Podcast. Spazi africani nella mitologia greca.
Spazi africani nella
mitologia greca
Riduzione, relazione e approfondimento di Federico Berti a partire dal saggio di Antonio Enrico Leva, Miti greci e scenari africani, in ‘Africa’. Rivista trimestrale di studi e documentazione dell’Istituto italiano per l’Africa e l’Oriente, Anno 18, N. 1, 1963, p. 8-23. Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente (IsIAO), con approfondimenti enciclopedici a cura del relatore.
Nel parlare dei rapporti tra regni africani, Europa e mondo Arabo fra i primi secoli dell’era attuale e il mondo moderno, abbiamo preso atto di una relazione costante fra l’Africa Settentrionale e il resto del mondo, fondato sullo sfruttamento delle risorse dei primi a vantaggio dei secondi. Le relazioni tra primi e secondi si basavano sullo sfruttamento delle tre principali risorse che interessavano le potenze del Mediterraneo, vale a dire oro, sale, schiavi. Su questi traffici si basava il potere dei principali imperi sorti nell’Africa Settentrionale, come siamo ormai da secoli abituati a pensare. Al tempo dei Greci e degli Egizi, i rapporti con quella vastissima regione del pianeta si direbbe fossero completamente diversi, ne abbiamo testimonianza nella letteratura, nel mito, nella paletnologia, nell’archeologia. Un rapporto di civilizzazione al contrario partiva dall’Africa Sahariana, dal Sahel e dalla Sierra Leone, verso l’Egitto e la Grecia attraverso il Mediterraneo, ovvero nel senso opposto rispetto a quello comunemente inteso. Partiremo dunque dal saggio di Enrico Leva dedicato agli scenari africani nella mitologia greca, riassumendoli e integrandoli dove necessario con approfondimenti, per verificare che queste ipotesi non sia soltanto delle supposizioni ma si possa attribuir loro un fondamento.
Il saggio di Enrico Leva riporta le testimonianze delle fonti greco-egizie in cui non mancavano riferimento a una civiltà preistorica che si sarebbe sviluppata intorno ai monti dell’Atlante nell’Africa Occidentale, e che si sarebbe diffusa in tutta l’Africa Settentrionale dal Sahel all’Egitto. Una civiltà che le fonti di allora collocavano durante quello che successivamente la climatologia paleografica definirà come Periodo umido africano, tra 10.000 e 6.000 anni prima dell’era attuale. In quel periodo, si ritiene che il Sahara non fosse un ambiente desertico, ma che fosse percorso da alberi e laghi, una sorta di savana a macchia di leopardo che Eustathios Chiotis chiama addirittura Sahara verde. E’ in quel periodo che Platone colloca la potenza degli Atlantidei, con riferimento alle isole antistanti le coste dell’Africa Occidentale, dove i Greci immaginavano si trovassero le isole dei beati, l’ingresso al Tartaro e dove ritenevano fossero nati i loro stessi dèi per filiazione a partire da un primordiale culto all’Oceano. Del tutto naturale, nel clima ipotizzato durante quel periodo in tutto il Sahara, la presenza di cacciatori, raccoglitori, pescatori e più tardi pastori. Migrazioni probabili sia dal nord, dal Maghreb e dalla Cirenaica, che da sud e da est. Testimonianze di questa presenza le abbiamo nelle grotte dei monti Tadart Acacus, come nel sito di Uan Afuda e in quelli di Uan Tabu e Takarkori. Dal cimitero preistorico di Gobero nel deserto Tenere si è potuti risalire anche al tipo di civilizzazione qui presente. Intorno al lago Tolomeo in Nubia ad esempio. La vita di allora sembrerebbe molto dipendente dall’acqua, sono infatti stati ritrovati molti strumenti per la pesca, al punto che questa cultura venne definita ‘acqualitica’. Non si tratta di una civilizzazione uniforme e unitaria, non risulta nemmeno un’entità statale o un centro amministrativo. In questo periodo il Nilo era ridotto a una palude insalubre. In tutta l’Africa Settentrionale praticava la caccia ad animali di grandi dimensioni ma si coltivavano anche i cereali, si praticava l’allevamento di pecore, capre e più