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Non si emigra solo per miseria.

 

L’emigrazione ha cento volti

Star lontano ti cambia

 

Il mio povero marito veniva da un piccolo paese in provincia d’Avellino, fai conto erano 100 chilometri d’andare a Napoli. Lui aveva una situazione molto difficile in famiglia  che  non stiamo a dire, ma anche se erano benestanti dovette scappare come un miserabile,  solo con la camicia che aveva addosso. Non si emigra sempre per la miseria, delle volte anche per la paura. Di questo non si racconta spesso. Mio fratello invece era nella milizia ferroviaria. Nel momento che c’erano i tedeschi, lui ricercato  fece un nascondiglio in un letamaio di fronte dove noi stavamo sfollati, non la nostra casa.  Adesso glie lo spiego: tirò fuori tutto quello che c’era lì dentro, lo scaraventò in un campo, fecero un buco e si chiuse lì. Preparò ci mise della paglia, qualche panno, un bucanino per respirare e un pagliaio sopra che usciva da lì se aveva proprio bisogno. Mia mamma gli portava da mangiare dopo aver ubriacato i soldati, era furbetta preparava certi arrosti, vedessi! Nello scappare è caduto scavalcando una siepe, svenne che l’aiutò proprio lei a rialzarsi. Dopo andò nella montagna che s’era messo con altra gente, stavano cogli americani; questa non è emigrazione, è la resistenza lo sappiamo. Certo lasciare casa per la paura non è bello.  Però l’emigrazione dà anche tanta esperienza, adesso ti racconto di mio padre: andava a lavorare nella Svizzera tedesca, prima che nascessi. Durante l’occupazione lui sapeva il tedesco  perché l’aveva imparato lavorando, sia da leggere che da scrivere. Uno a sapere una lingua si difende meglio, riusciva a capire il suo lavoro e lì passò capomastro. Quando è tornato in Italia avevo già 16 anni, mi sentivo in soggezione perché aveva preso  un carattere autoritario, come fosse il capo dei tedeschi. Stare lontano da casa ti cambia anche, nel suo caso era diventato qualcuno. Questo vale non solo per noi italiani. Ho conosciuto in Germania un ragazzo siriano di trent’anni, giovane insomma, che ha accettato di cambiare vita e trasferirsi là perché nella sua terra d’origine aveva problemi con il governo: gli hanno fatto esplodere il locale che era di sua proprietà, lui scappò venne carcerato in Libano, percosso che ci ha mostrato i segni delle ferite e infine gli proposero di cancellare il passato iniziando una nuova vita. Ha perso tutto, era un benestante ora vive con il sussidio. Emigrato per paura anche lui.  Mi viene da dire che è di religione cristiana e forse anche per questo ha un comportamento più occidentale, atipico rispetto alla sua cultura d’origine, può darsi che abbia influito.

 

Beato Angelico, Fuga in Egitto, sec. XIV
Beato Angelico, Fuga in Egitto, sec. XIV

 

Io da bambina ero un terremoto che non avevo paura di niente. Durante la guerra i partigiani passavano di notte, una volta sentendoli dissi: “Chi è là?”, e loro: “Siamo noi!”. “Anch’io sono io!” risposi. Dove andate adesso? Abbiamo fame. Venite dalla finestra della cucina che lo zio vi prepara da mangiare. Vivevano alla macchia. Lo sa com’è la milizia, avevano lasciato le loro case per paura di essere uccisi. Erano disertori. Finita la guerra molti son tornati  alle famiglie, ma qualcuno è dovuto scappare perché lo perseguitavano lo stesso. Succedeva più che altro ai comunisti. Il fratello di mio padre andò in America, mandò a prendere una ragazza della Lucania e si sposarono là ebbero due figli, due maschi. Uno in California lavorava nei treni, uno in Illinois non lo so ma scriveva sempre per natale, per pasqua, ci mandava dei dollari. Poi diceva: “Baci mille”. Merry christmas. Mio zio suonava la fisarmonica nelle sale, se la fece venire da Castelfidardo pensa un po’. Abbiamo portato la nostra musica nel mondo. Furono i parenti dall’America a mandare i soldi a mio marito per partire dal suo paese. Loro hanno avuto fortuna, aprirono dei supermercati che stanno aperti giorno e notte ancora oggi, proprio a New York, poi tornano qui per ferragosto. Hanno molti dipendenti. Uno s’è comperato diversi appartamenti, anche noi siamo riusciti a comprarne diversi in Italia le tasse erano il doopio invece loro vivevano bene anche solo con due appartamenti. Gli altri miei parenti lucani sono a Milano adesso, hanno celebrato cinquant’anni di matrimonio. Io ho avuto un bar negli anni ’90, i miei clienti c’erano tanti extracomunitari. Li vedevo arrivare  la prima ondata alle quattro e mezzo della mattina, vedevi i camion in fila si fermavano a colazione andare in bagno, si ristoravano. Tanto sapevano che adesso io non dovrei dirlo ma la roba era buona, dalla tangenziale si fermavano là sulla rotonda allora si poteva, poi ripartivano. Una seconda ondata verso le sei e mezza della mattina,  il residuo quelli che non avevan voglia di lavorare e non facevano un tubo tutto il giorno li trovavi là sempre; avevano sfregi sulla faccia, perché facevano a botte; cercavano di andarsene senza pagare. L’emigrazione c’è questi e c’è quelli. (Continua a leggere…)

 

Federico Berti è artista di strada dal 1994. Pubblica la sua musica, promuove spartiti musicali per conto delle edizioni Italvox di Bologna, scrive romanzi, poesie, articoli che puoi leggere in parte su questo sito. Conduce dal 2007 laboratori di scrittura collettiva con persone molto anziane.

 

Tratto dal libro di Federico Berti

Gli anziani raccontano,
in memoria del presente

 

La copertina di questo libro, un quadro di Giotto raffigurante il classico topos del vecchio e del bambino, a simboleggiare la trasmissione della memoria storica attraverso le generazioni.

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