La rivoluzione interiore di John Nash
La rivoluzione interiore di John Nash
Neurodivergenza, psicopatologia e riscatto sociale
Articolo di Federico Berti
Del matematico John Nash e del suo contributo alla matematica, all’economia, alla teoria dei giochi, si è parlato molto in questi anni. L’abbondanza del materiale disponibile sulla sua dolorosa vicenda personale, è seconda solo alla ridondanza di voci che rimbalzano l’una sull’altra amplificandosi in un’eco relativamente omogenea. La mitopoiesi cinematografica ha contribuito a una sorta di disneyzzazione del racconto, smentita solo in parte dal diretto interessato quand’era ancora in vita. C’è un aspetto in questa narrazione che non convince, ed è la prospettiva sostanzialmente personalistica, il taglio quasi agiografico dato alla sua biografia, più interessata all’eccezionalità del personaggio che a una sua contestualizzazione nel periodo storico e nel contesto sociale, politico, economico in cui è vissuto. Sembra che questo aspetto della sua vita, l’analisi del suo travaglio interiore, sia rimasto ancorato a una visione in chiave clinica e patologica, modello interpretativo ormai non più compatibile con le innovazioni introdotte nello studio dei fenomeni psichici a partire dall’introduzione del concetto di neuro-diversità nella seconda metà degli anni ’90.
Quando la giornalista e biografa Sylvia Nasar descrisse le difficoltà manifestate nella socializzazione dal giovane John Nash, il suo carattere schivo e recalcitrante a qualsiasi forma di autorità, scarsamente empatico, non fece altro che testimoniare in lui quello che oggi verrebbe semplicemente riconosciuto come un soggetto neuroatipico, ovvero un individuo che presenta aspetti problematici nell’integrazione sociale, ma che può essere messo in grado di gestirli in modo relativamente autonomo valorizzandone gli aspetti positivi, produttivi, espressivi. Fino al 1954, anno incui si manifestò per la primavolta inmodo conclamato il suo disturbo psichiatrico, Nash non aveva manifestato il bisogno di un intervento esterno nella gestione delle proprie criticità, poteva risultare forse un po’ antipatico ad alcuni, problematico per altri, ma era comunque un giovane e promettente intellettuale partecipe del mondo, autosufficiente se pure con qualche riserva. Una serie di tensioni crescenti erano in atto da non meno di un decennio, possiamo interpretare questa graduale pressione sul sistema cognitivo del matematico come l’aggravante di un possibile esaurimento nervoso, degenerato anche a causa di un sistema sanitario che colpevolizzava il paziente peggiorando il suo disturbo con ricoveri coatti, terapie farmacologiche devastanti, violenza fisica e quelle che egli stesso non esiterà negli ultimi anni della sua vita a definire come vere e proprie torture.
Quel che non convince nella narrazione della vicenda personale di John Nash è il restringersi dell’obiettivo sul campo del soggetto disturbato, senza prendere in considerazione il contesto, ovvero il contributo che la società in cui viveva può aver dato a scaricare sul soggetto più fragile un problema cognitivo diffuso. La follia dei sani di mente. Quel che appare condivisibile oltre ogni ragionevole dubbio è il collegamento che lo stesso Nash riferiva nelle interviste, tra i sintomi della sua psicosi, l’oggetto della ricerca accademica e il periodo storico in cui si svolsero i fatti. Non prenderemo per ora in considerazione lo scandalo delle frequentazioni omosessuali, per le quali venne arrestato e accusato di atti osceni ponendolo fin dai primi anni di Princeton in una condizione di crescente isolamento sociale.Tre anni prima del matrimonio con Alicia era stato accusato di atti ‘depravati’ in un parco pubblico con un uomo. L’anno prima di questa vicenda Nash era stato oggetto di un’altro scandalo, relativo a un figlio da lui non riconosciuto con l’infermiera Eleanor Stier. Questi aspetti nella sua vita privata, in cui taluni hanno visto una possibile causa di disagio sociale nell’America puritana degli anni ’40/50, non furono mai causa diretta della sua destabilizzazione, che si verificò solo alla fine degli anni’50, per cui dobbiamo rivolgere altrove la nostra attenzione in cerca di altri fattori scatenanti.
