Čarnec’kyj-Antonovych, Viburno rosso (1875-1914)
Viburno Rosso
Stepan Čarnec’kyj, Volodymyr Antonovych (1875-1914)
Versione italiana di Federico Berti, ‘Kalyna’
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Là nel prato il fiore di Kalina chino sul sentier
sul quel fiore piange l’Ucraina scuro il suo pensier
prenderemo quel viburno rosso e lo solleveremo allor
tornerà la gioia in Ucraina ancor
Non piegarti fiore immacolato non piegarti più
sul sentier da tutti calpestato resti solo tu
prenderemo quel viburno rosso e lo solleveremo allor
tornerà la gioia in Ucraina ancor
Volontari avanzano i compagni al sanguinoso altar
le catene strette nei calcagni Mosca rinnegar
e i fratelli dalle sue catene noi libereremo allor
tornerà la gioia in Ucraina ancor
Primavera il prato è già solcato da una traccia d’or
fucilieri ingaggiano il nemico al campo dell’onor
prenderem quel grano e finalmente lo raccoglieremo allor
tornerà la gioia in Ucraina ancor
Quando soffia il vento dalla steppa vuol glorificar
fucilier di tutta la milizia viene a ricordar
risolleveremo noi la gloria di quei giovani virgulti allor
tornerà la gioia in Ucraina ancor
Viburno rosso è una marcia patriottica pubblicata per la prima volta nel 1875 da Volodymyr Antonovych e Mykhailo Drahomanov, poi rielaborata dal compositore Stepan Charnetsky nel 1914 in onore dei Fucilieri della Sich della Prima Guerra Mondiale. Ma chi erano questi Fucilieri il cui nome torna sulle labbra dei giovani ucraini di oggi?
Chi erano i Fucilieri della Sich?
La legione dei Fucilieri della Sich era un’unità ucraina dell’esercito austro-ungarico nella Prima Guerra Mondiale formatasi nel 1914 su iniziativa del Supremo Consiglio Ucraino, composta da membri di diverse organizzazioni paramilitari ucraine guidate da Frank Schott, che partecipò alle ostilità sul fronte russo e polacco. Questo corpo d’armata si era venuto a formare gradualmente nell’arco di circa un ventennio, a partire dalle piccole associazioni nazionalistiche giovanili di fine Ottocento.
Il nome della Sich si richiamava in modo esplicito alle idee della Sich Cosacca di Zaporozhia. Letteralmente una sich era un centro amministrativo e militare cosacco, la parola deriva dall’ucraino sikty (tagliare) da intendersi nel senso del bosco abbattuto per procurarsi il legname atto alla costruzione di fortificazioni in legno. Nel XVI-XVIII secolo, sul fiume Dnepr si era venuto a formare un insediamento indipendente di Cosacchi con un proprio autogoverno, al quale si riferivano i nazionalisti ucraini dell’Ottocento come modello per il loro indipendentismo.
Prima in ambito sportivo, poi come unità di protezione civile antincendio, più di 2000 compagnie si raccolsero in principio intorno all’Unione Ucraina delle Sich, un’istituzione talmente importante da potersi permettere un proprio organo di stampa. Dalle associazioni sportive e di protezione civile ai gruppi paramilitari clandestini, il passo fu breve: nel 1911 uno studente di filosofia all’Università di Lviv, Ivan Chmola, iniziò ad arruolare volontari addestrandoli all’uso delle armi da fuoco, trascrivendo e traducendo manuali militari, costituendo gruppi paramilitari clandestini. Questi gruppi, che per diversi anni dovettero operare in segreto, diedero vita ad associazioni giovanili per il dopo scuola sul modello dello scoutismo internazionale, a partire dalle cui organizzazioni molti giovani volontari conversero poi verso le unità guidate da Chmola.
Si organizzarono quindi campi di addestramento militare, corsi di sopravvivenza, orientamento, autosufficienza, cui partecipavano i giovani ucraini fin dall’adolescenza. Tutto si svolgeva in clandestinità, fino a quando nel 1913 alla vigilia del primo conflitto mondiale Kyrylo Tryliovs’kyi ottenne dalle autorità austriache l’approvazione per poter costituire un corpo di Tiratori della Sich nel Regno di Galizia e Lodomeria, nel quale confluirono tutte le organizzazioni di quel tipo dall’Ucraina occidentale. Si formò quindi a Lviv la Lega Ucraina della Sich, di cui venne redatto uno statuto formale con due corpi d’armata: uno di studenti, uno di lavoratori e contadini.
