Pelasgi a Napoli? Colonizzazione dell’immaginario
Il mito nazionalista dei Pelasgi
Note di Federico Berti intorno a
un articolo di Nicola Corcia1
Fu la nazione de’ Pelasgi vagante, e molto inclinata alle emigrazioni. Essa grande* incute si ampliò , poi soggiacque ad una rapida decadenza.
Strabone XIII, p.922 c
Scarica il Pdf di questo articolo
Secondo Nicola Corcia2, storico e archeologo napoletano pienamente ottocentesco nei contenuti come nel linguaggio, il popolo napoletano discenderebbe alle migrazioni di un mitico popolo di Pelasgi, che si sarebbe insediato nel territorio del Regno di Napoli molto prima della fondazione di Neapolis. Non riesce tuttavia a ricostruire un’identità propria di questo popolo, da un lato sembrerebbe volerli identificare nei protagonisti dei Ritorni di Anticlide3 e dall’altro nei costruttori delle architetture cosiddette ciclopiche rin-venute sia nella penisola Italica, sia nel territorio dell’antica Grecia. Dal momento che non lasciarono testimonianza scritta del loro idio-ma, né mai tramandarono memoria dei loro costumi, nessuno ha mai saputo ricostruire molto della loro vita. Il motivo per cui l’autore si dedica a quest’indagine, è per sua stessa ammissione ‘patriottico’, ovvero il desiderio di far luce su un possibile antenato eponimo del popolo italiano, in un periodo storico (siamo nel 1839) in cui il nazionalismo romantico si pone il problema di giustificare le guerre d’indipendenza.
Nel testo del Corcia si fa menzione delle innumerevoli prospettive opposte diffuse al suo tempo, rispetto alla supposta identità di questi Pelasgi, con risultati inevitabilmente contraddittori: qualcuno ne avrebbe parlato come di un popolo nomade, guerriero, altri come di un popolo sedentario, agro-pastorale, altri ancora come di una cultura soggetta a inviare coloni in diverse regioni del mondo. L’autore si dedica poi a una lunga disamina dei luoghi dove la tradizione greca sosteneva fossero stati insediati, citando le coste dell’Asia Minore, l’Epiro, le isole del Peloponneso e l’isola di Creta che avrebbe da loro preso il nome. Lesbo e Rodi furono, sempre secondo questa tradizione greca, abitate dai Pelasgi. Servio4 li collocava esplicitamente nel bacino del Sarno al tempo della Magna Grecia, da cui la teoria del Corcia sui Pelasgi nel territorio dell’antica Neapolis. Tutte queste affermazioni sono talmente contraddittorie fra loro da non avere nessuna legittimazione storica, si prestano tutt’al più a qualche vaga pretesa nazionalistica di dichiararsi discendenti da un popolo primigenio per giustificare la propria rivendicazione di autonomia.
Jean Berard5 sostiene che le fantasie intorno ai Pelasgi siano del tutto irricevibili, che con quel termine gli stessi Greci indicassero con molta vaghezza tutte quelle popolazioni pre-elleniche, residenti un tempo nei luoghi dove loro man mano si erano insediati, talvolta descritte come estinte, decadute, altre volte come culture preesistenti l’ellenizzazione, ma volutesi nello stesso popolo greco. Sappiamo da Dionigi di Alicarnasso che questi popoli venivano distinti dai barbari6, che essi stessi avevano più volte sottomesso e talvolta scacciato dai territori colonizzati. Fra le teorie moderne non possiamo passare sotto silenzio Giovanni Garbini che provò a identificare nei Pelasgi il popolo biblico dei Peleset, ovvero i Filistei dell’Antico Testamento, che Omero chiamava Pelasti e che si ritroverebbero nominati in un papiro egiziano del XII secolo a.C. nel quale vengono classificati come uno dei cosiddetti Popoli del Mare (hyksos) i quali di tanto in tanto servivano come mercenari per l’Egitto. Nelle iscrizioni di Medinet-Habu, questi sembrano avere un aspetto compatibile con quello degli armamenti Achei. Nel libro di Geremia7, i Filistei vengono detti Cretesi, o Superstiti di Kaftor, luogo in cui l’archeologo tedesco E. Edel avrebbe identificato la Keftiu delle Lettere di Amarna, ovvero l’isola di Creta. Micenei, dunque. Lo stesso Eusebio di Cesarea parla esplicitamente di un dominio dei mari attribuito ai Pelasgi, anche in questo caso identificati con i Filistei, su gran parte del Mediterraneo.