L’equilibrio di Nash
Gli anni in cui esce la tesi di dottorato sulla teoria dei giochi, in cui viene elaborato il principio dell’equilibrio di Nash, sono gli stessi in cui ha inizio la guerra fredda con tutte le sue conseguenze sulla vita sociale del paese. Se da un lato il matematico non si poteva considerare un comunista militante, la sua teoria però implicava (e dimostrava) una critica radicale delle teorie di Adam Smith sulla mano invisibile del capitalismo e del corporativismo liberista, a partire dalla quale si svilupparono negli anni successivi alla sua tesi indagini più articolate sull’economia sostenibile, sul concetto di bene comune, sul conflitto fra interesse privato e vantaggio collettivo. Il contributo di Nash alla teoria dei giochi insomma travalicava decisamente la sua lettura propriamente matematica, per riflettersi in ogni campo della vita sociale, politica ed economica. Egli dimostrò come in una dinamica di attori non cooperanti, ciascuno sia portato a prendere decisioni in base al proprio esclusivo interesse privato, ma che questo interesse non porti sempre a un’ottimizzazione del risultato per l’intero sistema, e che questa mancata ottimizzazione può riflettersi a sua volta negativamente sui singoli giocatori i quali, credendo di aver fatto la scelta più ragionevole e conveniente per sé stessi, non sono consapevoli tuttavia di aver conseguito un vantaggio minore di quello che avrebbero conseguito se avessero adottato al contrario una strategia di tipo cooperativo.
La teoria dell’equilibrio di Nash non si limitava a prendere in considerazione da un punto di vista matematico il problema del conflitto fra interesse privato e vantaggio comune, ma proponeva anche una soluzione ragionevole, sostenendo che per evolvere da un sistema non cooperativo a un sistema cooperativo si dovessero introdurre nella pratica del gioco forme di contrattazione e relative ricompense, ma che per fare questo erano necessarie figure istituzionali. Se questa teoria non si riferiva propriamente a un ambito politico, era tuttavia evidente come si potesse applicare al contesto della guerra fredda, in modo particolare all’escalation degli armamenti nucleari dove ogni attore perseguiva quella che sembrava la strategia ottimale per sé stesso, ma il risultato poteva rivelarsi disastroso per l’intera umanità in caso di conflitto atomico. Nash però si spinse ancora oltre, scrivendo personalmente agli ambasciatori di tutti i paesi del mondo per sollecitare l’istituzione di un governo sovranazionale cui aderissero tutti gli stati del pianeta, affinché ponessero in atto quella conversione del quadro geopolitico da un sistema non cooperativo a un sistema cooperativo, limitando la libertà di scelta del singolo attore politico in favore di una strategia comune che portasse a privilegiare il beneficio collettivo sul vantaggio personale del privato.
Per quanto la sua teoria non avesse alcuna relazione con gli ambienti rivoluzionari o con la militanza marxista-leninista (essendo la sua origine puramente matematica, dunque teorica e sostanzialmente utopistica), è tuttavia evidente come il lavoro svolto da John Nash negli anni di Princeton mettesse in discussione tutto l’impianto individualista, privatista, liberista, il capitalismo esasperato e la politica stessa di Truman, generando intorno a lui un clima di sospetto. Il suo delirio schizo-paranoide è iniziato in concomitanza con questo slittamento dalla teoria matematica alle successive contaminazioni con l’economia e la geopolitica, e su questo punto bisogna dire che la mitopoiesi cinematografica ha semplificato arbitrariamente la narrazione del suo quadro clinico per farlo apparire come uno squilibrato, le cose in realtà si svolsero in modo molto diverso da come il film con Russel Crowe le racconta.
Le lettere alla National Security Agency
Un dei punti su cui il racconto condiviso non corrisponde alla realtà, è paradossalmente proprio quello in cui si racconta del primo ricovero coatto, conseguente all’idea che la corrispondenza tra John Nash e la National Security Agency fosse un prodotto della sua immaginazione. Nel film si vede chiaramente la moglie recarsi in una villa dove riteneva che le lettere venissero consegnate e trovarla abbandonata, con le buste ancora tutte nella cassetta postale. Sappiamo al contrario che nel 2011 la NSA ha desecretato le lettere di John Nash, lettere che il ‘fantasma di Princeton’ aveva realmente inviato ai suoi uffici, e che erano rimaste fino ad allora archiviate fra la corrispondenza non richiesta. Un curioso paradosso, il fatto che comunque fossero state regolarmente archiviate, ma soprattutto un’evidenza storica l’effettivo sviluppo delle sue congetture, che anticipavano di un ventennio la crittografia moderna.