tardi bovini. In alcuni luoghi pare che si conoscesse anche la trasformazione del latte in formaggio. Il ritrovamento di una canoa a Dufuna, nell’attuale Nigeria settentrionale, datata al VII millennio a.C., lascia supporre la possibilità che fosse diffusa una pratica della navigazione in quel territori, ipotesi rafforzata da diverse raffigurazioni di nuotatori nelle pitture rupestri. E’ stata identificata una cultura Acacus iniziale nei monti Tadrart Acacus, una cultura Kiffiana nel Niger che risalirebbe proprio all’inizio del periodo umido africano. Sono stati ritrovati anche manufatti in ceramica in luoghi attualmente non ospitali, che potrebbero in teoria essere finiti là anche per transito su rotte commerciali. Tuttavia la produzione di oggetti in pietra complessi era diffusa in tutta l’Africa settentrionale. Dati genetici e risultati della ricerca archeologica, fanno pensare a una significativa migrazione dalle regioni del sud, ma anche dal nord e sembrerebbe più che probabile anche la presenza di popolazioni eurasiatiche migrate in quel periodo verso l’Africa. Questi ritrovamenti sono stati messi a confronto con la mitologia antica, in particolar modo con i temi del paradiso terrestre nella Bibbia, o i campi Elisi e l’età dell’oro nel mondo classico. Sembra inoltre che la linguistica abbia attribuito a questo periodo la diffusione delle lingue nilo-sahariane. Una civiltà Euro-Africana non unitaria, non uniforme ma caratterizzata dall’incontro avvenuto fra diverse culture provenienti da tutto il mondo allora conosciuto, si sarebbe dunque sviluppata in età preistorica, durante il periodo umido tra XI e VII millennio a.C., per il clima favorevole venutosi a creare in quella regione, che solo un breve tratto di mare separava dall’Europa. La fine di questo periodo coincide con un cambiamento climatico relativamente rapido, che si sarebbe verificato nell’arco di circa seicento anni a partire dal VI millennio a.C., quando sulle rive del Nilo iniziarono a svilupparsi i primi nuclei della civiltà pre-dinastica ancora tendenzialmente palafitticola. Si ritiene però che alcune regioni del Sahara fossero state ancora abitabili nel periodo successivo, questo potrebbe indurre a ipotizzare una continuità storica fra le civiltà del periodo umido africano e quelle registrate nelle fonti scritte successive, al punto che alcuni ne spostano la fine di addirittura intorno al V secolo a.C.
Enrico Leva parla di una serie di temi mitologici in cui sono presenti gli spazi africani. Il mito di Atlante è collegato con quello delle Gorgoni, donne dal corpo serpentino e rettili al posto dei capelli, che si riteneva potessero pietrificare con lo sguardo, proprio quello stesso sguardo che avrebbe pietrificato il gigante tramutandolo nella montagna che ancora possiamo trovare nell’Africa Settentrionale, tra Maghreb e Sahel. Atlante era anche il padre delle Esperidi, letteralmente Figlie del tramonto, riferimento all’Occidente, le cui mele d’oro Ercole dovette raccogliere nella suprema delle sue prove, uccidendo il drago che le custodiva. Interessante il dettaglio del serpente Ladone, custode del giardino, che secondo il mito greco sapeva parlare tutte le lingue. Riferimento a una cultura ‘cosmopolita’, aperta ai contatti con molti popoli, caratteristica del resto propria del Sahel che ha vissuto per secoli del commercio attraverso il deserto. Il mito di Atlante che sorregge il cielo sulle proprie spalle viene ricollegato dall’autore di questo saggio allo sviluppo di conoscenze proto-astrologiche in queste regioni con cui i Greci, popolo di navigatori, sarebbero venuti in contatto in epoca arcaica. Frobenius parla di civiltà megalitiche, con le quali sarebbero entrati in contatti Greci, Etruschi, Fenici. Prima della raccolta delle mele d’oro, che possiamo ‘materialisticamente’ ricollegare alle miniere d’oro presenti nel Sahel, Ercole aveva liberato le figlie di Atlante dai pirati