La stella del mattino. Odissea in Etiopia.
La capanna sul Nilo
Odissea in Etiopia X
La stella del mattino
La stella del mattino rischiarava l’orizzonte dell’Africa Orientale, la Vergine intervenne al divino consesso in favore di quel tale Spartaco Musolesi, disperso fra le montagne d’Etiopia. “Che giustizia è mai la nostra, se consentiamo ai mortali di commettere tanto disgustose iniquità? Dei giovani innocenti caduti sul campo di Adua ben pochi han trovato la via del ritorno, alcuni di loro son passati a combattere in difesa del popolo etiope. Soltanto lui, quel ragazzo pieno di forza d’animo, è condannato a vivere tra i figli di Menelik. L’anziano padre Ermete partito da Roma alla sua ricerca, sta attraversando il mare dopo essersi esposto in patria all’accusa d’incitamento all’odio di classe, mentre una schiera di malvagi cospiratori non aspetta che il momento opportuno per tendergli un agguato. E’ questa la giustizia che riservi al Tuo popolo?”. “Di cosa ti lamenti, Regina del cielo e della terra!” le rispose il Sommo ingenerato, “Hai preso a cuore il destino di quel giovanotto, cosa t’impedisce d’aiutarlo a rientrare in patria e punire quei traditori che attentano alla vita del suo triste genitore? Del resto, non è forse un rinnegato, un incosciente buono soltanto a infiammare i cuori e sobillare le rivolte, rovesciando l’ordine sociale? Non ha forse indegnamente orinato nella mia santa vigna, da quando in qua i comunisti li protegge la Madonna? Non comprendo l’amore che provi per un tale sciagurato sovversivo, ma lo rispetto e concederò la grazia per la quale intercedi”. Ciò detto, si rivolse all’Arcangelo Gabriele: “Vola dunque in Etiopia da sorella Sabadina e dille che finalmente Spartaco può rientrare in patria. Viaggerà da solo a piedi, senz’armi in pugno. Dopo venti giorni troverà accoglienza presso i monaci abissini, che lo condurranno sano e salvo a destinazione. Perché il destino gli è favorevole.
La capanna sul Nilo
Prontamente l’angelo ubbidì al comando, spiegò le ali dorate e spiccò il volo attraversando la sfera del fuoco, le porte del paradiso terrestre alle sorgenti del Nilo e le sacre montagne, volava come un falco sulle insidiose foreste, più veloce d’una folgore. Quando giunse in vista della capanna in cui viveva la giovane Sabadina, sulle rive del grande fiume, venne a posarsi leggero. Lei stava cantando mentre pestava granaglie in un mortaio di pietra, tutt’intorno alla sua dimora sembrava che la foresta avesse lasciato il passo a un giardino fiorito dove gli uccelli trovavano rifugio nei loro nidi, polle d’acqua sorgiva bagnavano la terra, tutt’intorno crescevano muschi, licheni e fiorivano le viole. Tutto meravigliosamente pulito e curato, l’angelo ne rimase piacevolmente colpito. Spartaco era assente, come ogni mattina sceso al fiume sedeva sopra un sasso e rimaneva solo col proprio dolore. La donna riconobbe subito nell’ospite quel messaggero celeste dai cristiani d’Etiopia venerato con fede sincera, lo invitò a sedere poi disse: “Mi onora la tua visita. A cosa devo questo privilegio, parla! Farò quel che mi chiedi, ma prima gradisci la mia ospitalità e condividi con me questa bevanda, che ho preparata con le mie mani”. L’angelo accostò la coppa alle divine labbra, poi rispose: “Questo viaggio me l’ha imposto il Signore tuo Dio, altrimenti non mi sarei mai preso la noiosa incombenza d’un volo tanto lungo e doloroso, nei luoghi dove il sangue dell’uomo fu crudelmente versato dall’uomo. Son qui mio malgrado, perché la parola del Padre non si può dimenticare. Tu ospiti nella capanna un soldato, il più sfortunato di tutto l’esercito italiano arruolato per la campagna d’Africa. Quando le truppe vennero disperse egli lasciò sul campo gran parte dei compagni e si ritrovò solo, disarmato, vulnerabile in terra ostile. A stento poté salvarsi trovando rifugio nel tuo bel giardino, che un potente sortilegio nasconde agli sguardi indiscreti. Ora devi lasciarlo libero, perché là dove girano le ruote è deciso che il ragazzo possa tornare a casa”.
