Sasso della Maltesca o della Mantesca?

Il Sasso della Maltesca, Piancaldoli di Firenzuola (Firenze)

Articolo di Federico Berti

Tratto da F. Berti, Pietramora. Bologna, 2024
Il Sasso di San Zenobi e la sua leggenda

In questa prima versione della leggenda il nome dell’ofiolite sul crinale della Martina è Sasso della Maltesca, (con la l). Il nome sembra richiamare le malte che si ricavano dal gabbro, tuttora estratto da varie formazioni ofiolitiche tra Modena e Parma. Tuttavia nelle versioni più recenti si parla di Sasso della Mantesca (con la n) e sull’origine questo etimo nessuno ha mai proposto una vera e propria riflessione, se non qualche vago richiamo all’aria mefitica del luogo e alla natura demoniaca della pietra, senza spiegare il collegamento fra sito e denominazione. Premesso che un medesimo vocabolo può evolversi a partire da tradizioni diverse e che non debba trovarsi necessariamente un solo etimo alla sua origine, sarebbe interessante datare le due denominazioni, per ricostruirne se non altro la priorità.

Le prime versioni del racconto qui riproposte in antologia critica, non solo quella del Club Alpino ma anche le successive di Don Stefano Casini (1914), Tito Casini (1930), Gaspero Righini (1950), riportano il primo nome, non il secondo. Maltesca, con la l. Anche il manifesto segnaletico a cura del Comune di Firenzuola e di alcune associazioni locali, posto nel 2013 ai piedi del Sasso di San Zenobi, continua a riportare la prima denominazione. La seconda compare in un testo di Noris Morandi e.a. (1976) sull’analisi mineralogica e petrografica delle due serpentiniti, da quel momento in poi le versioni successive iniziano a riportare il nome della Mantesca, con la n: Maria Cecchetti (1988), Athos Vianelli (1991), Roberto Belletti (2012), Caro Giamba (2020).

E’ possibile che vi sia stato uno slittamento dialettale tra i due termini nella trasmissione orale del racconto, ma è anche possibile che l’equipe del Morandi abbia avuto modo di consultare fonti cartografiche precedenti; gli autori non ne riportano direttamente in bibliografia, ma vi troviamo un riferimento agli studi pubblicati da Pellizzer (1961) e Gazzi (1956)2, corredati da mappe del territorio. Un’indagine più approfondita sulla tradizione cartografica dell’Appennino Bolognese o dell’Alto Mugello, potrà confermare o smentire l’uso effettivo di un toponimo Mantesca prima dell’Ottocento.

Nel caso in cui lo si riscontrasse in qualche fonte documentale, si potrebbe associare la radice Mant- alla mantica, come nel nome del dio etrusco Manth, associato spesso al culto di Apollo, o la greca Manto figlia di Tiresia e sacerdotessa di Apollo a Delfi, mitica fondatrice di Mantova. Nel territorio dell’Appennino tra Bologna e Firenze, la tradizione apollinea ha lasciato segni profondi: le donne antiche, segnatrici, veggenti, venivano chiamate nella società rurale del secolo scorso Sibille, come le sacerdotesse del poeta divino. Un toponimo Sumbilla a Monghidoro, non lontano in linea d’aria dal sito della Mantesca, è ricollegato a quella figura. La leggenda di Apollo e Pitone viene riportata intorno al santuario di Montovolo, sebbene con personaggi diversi da quelli del mito greco, e così Monte Venere si riteneva ospitasse anticamente un tempio delle Sibille. Non mancano sul territorio leggendarie grotte delle fate, (sacerdotesse del Fato), a lor volta riconducibili a tradizioni apollinee.

Chi può aver usato questo riferimento alla mantica? Escluderei una continuità culturale con il mondo antico: l’instabilità politica, culturale e religiosa nell’età del tardo impero, il periodo delle grandi migrazioni, i regni cosiddetti barbarici, la frammentazione dell’età feudale, il sincretismo linguistico, tutto questo non consente di risalire tanto indietro. Quel che però possiamo ipotizzare è che sulle cave di gabbro sia ricaduto, fra tardo medioevo e rinascimento, o in epoca post-tridentina, lo stereotipo del sabba stregonico, degli incontri notturni associati al sacrificio di animali, all’aruspicina, alle danze orgiastiche, alla divinazione. Non al dio Manth dunque, ma alla Mantica in quanto pratica divinatoria.
Non possiamo dunque escludere l’una né l’altra ipotesi. Maltesca, nel senso di cava affiorante. Mantesca, nel senso di luogo maledetto da Dio, teatro di sacrifici notturni, divinazione e altre pratiche ‘illicite’. In questa antologia critica si adotterà preferibilmente la prima denominazione, più coerente con il taglio che si è voluto dare alla ricerca.

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