Si ritiene qui doveroso segnalare che non tutti la pensavano allo stesso modo in questo variegato mondo di attivisti e volontari, vi erano i nazionalisti più radicali che volevano l’indipendenza dell’Ucraina, e autonomisti che rimanevano comunque fedeli alla corona austro-ungarica; ovviamente solo queste ultime unità ottennero legittimazione. Comune denominatore, l’interventismo contro l’impero russo. 10.000 fucilieri sfilarono in parata a Lviv nel 1914 insieme alle altre organizzazioni giovanili, a quel punto scoppiò la guerra e il reclutamento giovanile ricevette impulso dal Consiglio Supremo Ucraino, ottenendo l’autorizzazione a creare unità di 2500 uomini, da inviare sempre in affiancamento a truppe regolari. La legione venne poi sconfitta e sciolta nel 1920.
Quando cantiamo l’inno del Viburno rosso dunque, dobbiamo pensare che si tratta di un canto adottato dalle organizzazioni nazionaliste ucraine del primo Novecento che reclutavano e addestravano clandestinamente i giovani per mandarli in guerra contro quegli stessi ucraini che combattevano dall’altra parte del fronte russo, in una guerra imperialista che vedeva l’Austria Ungheria servirsi delle aspirazioni indipendentiste ucraine allo scopo di contendere altre terre su cui vivevano comunità di lingua ucraina all’impero Russo. I valori di riferimento cui la canzone rimanda sono quelli della Sich dei Cosacchi di Zaporizhia, della quale non sarà inutile ricostruire le vicende.
Chi erano i Cosacchi di Zaporizhia?
La Sich di Zaporizhia è stata un’entità proto-statale semiautonoma che faceva parte di un più vasto Etmanato Cosacco, retta da un governo militare (una stratocrazia) esistito per circa un secolo lungo il fiume Dniepr intorno alla regione in cui oggi si trova il bacino idrografico di Kakhovka, nell’oblast di Kherson sul quale corre il fronte russo-ucraino. La Sich di Zaporyzhia si formò nella seconda metà del XV secolo a difesa dei coloni slavi contro le incursioni dei Tartari di Crimea, ma non in modo autonomo, bensì sotto l’egida del principe polacco Dmytro Vyshnevetsky.
I Cosacchi di Zaporizhia si dedicarono all’emancipazione della regione sia dall’influenza polacca, sia dalle violenze del Khanato di Crimea, sia dall’Impero russo. Non si trattò mai di un’entità stabile, ma di vari presidi militari costruiti là dove il potere centrale non arrivava a consolidare il proprio controllo sul territorio e dunque accordava legittimità al presidio cosacco. Quando lo zar ebbe definitivamente la meglio sul Khanato di Crimea, non sentì più il bisogno di un presidio cosacco in ucraina e semplicemente lo sopprese. Interessante l’episodio storico del generale russo Grigorij Potëmkin (Si, proprio lui. Quello della corazzata), inviato da Caterina la Grande contro gli stessi Cosacchi nel cui corpo era stato iniziato.
Cosa accadde, allora? La Sich fu rasa al suolo, alcuni ufficiali zaporozhiani divennero parte della nobiltà russa ereditaria e ottennero terre. I più recalcitranti riuscirono a fondare un’altra Sick sul Danubio sotto la protezione dell’Impero Ottomano, altri in Ungheria protetti dall’Impero Austriaco. Secondo una leggenda, alcuni di loro si trasferirono a Malta, altri ancora in America e in Australia. Il loro leader Petro Kalnyshensky fu esiliato alle isole Soloveckie, dove si racconta che visse fino alla veneranda età di 112 anni in un monastero. Alcuni si riciclarono nella cavalleria russa, unendosi ai reggimenti degli ussari e dei dragoni, altri furono sterminati, altri ancora degradati a contadini o addirittura a servi della gleba. Verso la fine del XVIII secolo il generale Potëmkin riorganizzò una legione di 12000 volontari cosacchi ucraini durante la guerra russo-turca, li chiamò stavolta Cosacchi del Mar Nero e dopo la guerra li reinsediò sul fiume Kuban, per cui divennero Cosacchi del Kuban
Com’era organizzato l’Etmanato?
