One Man Cover-band.

One man cover-band

Tratto da F. Berti
Gli artisti di strada non sono mendicanti

All’inizio tutti suoniamo i pezzi degli altri, è la cosa più normale del mondo. Un repertorio per essere completo deve inserirsi in una tradizione, che sia quella del suonatore popolare alla ‘posteggia’ o che sia quella del rockabilly, includere composizioni di altri autori è funzionale prima di tutto a imparare, poi a selezionare il pubblico cui vogliamo rivolgerci e dimostrare che non ci siamo svegliati quella mattina col pallino di fare una suonata. Se ad esempio vuoi proporti come cantautore di protesta, prima o poi qualcuno ti chiederà qualcosa di Caterina Bueno, Fausto Amodei, i canti delle mondine, dei minatori e così via. Se ti presenti come un virtuoso del blues e non hai nemmeno un pezzo di Jimi Hendrix, Eric Clapton, Robert Johnson, perdi una parte della tua credibilità: il motivo è che qualsiasi tradizione noi vogliamo portare avanti, dobbiamo dimostrare di averla prima imparata, specialmente quando siamo per strada e chi ci vede per la prima volta non conosce il nostro passato. Quindi all’inizio siamo tutti cover-bands

Quando suoniamo un repertorio misto di brani nostri e non, una pratica molto comune è quella delle ‘factories’, collettivi di autori ed esecutori che si scelgono a vicenda per suonare brani l’uno dell’altro da inserire sia nel programma delle serate dal vivo, sia in quello dei dischi venduti per la strada. Una pratica molto vicina alla tradizione dei cantastorie e dei suonatori da ballo popolari, attraverso la quale uno o più composizioni originali possono radicarsi in un territorio diventando familiari a molte persone. Questo naturalmente oltre a portare una gratificazione (anche economica) a tutti gli autori, contribuisce alla formazione di scuole locali, in questi casi non è più la cover-band a seguire le mode del momento, ma la prassi esecutiva si radica penetrando a fondo nella cultura locale… (Continua a leggere)


Tratto da F. Berti
Gli artisti di strada non sono mendicanti


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