Non abbiamo abbastanza elementi per ricostruire se quei materiali siano stati effettivamente utilizzati dall’agenzia, ma sappiamo che il Museo Nazionale della Crittologia ha reso quel materiale consultabile pubblicamente, le lettere sono state esposte in una mostra di rilievo internazionale e ora si possono scaricare liberamente dagli archivi dell’istituto, formalmente acquisite dalla National Archives and Records Administration. Le lettere di Nash sono state anche oggetto di un documentario sul National Geographic Channel. Sappiamo inoltre che in quegli stessi anni, Goedel scrisse a von Neumann una lettera in cui anticipava la teoria della complessità computazionale, cosa che fa pensare a temi effettivamente trattati a Princeton in quel periodo. Nelle lettere di John Nash alla NSA insomma, non si trovava solo il delirio di un pazzo, ma un accorato appello all’agenzia per la sicurezza nazionale affinché riformasse il proprio sistema crittografico, con delle proposte concrete che solo dieci anni dopo l’invio di quelle lettere vennero effettivamente poste in essere nei sistemi crittografici dei servizi segreti americani.
Ciò è con ogni evidenza in aperto contrasto con la tesi della follia paranoica di un Nash che si chiude nel proprio studio ed elabora materiali privi di senso, credendo di consegnarli a improbabili agenti segreti frutto della sua immaginazione. L’autore del film questo non poteva saperlo, dato che le lettere di John Nash alla NSA sono state rese di pubblico dominio solo dieci anni dopo l’uscita del film, ma è evidente che le cose non andarono come si è creduto per molti anni. Si deve constatare piuttosto che la sua proposta di collaborazione alla progettazione di un sistema per criptare i messaggi ad uso dei servizi segreti, realmente avvenuta nei primi anni ’50, non sia stata accettata, che le lettere fossero scritte a mano con una calligrafia senza dubbio disordinata, ma che le sue congetture siano state realmente anticipatrici dei sistemi crittografici moderni. Quindi avevano un senso, quei fatti sono avvenuti realmente. La tesi sostenuta dall’agenzia è che non fossero state archiviate correttamente, che fossero quindi rimaste nella posta indesiderata e per questo motivo mai lette da nessuno. Possiamo credere o meno a questa giustificazione, ma è confermato che l’NSA abbia ricevuto le lettere di Nash, per quanto sostenga (stando alle sue dichiarazioni) di non averle prese mai in considerazione.
E’ altresì importante prendere in considerazione il contenuto, di quelle lettere. Nella prima Nash affermava di aver decifrato il codice di alcuni messaggi segreti sovietici, l’anno seguente ne scrisse una seconda in cui forniva ulteriori dettagli a riguardo. All’indifferenza dell’agenzia, fa seguito la prima crisi conclamata del suo sistema cognitivo. Da quel momento in poi, la demolizione sistematica della credibilità di John Nash con l’accusa di schizofrenia porterà le lettere successive a farsi man mano più confuse e frammentarie. Il primo sintomo conclamato e diagnosticato della schizofrenia di John Nash risale dunque al 1954, in quell’anno non era ancora sposato con Alicia. I sintomi di quel disturbo non sono distinguibili dal contenuto delle lettere, poiché Nash cominciò a sospettare che i suoi colleghi e amici lo stessero spiando o complottando contro di lui, iniziò quindi a soffrire di allucinazioni auditive e si convinse di essere perseguitato da agenti segreti sovietici, proprio nel momento in cui lavorava ai sistemi di crittografia. La lettera del 1954 dunque non è un episodio secondario nella sua vita, ma si può considerare un fattore scatenante che ha portato allo slittamento dalla neuro-divergenza al disturbo schizo-paranoide, degenerato nei cinque anni successivi fino a rendere necessario il ricovero ospedaliero.