per conto di Busiride re d’Egitto, uccidendoli uno ad uno con l’arco e le frecce, fu proprio in cambio di questo servizio che il re africano gli aveva insegnato i principi dell’astronomia, da lui poi importata in Grecia. In altre parole, i Greci sostenevano di aver imparato a leggere il cielo dagli Atlantidei stanziati sulle coste dell’Africa Settentrionale, con i quali erano in relazione per motivi commerciali (oro, oricalco) e militari (mercenari). Questo raccontavano di sé stessi tramandandosi il mito attraverso le generazioni, un racconto che possiamo accogliere come del tutto verosimile considerando gli approfondimenti sulla presenza umana nel Sahara durante il periodo umido dell’Africa e la ritirata di quelle popolazioni dal deserto con l’inaridirsi progressivo del clima. Durante il periodo dinastico dell’Egitto, l’epoca dei primi grandi imperi nel Medioriente, le popolazioni allora stanziate sulle coste libiche, tra Maghreb, Sahel e Sierra Leone, dovevano rappresentare quel che restava di un’arcaica presenza umana ritiratasi ai margini del deserto, cui si erano aggiunti gli apporti delle migrazioni interne all’Africa stessa, dal sud e dal corno orientale. Nel V secolo a.C. la catena dell’Atlante veniva già indicata con quel nome, che ritroviamo negli scritti di Erodoto e nella leggenda tramandata dalle Metamorfosi di Ovidio.
Un altro interessante racconto greco che interessa gli spazi africani è quello di Gerione Crisauride che regnava su un’isola detta Eritea, situata secondo il mito nell’Oceano, non lontano dal porto di Tartesso. Gerione era secondo il mito un gigante con tre teste e sei braccia. Possedeva mandrie di buoi che Ercole dovette rubare, quest’impresa corrisponde alla decima delle sue celebri dodici fatiche. L’eroe attraversò dunque l’Europa, la Spagna e lo stretto di Gibilterra, fu in quell’occasione che eresse le due famose colonne che secondo il mondo antico dovevano segnare la fine del mondo. Passato nella regione dell’attuale Mauritania, attraversò l’Oceano e sbarcò in Eritea. Il luogo viene da alcuni identificato nelle isole Canarie, da altri in un luogo di fronte alla foce del fiume spagnolo Guadalqivir, nelle vicinanze di Tartesso. Altri ancora lo considerano semplicemente un luogo dell’immaginario connesso con l’idea stessa dell’oltretomba. La paletnologia conferma l’ipotesi di un Sahara non desertico nel quale a partire dall’ottavo millennio a.C. si sarebbero stanziate popolazioni di cacciatori-raccoglitori che praticavano l’arte rupestre e dipinsero almeno un uomo alto sei metri. Verso il 3500 a.C. si sarebbero diffuse in quegli stessi luoghi popolazioni recanti segni caratteristici dell’arte e della civiltà egizia, che vi sarebbero rimaste fino all’età dei cartaginesi. A partire dal 2800 poi alcune popolazioni del nord Africa migrarono in Europa attraverso la Spagna, spingendosi fino all’Etruria e nelle isole del Tirreno: Corsica, Sardegna, Sicilia, per ricongiungersi infine con la civiltà danubiana, dando luogo alle prime culture agricole europee. I Greci chiamavano dunque Atlantidi, detti anche Felici, proprio quei popoli dell’Africa Settentrionale che discendevano dalle molte culture del cosiddetto Sahara verde. Anche gli dèi secondo loro provenivano tutti da quella regione, discendevano da Oceano e primo fra tutti annoveravano Urano che insegnò agli uomini il vivere in comunità, il darsi delle leggi e l’arte della pastorizia. Astrologo e veggente, fu lui a istituire l’anno solare e il calendario lunare. Suoi figli furono Atlante e Crono (il latino Saturno), che dominavano su un territorio compreso tra l’Atlante, la Libia, l’Italia insulare. Anche la civiltà cretese concordava sull’origine esperide di Crono. Si trattava insomma di divinità nate nell’Africa Settentrionale, in epoca preistorica. Inutile dire che Mnemosine, dea della memoria, in quanto sorella di Crono si considerava pure di origine africana, non greca.
