Claretta Strozzapreti. Romanzo noir. Libro, Ebook.

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Claretta
Strozzapreti

Il Boia dell’Alpe n.9
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Risaliamo la Via Crucis che si snoda come un serpente sul fianco della montagna inerpicandosi tra gli alberi per congiungere il cimitero alla chiesa, quel gigantesco rustico di fianco alla pineta più simile a una torre squadrata nel sasso, quasi priva d’immagini; non fosse per il grande campanile eretto come un fallo gigantesco al suo fianco, mi farebbe pensare alla Kaba di Maometto, quella dove sta la famosa pietra nera. Don Ignazio cammina dondolando la testa colle grandi mani penzolanti lungo il corpo asciutto, ondeggia a ogni passo; magro com’è ho l’impressione stia per svenire da un momento all’altro. La perpetua gli va dietro come un cagnolino muovendo uno dietro l’altro gli stivali chiodati a gambaletto, stretta in una giacca di pelle nera imbottita, pantaloni larghi, un berretto di lana calato sulla fronte. Gli fa eco mormorando non so che litanie. Si direbbe una processione del Corpus Domini, a parte il fatto che siamo in tre. Ho un diavolo per capello al pensiero di quelle creature deformi scomparse nel nulla fra le lapidi sgombere dalla neve, piccole scimmie pelose colla testa di coniglio sembravano. Il cielo stellato brilla sopra di noi, la luna incombe come una capricciosa minaccia. Passando sotto le finestre spente delle case, mi sento osservata da occhi invisibili; davanti alla porta della canonica il prete fa cenno d’aspettare sull’uscio, s’assenta per qualche secondo e torna imbracciando una candela più alta di lui, lo seguiamo senza dire una parola mentre la fiamma tremolante pare voler spostare le pareti. Qui dentro vive mangiando frutta e radici, bevendo l’acqua delle fonti e conducendo una vita in severa penitenza. a testa bassa mi viene incontro, vedo l’ombra della sua schiena ingigantirsi contro la parete, dilagare a macchia d’olio sul soffitto. Impugna le sante reliquie come un cavaliere la sua spada



“A testa bassa mi viene incontro,
vedo l’ombra della sua schiena
ingigantirsi contro la parete,
dilagare a macchia d’olio sul soffitto.
Impugna le sante reliquie come un
cavaliere la sua spada”


Dopo aver ravvivato il fuoco nella stufa con un grosso ramo di quercia, dalla scansia nella cucina prende una bottiglia scura con il collo ricurvo, la stappa, annusa. “Gradite del nocino?”. Scuoto la testa confusa, viva la sobrietà mi dico. La donna, al secolo Claretta Strozzapreti classe 1927 nostalgica del Duce, signorina per scelta e formidabile taglialegna, si lascia riempire un bicchierino da rosolio. Lui, acqua zolfanina. Glie la portano da una sorgente naturale a Ca’ di Monte le cresimande. Vuol sapere che facevo da sola nel cimitero a quell’ora della notte, mi guarda con sospetto. Non fa alcun cenno alle orrende creature. Mentre calma ripercorro quanto accaduto negli ultimi giorni vedo il suo sguardo farsi più serio. «Quindi» riassume Don Ignazio: «Avete scoperto in una casa disabitata il cadavere d’un uomo che risulta morto sei mesi fa, una parte del volto divorata da cento piccole bocche, il resto del corpo rimasto incorrotto. Siete corsa ad avvertire la polizia, ma tornando sul luogo del delitto il morto aveva come dire cambiato sesso, correggetemi se sbaglio». Annuisco, «Poi una donna di quasi novant’anni con un amante più giovane di circa mezzo secolo, v’ha aiutato a scappare sparando attraverso una finestra i fuochi d’artificio, siete rimasta a dormire da lei per recarvi insieme la notte successiva al cimitero, in cerca di tombe scoperchiate dai trafficanti di salme». E’ andata proprio così, rispondo. «All’improvviso spariscono nel nulla i due amanti e vengono fuori dalle tombe i folletti dell’Alpe. Il resto l’ho veduto coi miei occhi, giusto?». Le parole mi muoiono in bocca. Non è credibile ne convengo. Il curato mi fa ancora segno d’aspettarlo dove sono, sparisce nell’altra stanza. «Non muovetevi, torno subito» rassicura attraverso il muro. Sento risuonare la sua voce nel corridoio. Mentre mi chiedo se possa fidarmi, Claretta s’alza dalla sedia e va a lavarsi le mani, poi senza dire una parola dissolve nell’altra sala. Riappare il prete sulla porta vestito con una lunga tonaca nera, la sciarpa viola, un crocefisso d’argento, la medaglia di San Benedetto al collo e l’aspersorio dell’acqua santa; a testa bassa mi viene incontro, vedo l’ombra della sua schiena ingigantirsi contro la parete, dilagare a macchia d’olio sul soffitto. Impugna le sante reliquie come un cavaliere la sua spada e pronuncia a chiare lettere con voce potente, sicura: “Crux Sancti Patris Benedecti! Crux Sacra Sit Mihi Lux Non Draco Sit Mihi Dux”…

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M’ha preso per un’indemoniata, evidente. Spalanco gli occhi, mentre lui ripete senza fermarsi la stessa formula imparata al seminario, continua a salmodiarla in un crescendo ritmico, ossessivo; serrata la porta col chiavistello a due mandate, sono stretta fra il tavolo e un angolo della piccola stanza, ascolto in silenzio. Vedendomi impassibile scaccia la paura prima di tutto da sé stesso e insiste con rinnovata veemenza ma l’esito non cambia, a poco a poco gli viene il respiro pesante, un tremore s’impossessa della mano che impugna la croce, pallido in volto cade sfinito sopra la sedia continuando a guardarmi dietro una frangia di capelli scesa a coprirgli la fronte. L’esorcista sconfitto, penso. “Signora Maltagliati”, riprende solo qualche minuto più tardi con un filo di voce, ansimando. “Voglio essere franco. Ho visto coi miei occhi la ragazza di cui m’avete appena parlato, stamattina in paese”. Fatica a parlare. “E’ viva, in salute. Non so come possiate sostenere d’averla trovata in un lago di sangue”. Mi chiedo se stia mentendo o non sia tutto uno scherzo di pessimo gusto. Per il momento sarà meglio assecondarlo, fingere di credergli, studiarne almeno le intenzioni. Mi sento nella condizione di chi non può accordare fiducia nemmeno a sé stesso, l’altro continua a scrutarmi negli occhi poi d’un tratto solleva il mento e tende l’orecchio, ha sentito delle voci là fuori. S’avvicina alla finestra, guarda attraverso gli scuri socchiusi. “Uomini e donne, sono armati di pentole e bastoni” dice senza distogliere lo sguardo, “Credo stiano cercando proprio voi”. (Continua a leggere)

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Laureato al Dams di Bologna con una tesi sulla narrazione, Federico Berti è cantantautore, polistrumentista, uomo orchestra, pubblica romanzi, poesie, canzoni. “Il Boia dell’Alpe” è ambientato nel paese di Monghidoro sull’Appennino Bolognese, dove risiede stabilmente dal 2001.

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ISBN 9788822881595. 

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