Quattro romanzi di scacchi. Il topos dello scacchista maledetto

Quattro romanzi di Scacchi. Il topos dello scacchista maledetto

Quattro romanzi di scacchi

Il topos dello scacchista maledetto

Articolo di Federico Berti

Vladimir Nabokov, La Difesa di Luzin

La difesa di Lutzin è considerato uno dei più importanti romanzi del russo Vladimir Nabokov1, emigrato giovanissimo con la famiglia prima in Francia e poi in America dopo la rivoluzione e la guerra civile russa. Ispirato alla figura di Curt von Bardeleben, maestro di Scacchi tedesco realmente morto suicida, la storia inizia con la precoce passione di un bambino che impara le regole del gioco dalla zia in una famiglia benestante di San Pietroburgo nei primi anni del Novecento, le prime strategie sarà poi uno spasimante di lei a mostrargliele. Inizia a studiare i problemi che trova nelle riviste specializzate, diventa imbattibile per il padre e per un medico di famiglia invitato a confrontarsi con lui. A quel punto inizia a frequentare i circoli scacchistici, poi con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale accetta un invito all’estero e viaggia a Budapest, Vienna, Roma, insieme al padre e a un agente di nome Valentinov.

Dopo la Rivoluzione d’Ottobre, con la morte della madre a Pietroburgo, padre e figlio emigrano. Da quel momento in poi sarà il professionismo del ragazzo a mantenere entrambi. Con la morte del padre, Luzin rimane solo e inizia a manifestare il proprio disadattamento, una difficoltà nelle relazioni personali. Si fidanza a Berlino con un’esule compatriota, ma durante una partita con l’italiano Turati è vittima di una crisi nervosa per la quale viene ricoverato in clinica. Il medico lo mette in guardia dal pericolo del sovraffaticamento dovuto all’abuso del calcolo combinatorio sulla scacchiera, così lui per un certo periodo svolge un lavoro ordinario, abbandonando gli Scacchi. Tempo dopo ricompare il vecchio impresario, sembra convincerlo a riprendere la vita dello scacchista ma ormai è troppo tardi: Luzin si getta dalla finestra e muore2.

Samuel Beckett, Murphy

Murphy è il primo romanzo pubblicato da Samuel Beckett, uscì nel 1938 per interessamento di William Butler Yeats che lo raccomandò a Routledge dopo diversi rifiuti da parte di altri editori3. Il titolo è palesemente ispirato alla figura di Paul Morphy, lo scacchista americano da cui ebbe inizio a metà dell’Ottocento la ‘maledizione’ del rapporto ambiguo fra Scacchi e follia, al quale Jones dedicò il saggio sopra citato. Nel romanzo del grande scrittore irlandese, un giovane depresso trova lavoro come infermiere in un ospedale psichiatrico e rimane affascinato dal demone della follia. Verso la fine del romanzo, l’infermiere si confronta in una grottesca partita con Mr. Endon, un ospite dell’istituto affetto da demenza4.

La partita giocata dai due personaggi, trascritta dal narratore e divenuta perciò oggetto di vivace dibattito fra gli appassionati, è pervasa da quel senso dell’attesa che ritroveremo in Aspettando Godot: nessun pezzo viene mangiato, Endon non sembra affatto preoccupato di vincere o perdere, gli interessa molto di più la danza dei pezzi stessi sulla scacchiera, l’aspetto narrativo delle sue figurazioni. Il gioco risolve in una sorta di balletto, al termine del quale i pezzi tornano più volte in una posizione simile a quella iniziale. Murphy si rende conto che ognuno dei due sta giocando secondo una logica differente, il discorso dell’uno è sordo al discorso dell’altro, così abbandona.

Stefan Zweig, La novella degli Scacchi

La novella degli Scacchi è un racconto che Stefan Zweig scrisse nel 1942 poco prima di togliersi la vita5. Racconta la storia di un avvocato austriaco che al tempo dell’annessione nazista viene arrestato e tenuto segregato in un albergo per una lunga teoria di interrogatori, intervallati da interminabili giorni di snervante attesa. Viene in possesso di un libro con la trascrizione di cento memorabili partite di Scacchi e da quel momento riesce a tenere desta la sua attenzione con quell’esercizio combinatorio, sviluppando però (anche dato il contesto) un’ossessione per il gioco. Il medico dopo il suo rilascio gli suggerisce di non misurarsi mai più con la scacchiera in futuro, ma alcuni anni più tardi contravviene al proposito e durante una partita in treno contro un contadino russo perde il controllo: la sua mente vaga nell’albero delle combinazioni finendo col portarlo su varianti che perdono ogni aderenza al gioco reale, commette un errore infantile e perde l’incontro.

Zweig nel racconto espone una lungimirante critica al professionismo scacchistico novecentesco, che aveva secondo lui infuso nel gioco un freddo spietato utilitarismo, una logica di puro calcolo, togliendo alla disciplina quella profondità di campo narrativa, culturale, psicologica, che aveva caratterizzato il romanticismo. Il russo gioca per una posta di 250 dollari a partita e le sue mosse non hanno altro senso che vincere o perdere, per poter intascare il premio della scommessa. Dalla novella di Zweig è stato tratto nel 1960 un film di Gerd Oswald, dal titolo italiano Scacco alla follia, un altro adattamento della novella tedesca è Il re degli Scacchi diretto da Philipp Stölzl. Il problema posto dallo scrittore anglo-austriaco, viene amplificato e reso ancor più popolare dal grande schermo.

