Trilussa contro Maciste. Satira, poesia. Sonetti romaneschi.
Trilussa contro Maciste
Satira, poesia. Sonetti romaneschi
di Federico Berti
Trilussa annava a spasso co’r bastone
a’n certo punto je se para ‘nnante
un pezzo d’omo co’ du’ spalle tante
e’r manganello appeso a li carzone.
‘O vòle pia’ dde petto quer gigante
dice: “Vie’ qua te dò ‘no sganassone!”
quell’artro bbòno bòno ‘n ze scompone
je sputa’n faccia e grida: “Lestofante!”.
Vent’anni è ‘nnata avanti ‘sta manfrina
‘gni tanto ‘no strillaccio c’aa mossa
‘na sputarella su’a barba fina
Maciste che je fa ‘aa voce grossa
quello risponne c’aa battutina
Pasquino s’arivòrta ‘nd ‘aa fossa
Glossario
romanesco
Annava: andava
Co’r: con il
A’n: a un
Je: gli
Se: si
Innante: davanti
Omo: uomo
Co’: con
Du’: due
E’r: e il
Carzone: calzoni
‘O vòle: lo vuole
Pia’ de: prendere di
Quer: quel
‘No sganassone: uno schiaffo
Artro: altro
Bbòno: buono
‘N ze: non si
Se scànza: Si scansa
‘Nnata: andata
Manfrina: schermaglia
‘Gni tanto: ogni tanto
C’aa: Con la
‘Na sputarella: uno sputo
Su’a: sulla
Risponne: risponde
S’arivorta: si rivolta
‘Nd ‘aa: nella
TRILUSSA E IL ‘RUGANTINO’
Questa poesia dà il titolo a una raccolta di satire e pasquinate in dialetto romanesco, di cui stai seguendo probabilmente le trasmissioni da qualche mese. Il titolo riprende topoi di ‘blissettiana’ memoria, penso al classico Totò, Peppino e la guerra psichica, testo fondamentale per capire il situazionismo degli anni ’90, nel quale mi sono formato intellettualmente e artisticamente. Trilussa in questo breve componimento satirico viene chiamato in causa come rappresentante di quella poesia ‘borghese’ che si ispira alla cultura popolare, saccheggiandola a piene mani senza farsi mai portavoce delle classi più esposte. Trilussa infatti aveva mosso i primi passi come autore di poesie e satire in dialetto romanesco, scrivendo per il ‘Rugantino’, un foglio nato nel 1848 ai tempi del primo governo rappresentativo concesso dallo Sato Pontificio. Un giornale che aveva attraversato prima del suo arrivo momenti difficili a causa delle prese di posizioni apertamente repubblicane e anticlericali. Quei fogli erano in un certo senso un’evoluzione dei bigliettini appesi alle statue per farle parlare, di cui ho scritto in questo articolo. La nuova borghesia si stava emancipando sia dall’aristocrazia che dal clero, poteva disporre di più mezzi e soprattutto, non doveva più nascondersi appendendo le satire di notte badando che le guardie non vedessero.
LA SATIRA BORGHESE
Qualche decennio più tardi quegli stessi giornali diventeranno a loro volta un affare cospicuo e perderanno una parte del loro potenziale ‘eversivo’ allineandosi con le nuove istanze della politica social-democratica. Trilussa esordisce in quel periodo e fu proprio il suo stesso pigmalione Filippo Chiappini a ironizzare sul linguaggio del suo pupillo, rimproverandolo di averlo snaturato e imborghesito. Perché quel giovane poeta non sembrava interessato alla satira ‘scomoda’ ma aveva le idee molto chiare sul proprio futuro. Nato in povertà, cresciuto nel benessere, non aveva alcuna intenzione di tornare nella polvere e nel fango, gli piacevano i salotti culturali dei signori e voleva rimanerci. Erano lontani i tempi del leggendario Ghetanaccio, e dello stesso Pasquino, poveri tra i poveri che si facevano portavoce delle classi sfruttate. Il governo Crispi si rivelerà non meno violento della nobiltà a cui si è di fatto sostituito, avviando una politica di repressione dei movimenti operai e contadini, partecipando a disastrose guerre coloniali e imponendosi come la nuova tirannide.