Quando si parla di Pelasgi quindi, tirando le somme, non vi è al mo-mento nessuna conferma dell’ipotesi che costituissero un popolo unitario, con un governo centrale e una chiara localizzazione territoriale, nemmeno dal punto di vista linguistico si ha un’identificazione certa, se non quella dei Greci che chiamavano Pelasgi qualsiasi popolazione non barbarica, ovvero a uno stadio evolutivo più articolato rispetto a quello del clan comunitario, la quale abitasse (o avesse abitato) prima di loro nei luoghi in cui si questi insediavano8. Coloro che hanno provato a ricostruirne possibili tratti linguistici, non sono riusciti mai a trarne un profilo etnicamente connotato, vi hanno talvolta rilevato una componente indoeuropea, altre volte commistioni con lingue di tipo semitico, altre volte ancora prestiti linguistici dalle popolazioni del nord Europa. Anche nel culto religioso, qualcuno ha osservato l’assenza di alcune tra le divinità proprie delle popolazioni indoeuropee, compensate dalla presenza di altre divinità venerate nell’Asia Minore9. Lo stesso nome non è quello con cui tali popoli nominavano sé stessi, ma una denominazione generica attribuita dai Greci a popolazioni differenti dalla loro, di cui avevano interesse a identificarsi come discendenti e prosecutori.
Se volessimo provare a mettere insieme tutte le considerazioni fin qui raccolte, dovremmo dunque partire dalle grandi migrazioni partite fin dalla metà del terzo millennio a.C., che dalle steppe dell’Asia Centrale si sarebbero insediate nell’Europa centrale dando origine ai popoli di lingua germanica, nelle pianure russe evolvendo negli slavi, nella penisola balcanica dando origine ai Greci, le migrazioni indoeuropee da cui si sviluppò la civiltà micenea nel Mediterraneo. Cadremmo però nello stesso equivoco del Corcia, dimenticando il ruolo del sincretismo culturale, dell’evoluzione comune e delle comunità immaginate che evolvono costantemente attraverso gli scambi linguistici, culturali, commerciali, la condivisione dei culti religiosi, lo scontro politico, le guerre e le devastazioni, l’adattamento. E’ evidente come ciascuno di questi popoli abbiano seguito nel corso dei secoli, dei millenni, uno sviluppo culturale proprio, frutto dell’interazione con altri popoli incontrati sul loro cammino, con i quali si sarebbero col tempo integrati, o che avrebbero sottomesso con la forza, o influenzato attraverso il commercio e la cultura. Non ha dunque senso affermare che un popolo migrato due, tre millenni prima, da un luogo lontano, possa essersi evoluto in un popolo del presente, come se a quest’evoluzione non avessero contribuito in questo lungo arco di tempo innumerevoli altri popoli10.
Dobbiamo perciò cambiare prospettiva, pensando ai Pelasgi non come a un popolo primigenio11, ma come un’invenzione eponima che trae le sue origini dalla la condizione primigenia degli apolidi in cerca di ventura, popoli che stanziatisi in un determinato luogo tentava-no di ritrovare nelle culture locali una linea di continuità con la propria, sia per giustificare la loro presenza in loco, sia per tessere una comunità immaginata12 con le popolazioni del posto. Ogni civiltà ha sempre cercato di individuare un sostrato di popoli ‘pelasgici’ dei quali dichiararsi il legittimo discendente, in qualsiasi parte del mondo e in ogni tempo, storico e preistorico. Parlare dunque di Pelasgi nel territorio neapolitano non dice molto di coloro che dovevano abitare il territorio prima del V secolo a.C.
