Podcast. Le Amazzoni in Africa tra mito e realtà
Le Amazzoni in Africa
Podcast a cura di Federico Berti
Myrina e il mito greco delle Amazzoni
Una delle Amazzoni nei testi classici si chiamava Myrina, nativa di Temiscira nell’attuale Turchia, che secondo il mito greco dichiarò guerra agli Atlanti, un popolo africano residente sulle rive dell’Oceano in cui si diceva che gli dèi fossero nati. Sebbene in merito a questa regione dell’Africa si riferisca il mito comunemente a un vago nome di Libia, in realtà con questo stesso nome i classici tendevano a indicare tutto il Sahel e gran parte del Sahara. I cosiddetti Atlanti abitavano sui monti dell’Atlante, dunque tra Algeria, Marocco e Mali. Secondo Erodoto (Storie IV 184,4-5) esistevano davvero, stanziati in una zona che dista dieci dalla zona dei Garamanti, presso una collina di sale e una sorgente d’acqua, a dieci giorni di marcia dal monte Atlante, un monte così alto che non se ne riesce a vedere la vetta. Per farsi un’idea della collocazione che Erodoto attribuiva a questi luoghi, i Garamanti erano un popolo di lingua berbera che si riteneva occupassero una regione dell’Africa sahariana corrispondente all’attuale Libia, Niger, Ciad, parte dell’Algeria e del Mali, fino alle regioni montuose del Sahel. Gli Atlanti secondo lo storico greco sostenevano di non elaborare sogni nelle ore notturne e di essere vegetariani. Tornando dunque alla nostra Amazzone, ella si pose alla testa di un esercito formato da tremila combattenti a piedi e ventimila a cavallo, tutte donne, con le quali conquistò la città atlantica di Cerne uccidendo tutti gli uomini validi e catturando sia le donne che i bambini. Gli Atlanti si arresero subito, la condottiera siglò con loro un trattato costruendo una città che portava il proprio nome. Fu allora che gli stessi Atlanti chiesero alle Amazzoni di aiutarli contro le Gorgoni, che evidentemente i Greci immaginavano presenti sul suolo africano. Molte di queste Gorgoni vennero fatte prigioniere e nonostante questo riuscirono a ribellarsi uccidendo diverse guerriere, queste ultime reagirono massacrandone un gran numero. Per onorare le compagne cadute, Myrina eresse tre grandi tumuli conosciuti in epoca storica col nome di Tombe delle Amazzoni. Dopo questa grande impresa, Myrina e le sue compagne conquistarono la Libia e poi passarono all’Egitto su cui regnava Oro, figlio di Iside, concludendo con lui un trattato di amicizia. Quindi organizzò una spedizione contro gli Arabi e dopo aver saccheggiato la Siria, risalendo verso nord, sottomise i Cilici. Poi passò attraverso il Tauro, la Frigia e raggiunse la regione di Caicò, dove terminò la sua spedizione. La grande condottiera venne uccisa secondo la tradizione da un re Trace. E’ menzionata anche nell’Iliade, dov’è presentata come figlia di Teucro e sposa di Dardano.
Le Amazzoni del Dahomey
Fin qui il mito greco, veniamo ora alla realtà. Nota Diplomatica, in ‘Nuovi Vespri’, La storia delle Amazzoni di Dahomey. Quello delle Nonmiton (‘Nostre madri’), ovvero le donne guerriere più feroci del mondo, è stato un corpo speciale realmente esistito molti secoli più tardi rispetto al racconto classico, una guardia reale costituita da circa duemila donne, un terzo di tutto l’esercito, addestrate a combattere fino all’ultimo sangue fin da bambine, tagliavano la testa ai loro prigionieri. Si racconta che inizialmente fossero cacciatrici di elefanti. La fondatrice eponima dell’ordine fu la regina Tasi Hangbè, figlia del re Houegbadja e sorella gemella del re Houessou Akaba. Di lei si racconta che durante una battaglia contro gli Ouèmènou avesse vestito i panni del defunto fratello per scendere in battaglia, un gesto che la mise in condizione di dover abdicare. Per molto tempo furono una sorta di sorellanza segreta. Fu il nono re del paese a investire su questo nuovo corpo d’armata, equipaggiandole e addestrandole in modo non più ufficioso ma istituzionalizzandole. L’ultima di loro è morta nel 1979 più che centenaria. Il regno di Dahomey si trovava nella regione dell’attuale Benin, era uno stato fondamentalmente schiavista la cui economia si basava essenzialmente sulla vendita dei prigionieri ai bianchi della costa meridionale che li comperavano per poi spedirli nel Nuovo Mondo. Il 20% degli schiavi che partivano per l’America passavano da Ouidah, il porto di Dahomey. Iniziavano a otto anni l’addestramento e dovevano gettare un prigioniero da un’alta rupe in un rito pubblico di passaggio, per dimostrare quanto fossero spietate. Prendevano con tre colpi d’ascia la testa e i testicoli dal corpo dell’uomo vinto in combattimento, interessante notare che si armavano di moschetti olandesi e machete. Sono rimaste in attività per almeno duecento anni, una delegazione francese assistette nel 1880 a una di queste esecuzioni, l’esecutrice dopo aver decapitato il nemico leccò il suo sangue dall’arma, tra le urla d’incitamento delle compagne. Nel 1861 un prete italiano, don Francesco Borghero, riferiva di averne viste a migliaia scalare a piedi e mani nude alberi alti più di cento metri per addestrarsi al combattimento. Nel 1863 l’esploratore inglese Richard Burton rimase molto impressionato, al