TRILUSSA E LA POLITICA
Il rapporto di Trilussa con la politica è di convenienza e opportunità. Ironizza, si prende gioco delle debolezze e dei vizi borghesi, ma non li mette mai veramente in discussione. Pur non prendendo mai la tessera del partito fascista, si dissocia dall’antifascismo attivo anche dopo la deposizione del dittatore e la fine della guerra, quando il democristiano Einaudi lo vuole senatore a vita (un anno prima della sua morte) e lui stesso fa domanda per formalizzare l’iscrizione alla massoneria. Leggenda vuole che quando Mussolini si era appellato a lui come a un ‘alato fante’, onorandolo del paragone con Ermes, lui lo avesse salutato come un ‘lesto fante’ cavalcando l’onda di una satira che però non ha messo mai indiscussione il regime. Puoi approfondire leggendo questo articolo. Niente di male, è una scelta di campo e la rispettiamo, ma non si può non ricordare che in quegli stessi anni ben altri poeti popolari venivano carcerati preventivamente anche solo in previsione di un comizio del Duce in città, questo a Trilussa non è mai successo.
PASQUINO IN VESTAGLIA
La satira di Trilussa inaugura di fatto un’evoluzione della tradizione dei pasquini verso un pericoloso allineamento a una sorta di velato qualunquismo ammantato di sapienza popolare, quel folklorismo che non prende una posizione ma si limita a ‘sputacchiare’ da lontano. Fa la mossa, non prilla. Così avviene ancora oggi nel variegato mondo dei moderni Pasquini, alcuni dei quali (per fortuna non tutti) perdono di vista i problemi reali preferendo piuttosto la polemica innocua, l’antipolitica e lo sberleffo populista, rischiando in qualche caso di lasciare aperto il campo a una sfiducia generale verso lo Stato e verso la partecipazione del popolo all’amministrazione della cosa pubblica. Per questo motivo ho scelto di riprendere la tradizione delle pasquinate romane, tradizione da cui provengo per linea ‘familiare’ avendo avuto io stesso un anziano Pasquino in famiglia. Mi piace l’idea di superare la visione ‘innocua’ di una satira che non arriva a prendere una vera posizione, ma si limita a cercare un sorriso fine a sé stesso.
SE UN REGIME
TI PERMETTE DI GIOCARE
Ricordo un’intervista al grande comico napoletano Massimo Troisi, nella quale disse che se un governo ti permette di giocare sulla gobba di Andreotti o sulla statura di Fanfani, vuol dire che ci guadagna qualcosa. La satira innocua e sostanzialmente allineata serve proprio a consentirgli di mostrare una tolleranza di facciata, pur mantenendo un’implacabile ferocia nei confronti della critica autentica. Spiega il Troisi che bastava in quegli anni andare in un teatro a vedere Dario Fo per trovare una satira diversa, pronta a dire cose più ‘indigeste’, con l’unica tassa da pagare di non poter rientrare poi nella comicità ufficiale. Puoi ascoltare l’intervista qui. Mi sento di ripartire da questo livello di autenticità e coerenza, riallacciandomi a quella ‘minoranza’ nel colorito mondo dei pasquini romani, che quando fanno satira non pensano al tornaconto personale, ma trovandosi in ballo, si divertono a ballare. Certo è meno comodo perché bisogna crearsi da soli quella rete che garantisce alla parola di ‘mormorare’ lontano.
Qui sotto si possono leggere in particolare due poesie di Trilussa in cui le tesi che ho esposto nell’articolo trovano una formulazione aperta e dichiarata dallo stesso autore.