Buscetta, politica e narcotraffico
Tommaso Buscetta
Il segreto di Pulcinella
Il processo di Palermo
E’ considerato ancora oggi un momento di svolta nella storia della vita politica italiana, in cui venne dato un colpo mortale alla criminalità organizzata con l’arresto e la condanna dei suoi massimi vertici; solo due anni dopo la sentenza conclusiva, il grande fratello dell’impero Mediaset scenderà in campo instaurando una dittatura personale con provati collegamenti al mondo sotterraneo e una fortissima adesione proprio in Sicilia; se dunque negli anni del processo di Palermo la magistratura ha combattuto una battaglia in campo aperto con il crimine, l’esito col senno di poi si direbbe più che una vittoria, un cambio della guardia: alcune vecchie famiglie di Cosa Nostra vennero messe da parte per lasciare spazio a nuove milizie dell’illegalità nella costruzione di un più complesso ordine mondiale. Caduto il muro di Berlino serviva un evento capace di restituire credibilità allo stato davanti a un popolo che stava perdendo fiducia nelle istituzioni; in memoria di giganti come Falcone e Borsellino, siamo qui a riflettere su quel che rimane della loro lotta e del loro sacrificio.
Tommaso Buscetta
Nell’aula di Palermo il processo era continuamente ostacolato dall’omertà e da una generale confusione, gli imputati prendevano tempo rimandando le udienze, avvocati che non si presentavano, istanze mosse rispetto alle condizioni di sovraffollamento e alle eccezionali misure di sicurezza adoperate: per mesi non si parlò che di questo, fino a quando non venne accordata l’estradizione a Tommaso Buscetta dal Brasile, avversario dei Corleonesi. Nelle sue quattrocento pagine d’interrogatorio troviamo descritta la struttura di Cosa Nostra, il rituale del santino bruciato, il giuramento dei nuovi affiliati, la Commissione dei vertici, la crudeltà d’una mafia in declino. Giovanni Falcone dubitava della visione romantica data da un testimone che restava per lui un criminale, collaborare con la giustizia lo avrebbe riscattato per il futuro, non per il passato; c’è tuttavia un particolare di cui la televisione allora non parlò, un padrino della mafia americana tale Joe Valachi aveva svelato nel 1962 esattamente le stesse informazioni: struttura delle famiglie, organizzazione in soldati, raggruppamenti, capi, consiglieri, il rituale del santino bruciato e la formula del giuramento, gli organigrammi della malavita americana. Non era la prima volta nemmeno allora che un delinquente vendesse il proprio silenzio in cambio di clemenza, ma per la prima volta ciò avveniva davanti a una telecamera e con milioni di spettatori; alla confessione di Joe Valachi si diede tanto rilievo che nel 1972 divenne argomento per una serie televisiva con Charles Bronson, Lino Ventura e Walter Chiari, presentata da Dino De Laurentis. La leggenda metropolitana del padrino gentiluomo doveva passare a ogni costo. Fino alla metà degli anni ’50 la polizia federale aveva negato l’esistenza di Cosa Nostra, nei primi anni della guerra fredda il governo degli Stati Uniti non temeva tanto i criminali quanto le organizzazioni sindacali, gli agitatori comunisti, le proteste di massa.
Politica e narcotraffico.
La televisione italiana durante il processo di Palermo non parlò di Joe Valachi, nè della tradizionale collaborazione tra mafia e governo americano per controllare i sindacati, si trasmettevano piuttosto i film con Marlon Brando e Al Pacino che restituivano l’immagine romantica del gangster senza scrupoli ma rispettoso della tradizione, nessuno raccontava che fin dagli anni di Salvatore Giuliano lo Stato e la criminalità organizzata avevano un nemico comune, in Italia come negli Stati Uniti: le grandi masse del proletariato urbano. Una nuova ondata di proibizionismo aveva portato alla ribalta sostanze come l’eroina, la morfina, l’acido lisergico, la cannabis, inizialmente diffuse in ambiente militare ma poi dilagate anche fra i civili della classe media non solo americana; una legge del 1914 si limitava a tassare pesantemente la distribuzione delle sostanze rendendone obbligatoria la prescrizione medica, con la guerra in Vietnam il numero dei tossicodipendenti era aumentato e si approvarono per la prima volta negli Stati Uniti nuovi provvedimenti che criminalizzavano la dipendenza, vietando la distribuzione di quei narcotici anche in ambito medico e sanitario. Il traffico illegale degli stupefacenti iniziò proprio da quel momento a rendere più di qualsiasi altro commercio illegale, ogni dollaro investito consentiva di guadagnarne centinaia di migliaia. La mafia ne ricavò molto denaro, ma dovette rinunciare a una parte della propria indipendenza: non si può coltivare una piantagione d’oppio nel giardino di casa raffinandolo in cantina come si faceva con le distillerie abusive degli anni ’30, bisogna andarselo a prendere in Cina, in Afghanistan, in America Latina, ciò obbliga a costruire una rete internazionale e scendere a patti con lo Stato. Nel momento in cui la criminalità organizzata entra nel mercato della droga la sua struttura interna cambia, perde importanza la Commissione interna istituita fra i padrini locali al tempo di Lucky Luciano e nuove famiglie senza scrupoli, con metodi assai più terrificanti, prendono il sopravvento. Le quattrocento pagine dell’interrogatorio di Tommaso Buscetta non dicono niente di nuovo e non segnano la fine d’un impero criminale, ma soltanto un cambio della guardia; le sostanze psicoattive non sono mai state così tanto diffuse come negli ultimi vent’anni, dopo l’arresto e la condanna di Totò Rina. Il processo di Palermo ha avuto un’importanza storica, tuttavia l’evento mediatico in cui si pretendeva d’aver estirpato il cancro della malavita organizzata, era più immaginario che reale: ogni volta che un giovane di buona famiglia ha acquistato per sé o per i suoi amici una dose di anfetamina, hashish, mariuwana, eroina, cocaina, ogni volta che ha pagato una schiava del turismo sessuale in cambio delle sue attenzioni, ogni volta che ha acconsentito al regime dell’omertà, s’è reso complice di un potere immenso.
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Federico Berti, story teller
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