L’invidia del cielo
Sabadina a quelle parole si rabbuiò, “Il cielo m’invidia la felicità, si direbbe. Ho salvato quel ragazzo trovandolo nudo e ferito sopra un sasso, l’ho raccolto, l’ho nutrito, l’ho vestito. Non intendo oppormi, eppure fatico a comprendere la ragione per cui non possa convivere a fianco d’un mortale. Non potrò scortarlo personalmente il mio Spartaco, non ho armi né soldati ma lo consiglierò affinché raggiunga l’Italia sano e salvo”. L’angelo ribadì: “Deve partire al più presto, o incorrerai nel divino castigo” poi riprese il volo con la stessa leggiadria per tornare nell’azzurro firmamento sua dimora. L’abissina allora trattenendo le lacrime a stento, andò in cerca del giovane amico lungo le rive del Nilo Azzurro, rimase un po’ a guardarlo amareggiata, poi disse “Ora basta, non puoi continuare a consumarti nel pianto: è venuto il momento della tua partenza. Va nella boscaglia, procurati dei rami da intrecciare per conservarvi dentro le vettovaglie che ti darò, provvederò a cucire per te delle vesti adatte al viaggio”. L’italiano stupì e guardando in volto la donna, rispose: “Perché vuoi che attraversi la foresta solo e disarmato, forse mediti la mia morte? Bestie feroci, insidie, malattie sono in agguato. No! Non mi muoverò prima che tu abbia giurato di non nascondermi altro”. Lei sorrise, avvicinatasi al ragazzo lo accarezzò nel viso dicendo: “Non smentisci l’opinione che ho della tua intelligenza. Ascolta dunque, e insieme a te mi ascoltino gli uccelli che volano alti nel cielo, i pesci che nuotano nel fiume, gli animali che vivono intorno alla radura, nulla ordisco a tuo danno. Il tempo è maturo perché tu vada.
La partenza del soldato
Tornarono alla capanna, Spartaco sedette sopra lo stessa pietra dell’angelo, mangiarono ancora una volta insieme, poi lei così parlò: “Figlio di Ermete generoso Spartaco, se tu potessi prevedere le fatiche e le lotte che dovrai ancora affrontare, forse sceglieresti di rimanere accanto a me. Benché nel tuo cuore sia vivo l’amore per la famiglia, pensa che qui niente e nessuno potrebbe mai nuocerti. “Mia cara” le rispose, “Non irritarti. Il privilegio del paradiso in cui vivi non compete senz’altro con le ingiustizie che affliggono la mia terra, ma non potrei vivere qui pensando alle grandi battaglie che verranno: molti rischi ho patito per raggiungere i guerriglieri di Harar e finalmente comprendo, la vera guerra va combattuta in Italia, è il mio popolo a doversi riscattare. Una battaglia sanguinosa cui non voglio sottrarmi, sono pronto ad affrontare qualsiasi pericolo”. Con queste parole cessò il colloquio sul calar del sole, Spartaco e l’abissina si ritirarono dentro la capanna per riposare l’ultima notte insieme. Il giorno dopo all’alba Sabadina diede al soldato un’ascia e un coltello, accompagnandolo nella boscaglia; lei stessa gli indicava le piante, i rami più adatti da tagliare, poi tornò alla capanna mentre lui rifiniva il legno e lo intrecciava, cucì alcune stoffe in modo che andasse vestito alla maniera degli etiopi e preparò le vettovaglie per il viaggio. All’imbrunire, l’italiano mise la gerla in spalla, salutò la sua benefattrice e risoluto partì. La donna pianse a lungo vedendolo allontanarsi.
Odissea in Etiopia, episodio XI
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