Dall’azzardo al professionismo

La questione posta da Zweig non era nuova: se inventata di sana pianta negli anni ‘20 del Novecento è la leggenda della partita con cui a Marostica, nel territorio della Serenissima, due aristocratici si disputarono l’amore di una sposa6, la tematica relativa alle forti scommesse in denaro si ritrova già nel Filocolo di Giovanni Boccaccio, il cui protagonista scommette diversi ‘bisanti’ da contendersi in tre partite con Sadoc, guardiano del castello dov’è imprigionata la sua amata Biancifiore. Sei secoli prima di Zweig si poteva incorrere in controversie patrimoniali riconducibili al gioco degli Scacchi, come non manca di ricordare Ivana Ait7 rispetto al testamento di un medico toscano che nella Roma del Quattrocento lasciò agli eredi un patrimonio sul quale si richiedevano indagini per verificare eventuali crediti occulti, data la passione del trapassato per la scacchiera.

S’inizia a parlare di ‘professionisti’ nel mondo degli Scacchi alla corte d’Isabella d’Este verso la fine del XV secolo. In una lettera del 10 Settembre 1475 conservata all’Archivio Storico Lombardo, Galeazzo Maria Sforza si lamenta col visconte Ascanio del conte Galeotto Belgioioso, il quale aveva “richiesto licenza de venire a casa et non sapemo pensare la ragione se non è perché el voglia portare ad casa li dinari chel ha vinto ad zocare a scachi. Et guardatevi bene dal zocare a scachi con lui perché è fatto così bon magistro8 che vincerà ad ogni partito”.

Walter Tavis, The Queen’s Gambit

Tutte le suggestioni di cui si è detto a proposito delle opere prese in considerazione da Angelo Germino, si ritrovano nel Queen’s Gambit di Walter Tevis, che ha dato l’ispirazione alla nota serie Netflix dal titolo italiano La Regina degli Scacchi9. Nell’immaginaria protagonista di questa vicenda, ambientata fra Stati Uniti, Europa e Unione Sovietica negli anni ‘60 del Novecento, riecheggiano i temi già esplorati in modo parti-colare da Nabokov e Zweig: la bambina prodigio che impara a giocare nello scantinato di un orfanotrofio che studia i problemi e le partite sulle riviste specializzate, che inizia a guadagnare ancora molto giovane e mantiene il genitore con cui viaggia, la depressione e la dipendenza da psicofarmaci.

Nella scacchiera immaginaria proiettata sul soffitto, dove la ragazza insegue la logica combinatoria nel movimento dei pezzi, sembra quasi di rivedere il povero avvocato viennese della novella di Zweig, che si rifugia nella scacchiera per poter sostenere l’atrocità della sua condizione. Nell’ossessione da lei sviluppata, che sembra richiamare quella di Fischer, Alekin, Morphy, non possiamo che ritrovare l’ammonimento di Fine intorno al sadico narcisismo indotto non dalla scacchiera in sé, ma dal modo con cui il giocatore la affronta. Nel complesso la maledizione della scacchiera è quella che induce la giovane donna a ripercorrere la parabola autodistruttiva di Morphy, Alekin, Fischer.

Note

1 Vladimir Nabokov, La difesa di Lužin, Milano, Adelphi, 2001

2 Walter Tavis, La Regina degli Scacchi, Milano, Mondadori, 2021, declina al femminile il personaggio di Nabokov. La piccola orfana impara a cinque anni le regole del gioco e le prime strategie dal giardiniere dell’orfanotrofio in cui vive. Ruba al negoziante le prime riviste specializzate, partecipa a qualche torneo locale e i giornali parlano di lei. Poi viaggia con la madre adottiva dopo la separazione di lei dal marito, mantenendola con i premi vinti nei tornei e intraprende così la via del professionismo. Alla morte di lei cade in depressione e nella di-pendenza da psicofarmaci. Stessi eventi in sequenza.

3 Samuel Beckett, Murphy, Torino, Einaudi, 1962

4 Beckett aveva proposto all’editore per la copertina del romanzo una foto in cui due scimmie siedono davanti a una scacchiera, ma la sua proposta non fu accolta con favore.

5 Zweig, Stefan, La novella degli scacchi, traduzione di Lavinia Mazzucchetti, Milano, Sperling & Kupfer, 1947

6 Piero Casentini, La partita a Scacchi di Marostica: l’interpretazione del mito della Serenissima attraverso l’invenzione di una tradizione, Università Ca’ Foscari di Venezia, Dipartimento di studi storici, Venezia.

7 Ivana Ait, Un medico, la sua biblioteca e il Libre Partiti Scacchorum a Roma. Tra l’ultimo quarto del XVI e i primi decenni del XV secolo, in: ‘Roma nel Rinascimento’, 2016.

8 Era dunque già in uso nel Quattrocento la qualifica di ‘maestro’ (bon magistro) per indicare un giocatore di grande esperienza e preparazione teorica, di cui si serve per conseguire un vantaggio economico.

9 Walter Tavis, La Regina degli Scacchi, Milano, Mondadori, 2021.


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