La Guardia Zaporozhiana era guidata dalla Rada della Sich, un parlamento oligarchico su base militare che eleggeva un Atamano affiancato da un segretario capo (pysar), un giudice capo e un archivista capo. Durante le operazioni militari, il collegio militare esercitava un potere illimitato. Decideva però con il consenso della Rada. E’ per questo che alcune fonti si riferiscono alla Sich zaporozhiana come a una repubblica cosacca, perché il potere più elevato apparteneva all’assemblea di tutti i suoi membri, e i suoi leader (starshyna) erano eletti. I cosacchi formavano dunque una società complessa e pluralista. Un tribunale militare puniva severamente la violenza e il furto tra i compatrioti, il rapimento di donne, il consumo di alcol in periodi di conflitto e altri reati. L’amministrazione provvedeva al finanziamento delle chiese ortodosse e alle scuole per l’educazione religiosa e secolare dei bambini.
La popolazione della Sich aveva quindi una componente cosmopolita, tra cui ucraini, moldavi, tatari, polacchi, lituani, ebrei, russi e molte altre etnie. La struttura sociale era complessa, comprendente nobili e boiardi indigenti, szlachta (nobiltà polacca), mercanti, contadini, fuorilegge di ogni genere, schiavi fuggitivi dalle galee turche e servi fuggiaschi. Alcuni di coloro che non venivano accettati nell’ost formavano bande proprie, poi integrate nella società dell’Hetmanato.
Non si può parlare di una repubblica popolare nel senso che noi oggi attribuiamo a questo termine, poiché il loro parlamento era formato solo da elementi della classe dirigente, che era comunque militare, per questo si parla di stratocrazia, non di autocrazia. Si trattava di un’elite formata da combattenti che costituirono una società semi-autonoma all’interno di altre società e pertanto doveva rendere conto alle autorità degli stati nella cui sfera d’influenza si inscriveva. Quando i Cosacchi assumevano il controllo di una regione, lo facevano comunque nell’ambito di rapporti regolati da un vassallaggio di tipo feudale. L’Etmanato ucraino, svincolatosi dalla subordinazione alla Confederazione Polacco Lituana, divenne vassallo dello Zar. Non vi furono mai nella storia governatorati Cosacchi che non avessero bisogno di una ‘protezione’ da parte di Stati centrali, furono dunque sempre società trans-nazionali
Il canto del Viburno Rosso
Torniamo dunque alla canzone da alcuni attribuita a Stepan Čarnec’kyj. Il viburno rosso è un arbusto dal significato simbolico per il nazionalismo ucraino, secondo alcune tradizioni popolari un viburno spezzato era un segno di guai e tragedie; abusare di questo albero si credeva fosse un atto vile e sciagurato, si pensava crescesse soltanto nelle vicinanze di qualcuno che fosse buono di spirito. Lo si associava all’immortalità, all’unità fra generazioni, alla lotta fra il bene e il male. Il colore rosso del frutto, è spesso associato allo spargimento di sangue nel combattimento. Le fioriture bianche rappresentano purezza e speranza, le foglie verdi la gioventù. Lo si associava anche all’erotismo, alle ragazze da marito.
Nel folklore ucraino si racconta una leggenda secondo cui Kalyna, nome attribuito al viburno rosso, era una giovane donna molto coraggiosa che attirò gli invasori nelle paludi, annegandosi eroicamente insieme ai nemici. Sacrificò sé stessa per la patria, così si racconta, da allora nel luogo in cui è morta crescono arbusti di viburno rosso. In effetti, questo tipo di arbusto è molto comune nei luoghi paludosi. In alcune tradizioni popolari dell’Ucraina rappresenta il fuoco. Nel repertorio musicale e narrativo dei Cosacchi l’arbusto è simbolo di lealtà e fratellanza di sangue, in modo particolare il sangue dei caduti in battaglia.
Leggenda di Kalyna
La leggenda di Kalyna, diffusa in molte diverse varianti, non sembra collegata a un luogo preciso, semplicemente vi si trovano il suolo ucraino, il bosco, il villaggio, l’incursione turco-tatara (o addirittura greca), la pianta che cresce nel luogo in cui la donna muore. E’ molto importante constatare che le tradizioni popolari ucraine relative a questo racconto non parlano di invasioni dalla Russia o dallq Polonia, ma di incursioni turco-tatare dalla Crimea e dai Balcani. Le armate dei Cosacchi svolgono talora un ruolo di baluardo contro queste scorrerie, ma non compaiono sempre nel racconto.
