La calunnia è un venticello. Romanzo noir

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La calunnia è
un venticello

Il Boia dell’Alpe n.7
Thriller italiano
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Abbiate pazienza, dice la vecchia dopo che il quarantenne s’è tirato dietro l’uscio di casa. “Ultimamente lo vedo un po’ nervoso, l’han preso a lavorare nel cinema e lo pagan quattro soldi per rompersi la schiena a servizio d’uno scenografo isterico. Si insomma, capirete voi in quel mondo se ne sentono tante. L’apparenza è tutto. Bellino il mio Asfodelio, sparisce per settimane intere e quando torna ha poca voglia di parlare. Comunque vedrete, se ha promesso per domani sera manterrà la parola. E’ un ragazzo serio”. Ascolto distrattamente, pensando sempre al corpo senza vita del boscaiolo scomparso e la biondina assassinata ai piedi del letto; mi sembra quasi di risentirle, quelle voci nel bosco. Chiamavano dai cespugli coperti di neve, ma non sono riuscita a vederli. Queste le domande che m’assillano in casa della strega, che nel vedermi pensierosa e infreddolita mette il bollitore sul fuoco. Siede in attesa al piccolo tavolo rotondo malamente illuminato dal mozzicone di candela, mi pianta gli occhi nel cervello e sorride con inquietante serietà; poi avvicinando il volto al mio senza distogliere lo sguardo, sussurra con un fil di voce: “Non mi avete risposto, prima. V’ho chiesto se conoscete il motivo per cui Anacleto s’è impiccato al prato della biscia”. Cosa vuole ne sappia, conosco un po’ la storia della moglie tornata in Moldavia, o in Bielorussia non so dove per me di là da Gorizia son tutti paesi dell’est. Mi pare d’aver capito che rimasto solo perse il lavoro e finì per isolarsi dal mondo, gli ultimi tempi mangiava bacche, radici, radicchio selvatico e si scaldava con le fascine raccolte sull’Alpe. Le poche persone che l’hanno incontrato dicono parlasse per monosillabi, vallo a sapere quel che passa in una testa marcia come la sua.



“Le voci sul suo conto si sono
moltiplicate poco a poco. Sapete
meglio di me che il terreno dell’infamia
è cosparso di letame, chi vi semina
qualcosa raccoglie sempre.


Veneranda scuote la testa, smentisce il mio racconto. “Era un brav’uomo il Fascina, l’avevan preso nella scuola prima che gli venisse malata la psiche, curava il giardino, piccoli lavori in muratura, guidava anche il pulmino dei bambini. Poi lo scandalo.” Dentro di me ho un sussulto nel sentirla difendere quel sudicio, le racconto il poco che so: “Altro che brav’uomo, adescava con gentilezza e in tante si son lamentate. Quando lavorava per la scuola avvenne quel fatto a dir poco imbarazzante, inseguì una maestra tutta sola nella macchia e dopo averla assalita le strappò la camicia; povera donna, fu tratta in salvo da un cacciatore che passava di là per caso, messo in allarme dalle urla. Nessuno ha mai chiarito, non si venne a un processo ma allontanarono Anacleto dalla scuola con infamia e Ludmilla chiese la separazione. Fu l’inizio della sua rovina. Ben gli sta, chi semina vento raccoglie tempesta”. Nel sentirmi parlare in questo modo la padrona di casa sceglie una noce dal piatto, rompe il guscio e la pulisce con cura. “Si, il cacciatore. Proprio lui”. Tace qualche secondo, torna a guardarmi. Stavolta il sorriso è scomparso dalle labbra e un’espressione severa le irrigidisce il volto, “Non vi siete mai chiesta che facesse un uomo col fucile in abito borghese al mulino abbandonato, fuori dalla stagione della caccia e per giunta a quell’ora?”.

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Naturalmente ho sentito indiscrezioni, c’è chi sostiene s’incontrasse di nascosto con la giovane e avvenente donna, i due amanti colti sul fatto improvvisarono la scena dell’aggressione per evitare lo scandalo, non si fecero alcuno scrupolo d’infamare quel povero disgraziato, da allora il boscaiolo faticò a trovare qualcuno che lo prendesse a servizio. Si sa come van le cose nei piccoli paesi dove fantasticare sulla vita degli altri è un passatempo a buon mercato. Veneranda toglie il bollitore dalla stufa e dopo aver filtrato l’infuso ne riempie due tazze. “Anacleto nel bosco si sentiva a suo agio, raccoglieva erbe selvatiche, bacche e funghi. Era un brav’uomo”. Affonda nel barattolo di miele, sospirando prosegue: “Non scendeva a compromessi e talvolta la sua ostinata voce fuori dal coro entrava in attrito con persone dalla coscienza sporca e la coda di paglia, per questo le voci sul suo conto si sono moltiplicate poco a poco; sapete meglio di me che il terreno dell’infamia è cosparso di letame, chi vi semina qualcosa raccoglie sempre. Non lo spaventava un orologio d’oro, una decappottabile di lusso, per lui il senso civico veniva prima del fatturato. Non era molto abile nel negoziato, questa la sua colpa. Ad ogni modo ora è tardi, domani sera andremo al cimitero e se qualcuno s’è divertito a cavare i morti dalla terra consacrata, la neve non inganna. Ne porterà il segno. Buona notte, Erminia. Torneremo sull’argomento”. (Continua a leggere)

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Laureato al Dams di Bologna con una tesi sulla narrazione, Federico Berti è cantantautore, polistrumentista, uomo orchestra, pubblica romanzi, poesie, canzoni. “Il Boia dell’Alpe” è ambientato nel paese di Monghidoro sull’Appennino Bolognese, dove risiede stabilmente dal 2001.

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Romanzo di Federico Berti
ISBN 9788822881595.

Un misterioso manoscritto, le memorie di una donna scomparsa nel bosco durante una tormenta di neve. Un boscaiolo massacrato a colpi di scure, un’inquietante festa di carnevale. Giallo noir ambientato a Bologna.

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