Rassegna stampa. La gestione del dissenso in Cina. Problemi e prospettive.

Jonathan Bartlett illustration for Foreign Policy

La gestione del dissenso in Cina.
Problemi e prospettive

Rassegna stampa
a cura di Federico Berti

7 Luglio 2020, Redazione ‘Agi’, In Cina giro di vite contro il dissenso, nasce la “task force per la stabilità politica”

Il nuovo organismo è presieduto dal vice segretario generale della Commissione per gli Affari Politici e Legali del Comitato Centrale del Pcc. L’obiettivo è fermare “tutti i tipi di infiltrazione, sovversione, sabotaggio, attività terroristiche violente, di separatismo etnico e attività religiose estreme”. Questo nuovo organismo nasce in seguito all’approvazione della legge sulla sicurezza nazionale a Hong Kong, molto criticata e già in vigore nell’ex colonia del Regno Unito.

Creata anche per fare fronte sia all’emergenza pandemica, sia alle critiche internazionali conseguenti le scelte politiche rispetto alle relazioni con Hong Kong, sia alle relazioni non serene con il Canada, l’Australia, l’India, l’Unione Europea. Fa parte di un gruppo detto ‘Cinapacifica’ istituito ad aprile 2020, diviso in due gruppi: stabilità sociale e contenimenti dei rischi a livello locale.

Alessandra Cappelletti, ‘Italianieuropei’, Martedì 17 Marzo 2015, Gestione del dissenso, tecnologia e società nella Cina che cambia

Per capire la gestione del dissenso in Cina bisogna capire la società cinese. Il contesto culturale, in primo luogo, legato alla visione confuciana delle gerarchie sociali. Secondo la mentalità cinese non può esservi libertà di stampa senza controllo. Negli ultimi trent’anni, milioni di persone sono uscite dalla povertà. Con le riforme economiche, la società sta cambiando.

Progresso economico, tecnologico e scientifico. Tra le cause del dissenso, rivendicazioni da parte di minoranze etniche o religiose, che si spingono talvolta fino all’indipendentismo e quindi possono minacciare l’unità nazionale. Da verificare la percentuale rispetto al totale della popolazione.

In secondo luogo i problemi legati ai processi di urbanizzazione e trasformazione economica, che rendono necessarie infrastrutture e quindi sfratti, demolizioni, delocalizzazioni. Problemi legati al lavoro dipendente: ritardi negli stipendi, ritorsioni e abusi di potere da parte di funzionari locali. Le manifestazioni e l’aggregazione non autorizzata sono considerate illegali, per quanto avvengano nella maggior parte dei casi senza interventi repressivi.

In realtà il dissenso è ampiamente stemperato dal generale miglioramento delle condizioni economiche per tutti, anche se in misura diversa e con una divaricazione tra le classi sociali. Cosa più importante, la popolazione cinese riconosce al governo il merito di questi miglioramenti. La maggioranza dei cinesi ha dichiarato di non desiderare una svolta democratica.

Naturalmente non c’è soddisfazione piena e non si possono svolgere dibattiti politici al di fuori delle istituzioni irreggimentate, sotto il controllo del partitom na i risultati hanno comunque dato generale credibilità al sistema. Il dissenso non è un fenomeno significativo in Cina, al contrario di come i media internazionali tendano a volte comunicarlo.

Questo cambiamento di prospettiva è necessario per capire cosa sta accadendo in Cina e come relazionarsi a questo paese che si avvia a diventare la prima potenza mondiale entro pochi anni. Pur senza negare le condanne, i processi politici (presenti del resto anche in altri sistemi), è evidente la fiducia che l’economia cinese si è guadagnata anxche nei confronti degli investitori esteri, in aumento verticale.

Molto interessante la tradizione del dissenso nell’estremo oriente, che fin dall’epoca imperiale prevedeva la possibilità per qualunque suddito di rivolgersi all’imperatore inoltrando petizioni, qualora ritenesse di essere stato oggetto di abusi. L’obiettivo era proprio quello di far sentire al popolo la presenza di una struttura con la quale potesse comunicare anche in modo diretto, non solo per intellettuali, artisti e letterati, ma anche per contadini, commercianti e artigiani.

Questo sistema delle petizioni è tuttora in vigore e anche molto usato. Ogni cittadino può denunciare eventuali abusi governativi indirizzando una petizione all’Ufficio statale per le lettere e le chiamate, dal 2013 è possibile inviarle direttamente online. Sono stati attivati di recente inoltre due tribunali del popolo, per la difesa del cittadino in caso di controversie con funzionari inadempienti.

Allo stato attuale queste petizioni rimangono individualmente inevase, ma il governo centrale prende provvedimenti contro le autorità locali che si ritrovano oggetto di numerose contestazioni, queste ultime dunque considerano ‘virtuoso’ poter relazionare il minor numero possibile di manifestazioni, anche individuali, del malcontento.

Da segnalare anche una componente culturale importante. Non è visto di buon occhio, anche dall’opinione pubblica, chiunque ponga problemi che non siano di interesse pubblico ma esclusivamente personali. Le petizioni cioè rivolte solo al proprio interesse, mettono il cittadino cinese in una posizione critica rispetto ai suoi stessi concittadini. Comunque la regione in cui avvengono più manifestazioni del dissenso è la provincia del Guandong, nella costa sudorientale.

Minxin Pei, ‘Il Sole 24Ore’, 26 Gennaio 2021, Perché la credibilità della Cina in Occidente è a pezzi. La gestione opaca del Covid-19 e le promesse non mantenute a Hong Kong hanno portato alla luce la natura neostalinista del regime di Pechino.

In questo articolo, si parla della Cina messa in cattiva luce dalla mancata comunicazione tempestiva del pericolo pandemico in atto per il mondo. L’economia cinese è stata l’unica a crescere nel 2020, ma si sono inaspriti alcuni rapporti internazionali. In realtà, come abbiamo visto negli ultimi mesi dell’anno, la fiducia degli investitori è al contrario aumentata e questo rafforza comunque la posizione del paese rispetto al resto del mondo.

Stefano Vecchia, ‘Avvenire’, 23 Settembre 2021, La classifica. Internet, la Cina il Paese meno libero per il settimo anno consecutivo, Il rapporto della Freedom House colloca Pechino al fondo graduatoria preceduto da Iran e Myanmar. La nazione più virtuosa è l’Islanda con Estonia e Canada. Anche Italia e Usa tra i primi

I tre paesi in fondo a questo rapporto sono Cina, India e Myanmar, seguiti da Cuba, Afghanistan, Arabia Saudita, Pakistan, Egitto. Al primo posto per libertà l’Islanda, mentre l’Italia e gli Stati Uniti sono comunque classificate in posizione positiva. Va detto che il parametro usato come bilanciere è l’accessibilità libera alla rete, dalla quale dipendono tuttavia altri fenomeni di manipolazione dell’informazione, in questo caso non provenienti dalle istituzioni governative ma dagli utenti stessi.

Beatrice Gallelli, 23 Giugno 2021, ‘Linkiesta’, La guerra sull’opinione pubblica. Lo spirito cinese e l’arte della repressione del dissenso, tratto da: La Cina di oggi in otto parole”, di Beatrice Gallelli, Il Mulino, 2021, pagine 192, euro 14

“Come spiega Beatrice Gallelli nel suo ultimo libro (pubblicato dal Mulino) la propaganda di Pechino ha trasformato un vocabolo dai connotati sfuggenti (jingshen) in una specie di scudo che protegge la sfera spirituale della nazione da principi e ideali considerati pericolosi e da «infiltrazioni» dall’estero: in particolare i valori occidentali

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