Nudi sul ghiaccio. Romanzo noir italiano. Libro, Ebook.

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Nudi sul
ghiaccio

Il Boia dell’Alpe n.14
Thriller italiano
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Dalla piccola finestra la vedo allontanarsi a piccoli passi, col bastone punzecchia la neve per conoscerla, gira intorno alla chiesa, sparisce nei vicoli. Rimango sola nel suo modesto appartamento al primo piano e guardandomi intorno l’occhio ricade sopra un’icona dei quaranta martiri di Sebaste, gli armeni lasciati a morire nudi sul ghiaccio colle gambe spezzate. Veneranda è una raffinata collezionista, avrà catalogato almeno duemila santini provenienti da ogni parte del mondo, c’è scritto pure chi glie l’ha portati e quando. Nudi sul ghiaccio, vuol del coraggio. La montagna gelata dell’Appennino, la lingua di neve che s’arrampica sui balconi come i pupazzi di San Nicola sembra invocare uno per uno i nomi di quei martiri, a protezione dei giovani piantati in asso dalle caldaie coll’acqua che goccia nelle ciotole di vetro, se manca la corrente vanno in blocco e ti lasciano al freddo. Non vogliono sporcarsi le mani. I vecchi son nati in case buie, umide, con un camino che scaldava da qui a lì, spifferi dappertutto e se veniva a trovarli qualcuno gli toccava di sedere in terra o s’un baule, perché mancavano le sedie. I vecchi non hanno paura.

 

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Mentre penso queste cose là fuori alcune voci catturano la mia attenzione, due giovani spose parlano tra loro approfittando d’un raggio di sole che spunta fra le chiome delle querce dall’altro lato della piazza. Il tono è spensierato, con quella vena d’incosciente malizia che mai come a vent’anni, senza volerlo catturo una parola qua e là; il cuore mi sobbalza in gola, parlano di ieri sera. La festa in casa del prete. Non sanno che ascolto non vista dietro la finestra socchiusa, a pochi metri dalle loro generose bocche: “Vedessi la perpetua come correva, un fante littorio in trincea!”; battendo le mani per il freddo e soffiandoci sopra, l’altra chiede ragguagli, sento raccontare di quella misteriosa figura dalle grandi mani, appollaiata sulla statua del santo che lanciava cipolle marcite contro il vetro della canonica, da come ne parlano una sgradevole sensazione si fa strada in me. Il sospetto è confermato dalla sagoma di Veneranda che compare da lontano e portandosi l’indice al naso fa cenno alle pettegole di tacere, coll’altra mano sembra dire: “Via di lì per carità!”. D’istinto mi scanso portandomi a un lato della finestra, continuando a osservare la scena attraverso un ricamo intagliato nella tenda, ben nascosta nell’ombra. Le ragazze attraversano la piazza, raggiungono la vedova. Un’agghiacciante consapevolezza mi coglie impreparata: era lei ieri sera, adesso ne riconosco l’inflessione della voce. Parlava col naso tappato, il fiato in gola, nessuna maschera può cancellare quel che sfugge al nostro controllo. La vedova Tortello è il capo della schiera infernale.



“Rimango sola nel suo modesto
appartamento al primo piano e
guardandomi intorno l’occhio
ricade sopra un’icona dei quaranta
martiri di Sebaste, gli armeni lasciati
a morire nudi sul ghiaccio, colle
gambe spezzate”


Non so più cosa pensare, le devastazioni in casa di Don Ignazio e la statua del santo profanata non sono da prendersi alla leggera, finestre rotte, la porta sfondata a calci e pugni, il muro imbrattato: se volevano solo burlarsi di me non c’era motivo di sfasciare ogni cosa e del resto, se veramente avessero voluto farmi del male potevano in qualsiasi momento. Una sottile ambiguità vedo sottesa alla mia sorte inumana, quel che ho visto al cimitero non era che una mascherata, una legione di bambini in silenzio nascosta fra gli alberi, dietro le lapidi. Altro che folletti. L’arrivo del parroco deve averli dissuasi, prima si son ritirati nell’oscurità, poi si sono riorganizzati per la serenata in canonica. Sta bene, dunque la strega ha mentito alla salute dei quaranta martiri e della Madonna coi baffi; la mente ritorna ai fatti degli ultimi due giorni, chi vestiva le uniformi dei carabinieri che m’hanno arrestato? Mai visti, il maresciallo tendeva ad allungare spesso le braccia in avanti per far rientrare un poco i polsini, come se la giacca gli andasse larga. Forse anche il salvataggio coi fuochi d’artificio è stata una messinscena. Volevano spaventarmi a morte, è chiaro. Ma perché? Mentre le donne scompaiono tra i vicoli del borgo coperto di neve, il mio primo pensiero è allontanarmi da qui ma con sorpresa scopro che la porta è chiusa a chiave dall’esterno: sono in trappola. Ora quelle icone appese al muro sembrano altrettanti demoni col sangue tra i denti aguzzi, sorridono come davanti alla porchetta che gira sul fuoco. Il mondo mi crolla addosso. Impossibile saltare giù dalle finestre, son protette da sbarre di metallo. Non vedo altre vie d’uscita, dovrei scardinare la porta, sarebbe forse l’unica possibilità di scampo. Al colmo della disperazione riconosco un volto familiare nel piazzale della chiesa, è un uomo con la schiena appoggiata al tronco di un albero, quello che chiamano mani di fata. Olindo Gramigna, forse dopo tutto il buono è dove meno te l’aspetti. Non tutto è perduto. (Continua a leggere)

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Laureato al Dams di Bologna con una tesi sulla narrazione, Federico Berti è cantantautore, polistrumentista, uomo orchestra, pubblica romanzi, poesie, canzoni. “Il Boia dell’Alpe” è ambientato nel paese di Monghidoro sull’Appennino Bolognese, dove risiede stabilmente dal 2001.

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ISBN 9788822881595. 

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