1Nicola Corcia, De la Venuta de’ Pelasgi in Italia, in: ‘Il Progresso delle scienze, delle lettere e delle arti’, n. 46 – Luglio-Agosto, Napoli, 1839.
2Nicola Corcia è stato uno storico, archeologo, critico napoletano del XIX secolo. Socio della Regale Accademia Ercolanense di Archeologia. Autore di nume-rosi saggi e di Storia delle Due Sicilie dall’antichità più remota al 1789 in quattro volumi pubblicati a Napoli fra il 1843 e il 1852.
3Anticlide è uno storico ateniese di epoca alessandrina, del quale non si è conservata nessuna opera integrale. Sappiamo da Strabone, V 2, 4, che fu sostenitore della tesi di una migrazione dei Tirreni, un popolo dell’Asia Minore, sulle coste della penisola italica, dove si sarebbero insediati dando origine alla civiltà etrusca. Va osservato che l’etruscologo Dominique Briquel, Etruscan Origins and the Ancient Authors, in Jean Turfa acd., The Etruscan World, London and New York, Routledge Taylor & Francis Grou, 2013, pp. 36-56, considera irricevibile questo mito eponimo, fabbricato a Sardis da Greci della costa ionica e legittimato nelle colonie della Magna Grecia siracusana intorno al V secolo.
4Servio, Ad Aeneida VII, 738.
5Jean Bérard, La Magna Grecia. Storia delle colonie greche dell’Italia meridionale, traduzione di P.B. Marzolla, Torino, Einaudi, 1963, p. 463.
6Nell’immaginario greco, si consideravano barbari tutti quei popoli che vivevano in comunità di sussistenza, nomadi o seminomadi, parlavano una lingua non greca e non costituivano un governo con un’amministrazione centrale.
7Geremia, 2, 4-5 e 47, 4.
8Secondo Gilbert Murray, Le origini dell’epica greca, Firenze, Sansoni, 1963, il termine Pelasgico deriverebbe da pelas gē (πέλας “terra vicina”), cosicché i Pelasgoi sarebbe niente di più che il popolo straniero più vicino ai Greci invasori”.
9Robert Graves ha approfondito questo tema in: La Dea Bianca. Grammatica storica del mito poetico, Milano, Adelphi, 1992.
10Qui sta l’errore fondamentale del nazionalismo ottocentesco, dal quale il Corcia è per sua stessa ammissione influenzato. Se volessimo portare alle estreme conseguenze il ragionamento patriottico dell’archeologo napoletano, allora le stesse guerre del Risorgimento sarebbero state combattute dai discendenti di uno stesso popolo primigenio, dato che tutte le nazioni coinvolte in questi scontri parlavano di fatto lingue indoeuropee. Il passo da queste teorie alle farneticazioni sulla purezza della razza, è quanto mai breve.
11Pelasgi è un termine greco che vuol dire letteralmente ‘abitanti della pianura’ contrapposto a Macedoni, ‘abitanti della montagna’. Un po’ come quelli che i cristiani chiamavano Pagani, ovvero abitanti del pagus, della ‘campagna’.
12Federico Berti, Rivoluzione interiore. Mondi possibili e guerra cognitiva, Bologna, Streetlib, 2023, p. 253, “Il senso dell’identità greca era dunque da ricercarsi esclusivamente nella continuità culturale garantita dall’uso di una stessa lingua, dalla condivisione di uno stesso orizzonte rituale, dalle interazioni sociali, commerciali, dalle arti, dalla filosofia; possiamo dire che il senso dell’identità comune esisteva solamente nel pensiero, si trattava cioè di uno stato senza stato, una comunità immaginata per l’appunto”.
- N. Corcia, De la Venuta de’Pelasgi in Italia, in:
« Il Progresso delle scienze, delle lettere e delle arti »,
n. 46 – Luglio-Agosto, Napoli, 1839. ↩︎