Alla luce di queste considerazioni, possiamo ragionevolmente ritenere che la sua naturale condizione di o neurodivergente, sia stata amplificata dallo stress del lavoro che conduceva in segreto, convinto di corrispondere con l’agenzia per la sicurezza nazionale, che poi negò ogni rapporto con lui. Lavorare su sistemi di crittografia ad alto livello di segretezza può essere stata un’esperienza stressante, soprattutto se si considera il clima di tensione internazionale durante la Guerra Fredda. Il fatto poi che le sue lettere fossero tutte misteriosamente ‘scomparse’, può aver contribuito a demolire la sua credibilità anche come ricercatore. Nel momento in cui è entrato nel circolo vizioso dell’ospedalizzazione, dei ricoveri coatti, delle terapie devastanti, dei farmaci inibitori e di quelle che lui chiamava ‘torture’, si è ritrovato in una condizione liminale da cui era veramente difficile risollevarsi. Sappiamo del resto che l’NSA è un’agenzia nazionale molto potente, riservata e ben organizzata. L’idea che tutte le lettere di Nash, scritte peraltro a diversi uffici e con vari pseudonimi, siano state semplicemente ignorate nonostante la posizione dell’autore inizialmente credibile, la delicatezza dei temi trattati e i concetti anticipatori da lui espressi, è difficile da credere. Soprattutto quando poi si viene a sapere che quelle idee hanno trovato una concreta applicazione ai servizi di intelligence un decennio più tardi, nel pieno del delirio schizofrenico di John Nash. Il fatto poi che 167 pagine di ‘corrispondenza non richiesta’ improvvisamente riemergano dall’oblio sessant’anni più tardi, rende questa versione del racconto intorno alla follia dell’autore ancor più controversa.
Difficile ricostruire come si siano svolti davvero i fatti, se le lettere all’NSA possano aver dato realmente un contributo alla demolizione della credibilità di Nash o se siano state al contrario solo una conseguenza di un disturbo già in fase avanzata. L’oscura vicenda della corrispondenza con l’agenzia ha rappresentato però con ogni evidenza un secondo elemento di rilievo nello slittamento dalla fase della neuro-divergenza a quello della schizofrenia conclamata. Non si può fare a meno di notare che entrambe i punti su cui è crollato il sistema cognitivo di John Nash, erano inesorabilmente collegati a questioni che avevano a che fare con le dinamiche della guerra fredda, con la critica al capitalismo, l’intelligence e lo spionaggio, ed erano supportate dalla sua onorata attività di ricercatore. Non possiamo dunque prendere in esame la questione della follia di Nash prescindendo, come si è detto in precedenza, dal contesto storico, politico ed economico degli anni in cui è vissuto. Per comprendere le ragioni di un pazzo (vero o presunto), dobbiamo ancora una volta concentrarci sulla follia dei cosiddetti sani di mente.
E’ qui che ha inizio la rivoluzione interiore di Nash. Quando rifiuta l’ospedalizzazione, pur consapevoledi aver perso irrimediabilmente le opportunità giovanili di carriera accademica, sceglie di non assumere più quegli psicofarmaci che se da un lato sembravano placare le sue allucinazioni auditive, dall’altro inibivano l’intero sistema cognitivo rendendolo di fatto inabile alla ricerca. Così decide di affrontare quelle visioni e impara a gestirle in autonomia, senza bisogno dei farmaci. Chiede al suo medico la possibilità di tornare a frequentare Princeton, non più come professore ma come libero ricercatore, passa le proprie giornate in biblioteca e si dedica completamente agli studi, ritrovandola propria ragione di vita. Non lo fa per aspirazioni di carriera, ma perché si rende conto che la ricerca scientifica gli permette di ricostruire il proprio sistema cognitivo, di fortificarlo, di radicare la ragione nell’immaginazione, e l’immaginazione nella memoria profonda. John Nash si rivolge di fatto a Urania, la musa della matematica, della geometria, dell’astronomia, della ricerca scientifica. Usa l’arte di imparare come uno strumento terapeutico, per operare su sé stesso quella rivoluzione che lo porterà dall’elettroshock al Premio Nobel.
La sua storia è quella di un neurodivergente sul quale si è scaricato il peso di un disturbo cognitivo diffuso, quello della politica americana al tempo della caccia alle streghe, dell’incubo atomico e della guerra fredda. E’ la storia di un uomo che diceva il vero, quando sosteneva di aver inviato quelle lettere all’agenzia per la sicurezza nazionale, ma nessuno gli credette. E’ però anche la storia di un uomo bollato dello stigma di malato mentale, torturato da un sistema sanitario che colpevolizzava il paziente, che ha saputo tirarsi fuori da quel disturbo con la forza del proprio intelletto, affidandosi alla ricerca scientifica per rimetterein sesto i propri canoni dell’ideazione, radicare la ragione nell’immaginazione e questultima nella memoria profonda, operando su di sé quella rivoluzione interiore che lo porterà alla piena riabilitazione del suo genio.