Leggende e misteri. Pia dei Tolomei nella Divina Commedia.
Leggende e misteri
Pia dei Tolomei nella
Divina Commedia
Tratto da F. Berti, Il ponte della Pia,
Bologna, Italvox 2014
“(…) Il testo della Commedia è sibillino, vago nella sostanza e povero di particolari. Dante e Virgilio incontrano un’anima che si presenta a loro come la Pia, localizza la propria vita terrena fra Siena e una generica Maremma, parla con molta vaghezza di un uomo, un anello e una gemma, si direbbe un quadro comune a diverse biografie di gentildonne purtroppo, mancano elementi che possano caratterizzare una storia fra le altre… Più che una donna realmente vissuta, la Pia dantesca sembra incarnare lo spettro stesso dell’apparizione notturna; si può cercare negli archivi leggendo le annotazioni dei curiosi, le cronache dei viaggiatori, ma quando poi si arriva al dunque la Pia svanisce come nel racconto. Castel della Pietra, dove sarebbe morta secondo gli storici, presenta segni di una presenza umana fin dal neolitico e prende il nome da una fortificazione già nominata nel 1067, sappiamo che svolse la funzione di dazio doganale tra i secoli XIII e XV per il controllo sul commercio del sale proveniente da Siena, che fu assegnata in protezione prima alla famiglia Aldobrandeschi, poi ai suoi vassalli Pannocchieschi, più tardi anche ai Tolomei; fu anche ritrovato uno scheletro umano al suo interno, ma non venne mai identificato con sicurezza e la targa con la citazione dal V canto del Purgatorio è lì dal 1921, non prima. Così a Siena esiste un Palazzo Tolomei, si registra la presenza di questa famiglia fra i notabili e i banchieri della città, però non compare nessuna figlia di nome Pia negli anni interessati dal fatto storico e l’epigrafe posta sulla facciata dell’edificio è anch’essa posteriore al secolo romantico.
E’ da credere che, oltre l’aura di mistero che avvolge il personaggio e la soavità che ne permea la raffigurazione, anche la dimensione epigrafica dell’episodio, che lo isola efficacemente e favorisce un’immediata evocazione della sua protagonista, abbia contribuito alla fortuna della Pia dantesca.
Enciclopedia Dantesca Treccani, voce Pia, Roma, 1925.
La fortuna letteraria
Proprio nelle discussioni intorno all’esistenza storica del personaggio, un giovane patriota della montagna pistoiese trovò nel 1822 materia degna per tre canti in ottava letteraria: Pia dei Tolomei, leggenda romantica di Bartolomeo Sestini. L’autore morì in Francia, ricercato per sospetti rapporti con la Carboneria, lo stesso anno in cui fu pubblicata l’opera. Nella sua versione fiorì di particolari la vicenda, che si prestava a un’interpretazione anche politica e ideologica su temi cari alle fronde risorgimentali, come chiarisce lui stesso nell’introduzione al racconto:
… per questo io pubblico la Pia, soggetto per se medesimo caro a chiunque ha letti i quattro misteriosi versi della Divina Commedia, che ne fanno menzione, e che tessuto su quanto nelle Maremme ho raccolto da vecchie tradizioni e da altri documenti degni di fede, mi ha dato campo di descrivere alla foggia dei Greci alcuni celebri casi e luoghi della Patria, e gli antichi castelli feudali, e gli abiti e le esequie, e i costumi dei nostri antenati…
I tre canti in ottava rima del Sestini ispirarono nel 1837 un libretto di Salvatore Cammarano per la Pia dei Tolomei di Gaetano Donizetti, che dava ancor più risalto alle scene con militari guelfi e ghibellini; qui il sacrificio della donna è descritto come la conseguenza tragica di una guerra tra le famiglie dei Tolomei e dei Pannocchieschi. Tutto sempre nel nome dei pochi versi del povero Dante, anche se in realtà il poeta fiorentino spesso lascia intendere, ma non dice. Queste pregevoli opere letterarie e musicali si sono moltiplicate negli ultimi duecento anni, interessando il mercato dei fouilletton, l’editoria, l’opera lirica e persino il cinema; sono pensate per una visione spettacolare e contengono in realtà lunghe descrizioni, citazioni che le rendono difficili da memorizzare, questo rappresentava a suo modo un problema perché la pratica del canto spontaneo era un tempo molto diffusa e la vita sociale era sempre scandita dal canto; avvenne allora che un cantastorie di Prato, Giuseppe Moroni detto il Niccheri (Gnicche), riscrisse il testo rispettando il canone dell’ottava popolare, quella trasmessa oralmente: subito il popolo si riappropriò della vicenda, mettendola in scena con tanto di costumi e fondali dipinti. In questa forma è arrivata fino a noi. (Continua)