Una delle versioni parla semplicemente di una ragazza amabile, gentile e anche molto bella, che dal bosco portò con sé una marza di viburno e la piantò fuori da casa sua, iniziò quindi a prendersene cura innaffiandola ogni giorno con l’acqua che si recava a prendere alla fontana, finché questa pianta crebbe robusta diventando abbastanza grande da poter riposare alla sua ombra. Passò un viaggiatore, il quale benedì le mani di colei che aveva piantato quel cespuglio di viburno, il quale per tutta risposta si ricoprì di fiori bianchi. Caduti i fiori, al loro posto crebbero bacche rosse che scintillavano come perle preziose. Il seme di queste bacche somigliava a un piccolo cuore, e questa pianta si protese verso la ragazza, chiedendo di poterne prendere il nome.
In un’altra versione del racconto, Kalyna era la sorella di una di una guaritrice di nome Palageya, che avendo curato un condottiero greco durante una delle incursioni tartare, proprio usando le bacche e l’arbusto del viburno rosso, lo seguì poi come sua sposa in Grecia mettendo al servizio della sua nuova comunità le arti medicali. Prima di separarsi dalla sorella, volle dare alla pianta il suo nome. In altre versioni una donna venne rapita dai turco-tatari, morì in schiavitù e nel luogo della sua cattura crebbe il viburno, proprio nel punto in cui era caduto il suo bracciale sparpagliandosi al suolo.
Un’altra versione vuole che la bella e coraggiosa Kalyna avesse avvisato il proprio villaggio dell’imminente incursione dal sud, erano intervenuti i Cosacchi ma non avevano potuto evitare che il villaggio venisse bruciato. La donna fu decapitata e al posto della sua testa crebbe una pianta di viburno. In un’altro racconto ancora, una superstizione antica metteva in guardia le ragazze dal non fissare con troppa insistenza l’acqua in fondo a un pozzo, poiché potevano trasformarsi in viburno. Così avvenne a Kalyna, che rimase imprigionata nel corpo della pianta, consolata solo dalle gru che le si fermavano accanto coprendo i suoi rami con una ghirlanda rossa.
I due autori della canzone
Dopo l’annessione russa del 2014, non si può più cantare questa canzone in Crimea. Uno dei motivi che la rendono in parte controversa è che venne adottata come inno dall’Esercito Insurrezionale Ucraino durante la Seconda Guerra Mondiale. Cantarla in pubblico assunse una connotazione provocatoria durante il periodo sovietico, dal 1919 al 1991, conobbe una riabilitazione a partire dalle rivoluzioni arancioni e poi con l’invasione russa del 2022 ha assunto grande popolarità diventando un simbolo della resistenza, in seguito alla nota interpretazione a voce sola di Andrij Chlyvnjuk dei BoomBox. Ancora oggi non la si può cantare in territorio russo.
Stepan Charnetsky, figlio del sacerdote greco-cattolico Mykola Charnetskyi, cui viene attribuita la parte musicale della canzone, nato nel 1881 è stato ingegnere e funzionario delle ferrovie austro-ungariche,, viene ricordato come uno dei membri della Moloda Muza (la Giovane Musa), gruppo di scrittori nazionalisti ucraini, insieme a Volodymyr Birchak, Mykhailo Yatskiv, Petro Karmanskyi, Ostap Lutskyi, Vasyl Pachovskyi, Osyp Turianskiy e Sydir Tverdokhlib. Ha collaborato come redattore nella stampa nazionalista allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, quando rielaborò il canto del viburno rosso in onore dei già menzionati Fucilieri della Sich. Pur essendo ricordato in modo particolare per questo inno patriottico, ha scritto e pubblicato anche varie raccolte di poesie, traduzioni e un saggio sulla storia del teatro ucraino in Galizia nel 1934.