punto da scrivere : “Tale era la dimensione del loro scheletro e lo sviluppo dei loro muscoli, che spesso le riconoscevi per donne solo dal seno”. Burton paragonò il paese a una ‘Sparta nera‘. In quel periodo 6000 donne erano arruolate nell’esercito del Dahomey. Le Amazzoni di Dahomey erano considerate simbolicamente mogli del re, dunque regine, ma in realtà il sovrano stesso non aveva il diritto di toccarle, erano votate alla castità. Tra loro c’era una unità specializzata nell’assassinio degli ufficiali francesi, che talvolta si racconta sgozzassero dopo aver passato la notte con loro come nel mito testamentario di Giuditta e Oloferne. Tra le voci che si svilupparono sul loro conto fu quella di divorare i corpi dei loro nemici. Furono smantellate nella Battaglia di Cana del 1892, vinta dai Francesi della Legione Straniera opponendo mitragliatrici a queste donne armate ancora di machete e vecchi moschetti ad avancarica. Nell’estate del 2021 è entrato in fase operativa il progetto di creare ad Abomey un Museo dedicato all’epopea delle Amazzoni, finanziato con i fondi per lo sviluppo dell’Agenzia Francese (Afd) con un finanziamento per l’equivalente di 35mila euro tra sovvenzioni e prestito, affidato per l’attuazione all’Agenzia Nazionale per la Promozione del Patrimonio e del Turismo (Anpt) in collaborazione con il Ministero della Cultura Francese. Il progetto prevede il ripristino e la valorizzazione di quattro palazzi reali del Dahomey, con il rientro in Benin di opere e reperti da diverse altre parti del mondo e la realizzazione di una passeggiata intorno ai 47 ettari del sito. Secondo i documenti dell’epoca, il Dahomey fin dalla sua costituzione visse in uno stato di guerra continuo, specialmente contro gli Yoruba della Nigeria contro i quali avevano uno speciale accanimento.
Sony, Marvel e Amazon.
Qui viene la parte postmoderna del racconto storico. Le Amazzoni di Dahoney hanno ispirato il film Marvel ‘Black Panther’, dove viene ripresa e ambientata in un regno fittizio e in men che non si dica, il mito ritorna realtà. Un articolo su ‘La Stampa’ del 2018 racconta di Rubinelle, una giovane donna di Abomey che insieme ad altre ragazze si prende cura dell’anziana Reine Hangbe che secondo il curatore dell’articolo è ancora oggi di religione Vudù. Non possiamo essere sicuri cosa intendesse il giornalista con questo termine, data la confusione che spesso intercorre tra le religioni tradizionali dell’animismo africano e il sincretismo del Vudù propriamente detto. Le giovani donne affermano di essere fermamente intenzionate a difendere questa donna a costo della loro stessa vita, che rappresenti per loro una divinità. E’ evidente che non possa trattarsi dei corpi speciali smantellati nell’800 dalla Legione Straniera, ma piuttosto di un ritorno del settarismo guerriero ispirato proprio dal film della Marvel. Arthur Vido, professore di Storia delle Donne all’Università di Abomey, spiega che con il cambiamento sociale degli ultimi anni si è riacceso in Africa l’interesse per la storia di quest’ordine combattente, divenuto sempre più un modello nella lotta per l’emancipazione di genere. La regina Rubinelle gira per la città con ombrelli decorati da capelli e ossa dei nemici. Le Amazzoni erano chiamate anche Mino, letteralmnente ‘madri’ ma anche ‘mogli’. Ora il mito viene ripreso dall’industria cinematografica Nigeriana, ‘Nollywood’. La Sony Pictures Television e il network nigeriano EbonyLife, emittente televisiva molto diffusa in tutta l’Africa, sta progettando un serial televisivo per raccontare la storia delle Amazzoni di Dahomey, questo sembra quasi un paradosso: un’industria cinematografica western-friendly affiliata a una delle più grandi multinazionali del pianeta, la Sony Pictures, vuole raccontare la storia di un corpo d’armata che ha strenuamente combattuto il dominio coloniale, a costo della sua stessa vita, in un momento così delicato per la vita del paese, caratterizzato dalla rinascita di movimenti come le Asce Nere. Difficile non pensare all’ennesima strumentalizzazione della storia per farne mito strumentale alla propaganda, resta da capire in quale senso. L’amministratore delegato della EbonyLife, Mo Abudu, annuncia l’accordo con al Sony e dichiara di voler raccontare la storia dell’Africa secondo una prospettiva africana, per quanto il successo al botteghino del film Marvel rappresenti un punto di vista tutt’altro che africano. E’ noto che la EbonyLife è nata nel 2013 e produce film per il pubblico africano di lingua inglese, in collaborazione con Amazon, il che la dice lunga sul destinatario di quest’operazione. Proprio questo è il punto, si parla di un nuovo partenariato fra USA e Nigeria, per rivedere i racconti sull’Africa. Femi Odugbemi, regista nigeriano, si dice entusiasta del progetto. Un artista di strada francese, YZ Iseult, afro-discendente da una famiglia di schiavi, ha chiamato ‘Amazone’ la serie di pitture di strada che raffigurano forti guerriere. Tornata nel Senegal, il suo paese di origine, per una ricerca documentaria sul progetto, sostiene che vi siano molte figure femminili a noi poco conosciute che possono offrirci delle visioni ispiratrici.
