte di mezzo milione di bambini. L’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani avrebbe secondo Fanpage.it una rete di testimoni sul territorio siriano, ma la realtà è che nessuno di questi risulta essere mai stato identificato in alcun servizio d’informazione, quei referenti locali non hanno per noi un nome e un cognome, ragioni per cui anche in presenza di una rete dovremmo piuttosto considerarli agenti ‘segreti’, nel senso letterale di ‘non manifesti’. Si può obiettare che il nome venga omesso quando l’informatore possa incorrere in problemi se la sua identità venisse rivelata, del resto è proprio quello che intendiamo noi per agente ‘segreto’: se non puoi nominarlo, non è più un osservatore internazionale ma una spia.

In buona sostanza, il primo problema che s’incontra nel labirinto della disinformazione è identificare il narratore, come avevamo fatto studiando il retroterra storico dei fratelli Grimmi, le motivazioni di Perrault e le sue relazioni con il pensiero illuministico, Giovan Battista Basile e i suoi rapporti con le accademie rinascimentali, con la cabala degli ebrei spagnoli, con i giullari e commedianti dell’arte. Se vogliamo capire chi ci sita raccontando cosa e perché, dobbiamo per prima cosa domandarci, nel leggere qualsiasi articolo, nel valutare un’immagine o una sequenza video, l’identità e la posizione di chi la porta.

VALUTAZIONE PROVVISORIA

Tornando al caso di Eva Bartlett, l’unica evidenza al momento documentabile è che abbiamo due punti di vista in netta contraddizione, il primo è legato a un movimento di attivisti internazionali di cui posso risalire a nomi e cognomi senza difficoltà, la seconda posizione è più vicina a quella istituzionale di un’Italia inquadrata nel patto Atlantico, che non ha preso direttamente parte al bombardamento di Damasco ma ha offerto le sue basi militari per le operazioni. Quest’ultima non riporta fonti identificabili, si limita a ribadire la versione tuttora indimostrata di una guerra civile in Siria. Come lettore medio non posso confermare o smentire le affermazioni di Eva Bartlet sulla guerra in Siria, ma posso smentire la coerenza interna delle accuse che le vengono mosse collegando il risultato di questa valutazione alle mie precedenti indagini a riguardo. La campagna diffamatoria a carico dell’attivista canadese viene dunque a ribaltarsi, con questo ovviamente non si vuole accusare di menzogna consapevole né Blitz Quotidiano, né tanto mento Fanpage, non ho dubbi sulla loro buona fede, ma quest’accusa a Eva Bartlett non è coerente con il presupposto da cui parte. Non possiamo sapere se Bashar Al Assad sia un feroce tiranno, ma sappiamo quantomeno chi lo appoggia e perché, quali sono gli amici dei suoi amici, le motivazioni di chi lo sostiene e la professionalità di chi lo affianca. Alla narrazione della notizia, abbiamo affiancato la nostra narrazione sul narratore, uno degli strumenti più potenti di cui il nostro buon senso può e deve disporre per trovare una via d’uscita dal labirinto.

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