Enrico Leva sostiene che i sacerdoti egizi concordassero sull’idea di un’Africa Settentrionale dall’Atlante all’Egitto governata dai figli di Atlante, e che questo avesse ereditato il suo regno dall’Atlantide di Poseidone. Atlante sarebbe in questo caso figlio di Poseidone, non di Urano. Il mito riportato da Platone viene da alcuni accostato a quello dei popoli megalitici che avrebbero preso il mare intorno al 2800 a.C. costruendo numerose città in tutto il Mediterraneo, distribuendosi fino ai mari del Nord. Quei popoli del mare da alcuni ricordati come Shardana, che prestarono servizio come guerrieri mercenari per diversi imperi e in alcuni periodi arrivarono a conquistare e amministrare lo stesso Egitto. Secondo Frobenius il centro di questa civiltà ‘poseidonica’ sarebbe stato nei pressi di Tartesso e avrebbe influenzato varie civiltà a noi note, come quella etrusca e fenicia. Tracce di quella cultura sarebbero rimaste fra gli Yoruba della Nigeria, tra i quali sono stati rinvenuti elementi di culti religiosi con diverse analogie rispetto a quelli degli Etruschi. Persino la dea Atena, da cui prende il nome la città greca di Atena, secondo gli stessi Greci era nata in Libia (con questo nome si indicava allora una porzione di territorio molto più vasta di quella entro gli attuali confini), più precisamente presso quello che Erodoto e Plinio chiamavano il Lago Tritonide, identificato da alcuni con l’attuale lago Chott el Jerid in Tunisia. L’aspetto guerriero di Atena è compatibile con la sua origine nord africana, dove secondo la storiografia greca erano stanziate da molto prima delle Amazzoni Scitiche delle tribù di donne dedite all’arte della guerra, che dopo la maternità si dedicavano alla politica e all’amministrazione dello stato, dagli uomini servite e accudite amorevolmente. Diodoro Siculo raccontò le imprese da queste compiute sotto la guida di Mirina contro gli Atlantidi e le Gorgoni, poi in Egitto e quindi nel Medio Oriente. Palefato a questo proposito condivide l’ipotesi di Strabone secondo cui la formazione di intere società matriarcali governate da donne organizzate militarmente fosse improbabile, per la naturale superiorità dell’elemento virile nel maschio, identificando piuttosto le Amazzoni in tribù di barbari usi a radersi la barba e indossare ampie vesti talari che li rendevano simili alle donne, o eventualmente in confederazioni femminili dedite all’arte della guerra e al culto delle armi. Solo le Gorgoni appaiono nel mito greco in tutto e per tutto come dirigenti di comunità nell’Africa Occidentale. Tuttavia il tema iconografico dell’Atena Nera è del tutto compatibile con il racconto delle sue origini libiche, mentre il volto della Gorgone sul proprio scudo rimanda sia al matriarcato dell’Africa Occidentale, sia alle imprese di Mirina tra l’Atlante e il Sahara.
Ricerche recenti sembrano indurre a ritenere che il culto egizio di Ammon, il dio raffigurato con la testa di ariete che i Greci pretendevano si fosse rifugiato in Egitto durante la guerra degli Olimpi contro i Giganti, non avesse influenzato il culto dell’Ammone libico nell’oasi di Siwah, ma che al contrario fosse stato influenzato da quello. Le popolazioni del Sahara veneravano da molto prima col nome di Amon, o Aman, arieti e mufloni con le corna adornate, una divinità che ancora oggi nel linguaggio dei Tuareg come tra i Guanci delle Canarie, viene assimilata all’acqua.