Lo schiavismo del Dahomey
La questione dello schiavismo del Dahomey rimane aperta e pone la storia delle Mino in una luce assai meno enfatica rispetto al mito della cinematografia anglo-nigeriana. Un racconto eponimo vuole che Dakonodu, considerato il secondo re dello stato, ottenne il permesso dai governanti locali di insediarsi sull’altopiano di Abomey, rivendicando in particolare anche le terre del capo Dan. Questi gli rispose: “Devo anche aprirmi la pancia e consentire che tu vi costruisca la pancia dall’interno?”. Per tutta risposta Dakonodu uccise il capo Dan e iniziò sul suo cadavere a costruire il proprio palazzo. Sebbene lo storico Edna Bay lo consideri un falso mito, sarebbe interessante ricostruirne la nascita e la diffusione. Si deve tener presente il ruolo che ebbe il regno di Dahomey nella tratta degli schiavi con il Nuovo Mondo, poiché furono in primo piano in questo settore arrivando a procurarsi loro stessi manodopera servile nelle aree limitrofe, entrando in competizione con gli Oyo. Lo schiavista brasiliano Francisco Felix de Sousa lo appoggiò per incrementare la tratta fondamentale all’economia brasiliana, poiché erano particolarmente ‘produttivi’ in questo settore, più di molti altri popoli vicini. Gli abitanti dei villaggi scappavano nelle campagne per fuggire alle razzie del Dahomey, fu proprio da questo movimento che nacque la città di Abeokuta, che si oppose fermamente ostacolando in ogni modo il regno di Dahomey nel suo infame commercio. Questa città era nata da una confederazione di schiavi provenienti da varie regioni e costituita da popoli di diverse etnie, che continuarono a mantenere per lungo tempo i loro costumi e le loro usanze. L’area costiera iniziò ad essere controllata dai francesi nella seconda metà dell’Ottocento, fu con l’occupazione del porto di Cotonou e Portonovo che i Dahomey si resero conto del pericolo e iniziarono a razziare i presidi del protettorato, da cui si passò alle guerre franco-dahomeiane. Gli schiavisti europei descrivono il regno Dahomey come una monarchia dispotica, per quanto i loro racconti siano certamente esagerati per screditare il popolo rispetto al potere coloniale, in special modo davanti alla corona del Regno Unito. Il lignaggio si trasmetteva di padre in figlio. Il Gran Consiglio era un’assemblea che raccoglieva i dignitari del regno, includendo sia uomini che donne. Tra le figure chiave era previsto anche un viceré o chacha ed è di particolare interesse che il primo chacha creato dal re Ghezo sia stato proprio lo schiavista Francisco Felix de Sousa, titolo poi da lui trasmesso per via ereditaria anche ai propri discendenti. Questo è un elemento non trascurabile nella valutazione della storia relativa al regno di Dahomey, poiché non si può banalmente considerare come una presa di posizione della propaganda, ma va ricondotto a una scelta consapevole da parte del sovrano. Un atto istituzionale. Le relazioni tra il Dahomey e gli altri stati furono sostanzialmente influenzate in modo profondo dal commercio degli schiavi. Prima la competizione con gli Oyo che controllavano Porto Novo, poi il sorgere di Abeokuta come città franca, un paradiso in cui non esisteva la schiavitù. La tratta con l’impero portoghese, olandese e inglese, ebbe inizio nel Seicento ed è curioso che le Amazzoni del Dahomey combattessero proprio sparando con moschetti olandesi. Con la fine della schiavitù, entrò in crisi il sistema economico del regno, facilmente riassorbito dai conquistatori. Due terzi delle combattenti non era sposata, e lo stesso Burton sopra citato rileva l’esistenza di un corpo di uomini addetti alla soddisfazione sessuale delle guerriere. In ultimo, si registrarono anche degli eunuchi consiglieri del re e agenti dello spionaggio.