In realtà l’autore del testo è Volodymyr Antonovych, un eminente storico, archivista e archeologo, considerato un punto di riferimento per la rinascita nazionale ucraina nell’Impero Russo nella seconda metà dell’Ottocento. Professore di storia russa presso l’Università imperiale di San Vladimiro di Kiev e membro corrispondente dell’Accademia imperiale delle scienze di San Pietroburgo. Era un membro della decaduta nobiltà polacca, si considerava addirittura un discendente dal principe Lubomirski attraverso sua madre, sosteneva che suo padre fosse un vagabondo ungherese di nome János Diday. Studiò a Odessa, si iscrisse all’Accademia Medica dell’Università Imperiale di San Vladimiro a Kiev, dove frequentò i primi circoli intellettuali democratici, fu un militante e partecipò anche a movimenti insurrezionali.
Nel 1857 partecipò alla fondazione della ‘Triplice Società’, così detta dai territori di Volinia, Podolia e Kiev, nei quali promosse l’abolizione della servitù della gleba persuadendo i contadini a sostenere l’indipendenza polacca. Divenne un simbolo della ‘redenzione’ democratica, nazionalista e liberale, ma si schierò con gli strati inferiori della società invece di prendere le parti della borghesia al momento dell’insurrezione e si trovò per questo in parte isolato dal resto del movimento. Quattro anni più tardi si convertì alla fede ortodossa, che era la religione dei contadini.
Durante tutta la sua carriera, la censura di stato e l’atmosfera politica impedirono ad Antonovych di esprimere apertamente le opinioni politiche, che tendevano ad essere egualitarie e più vicine all’anarchia che al liberismo democratico. La sua visione della repubblica cosacca era ammantata dal mito romantico della rivolta contro l’autorità e la resistenza contro l’imperialismo polacco-lituano da un lato, russo dall’altro, da parte di un collegio parlamentare cui l’autorità centrale doveva in qualche modo sottostare.
Conclusioni
Il canto del Viburno rosso dunque ha un’origine democratica, repubblicana, anarchica e populista, solo a partire dai primi anni del Novecento è stato strumentalizzato dal nazionalismo borghese e più avanti ancora è diventato simbolo dell’estremismo nazifascista. Bandito dall’Unione Sovietica per sessant’anni, è tornato a rappresentare dopo il 1989 le istanze populiste della destra liberale filo-europea da un lato, neonazista dall’altro con il riferimento a Stepan Bandera e all’Esercito Insurrezionale Ucraino che fu collaborazionista delle SS. Mantiene tuttavia nel proprio intimo un’anima libertaria, alla quale si vuol qui dare risalto: un riferimento al giovane virgulto del viburno, ovvero alla gioventù ucraina da educare alla ribellione contro ogni autorità imperialista, contro ogni autocrazia, in accordo con una visione cosmopolita della società, non nazionalista.
L’idea romantica della Sich di Zaporyzhia come esempio di resistenza anti-imperialista da parte di un corpo sociale collettivista con una visione parlamentare che limitava il potere dell’autorità centrale, è stata ampiamente smentita dalle ricerche del periodo successivo, che ne hanno ridimensionata la portata ideale per metterne in rilievo gli aspetti contraddittori di oligarchia militare in cui poteva trovare posto la nobiltà dei boiardi, la violenza dei fuorilegge e un’insieme di mondi che spesso faticavano a convivere insieme per lunghi periodi, ragione che portò alla dissoluzione di tutte le formazioni cosacche nelle varie ‘ucraine’ sorte ai confini dell’impero russo, dalla Siberia Orientale al Caucaso, dal Baltico al Mar Nero. Noi oggi sappiamo che il modello di una società democratica, egualitaria, fondata sullo stato di diritto, non può essere quello della società Cosacca. Della quale però non possiamo che accogliere le istanze cosmopolite e internazionaliste, che furono proprie di tutti i corpi militari organizzati secondo quel modello. Istanze incompatibili con i nazionalismi dell’estrema destra neonazista, che nel cantare l’inno del viburno rosso entra inesorabilmente in contraddizione con sé stessa.
Interessante anche la sostanziale coincidenza tra il nome di Kalyna, con cui si indica il viburno rosso in lingua ucraina, e il russo Kalinka, che indica precisamente la stessa pianta e compare in un’altra canzone, scritta in Russia quindici anni prima dell’inno patriottico ucraino, nel 1860 e pure nel repertorio del cantante Feodor Ivanovich Chaliapin, che interpretava entrambe le composizioni. Il testo di Kalinka si concentra più sulle bacche rosse del viburno, simbolo di erotismo ma anche di amore contrastato.