L’Uomo Selvatico di Missano
L’Uomo Selvatico di Missano
Novella di Federico Berti
Ci vediamo il 26 Ottobre a Missano di Zocca, per la festa della Pera Russlina
dedico alle amiche e agli amici di Missano questa breve novella:
Nel bosco lussureggiante del Monte Riva, sull’Appennino Modenese, viveva l’Uomo Selvatico isolato dagli altri uomini. Questo gigante peloso era temuto dagli abitanti del luogo, che raccontavano storie tremende su di lui: si diceva che avesse una forza straordinaria e che spaventasse i viandanti quando si avventuravano sul monte. Tutti lo scansavano per questo, ogni volta che si presentava a una festa da ballo, cosa che poteva accadere soltanto nel periodo del carnevale, nessuno voleva mai ballare con lui: dicevano che mandasse un cattivo odore, che non si lavasse, insomma che fosse proprio un Selvatico.
In realtà Silvano era un sapiente, un guardiano della foresta, protettore degli animali e delle piante che crescevano rigogliose attorno a lui; era anche un esperto nell’agricoltura, si dice che ne sapesse una più del diavolo e fosse disposto a trasmettere le sue conoscenze a chiunque mostrasse di non temerlo. Conosceva la ricetta d’ogni formaggio esistente, fresco o stagionato, muffo o con la goccia, sapeva tutti i segreti dell’apicoltura e pare che fosse anche un bravissimo scalpellino, bravo a estrarre e lavorare la pietra locale. Ma la sua solitudine lo aveva reso triste e malinconico, si era dunque fatto la nomea di un burbero e di un violento
Un giorno l’Uomo Selvatico vide nei pressi della sorgente una ninfa bellissima, di nome Russlina, così chiamata dal colore dei suoi capelli, d’un rosso intenso. Restò incantato a guardarla mentre danzava tra i fiori, sembrava incarnare la freschezza della primavera. I suoi capelli erano intrecciati con ghirlande profumate, e il suo sorriso risplendeva nel sottobosco, due gemme le crescevano in petto, un fiore meraviglioso proprio sotto l’ombelico. L’Uomo Selvatico rimase colpito dalla sua bellezza e dalla sua grazia, non ebbe più pensiero che per lei.
Il frutteto dell’Uomo Selvatico
Sebbene fosse un esperto coltivatore, tanto da aver insegnato lui stesso agli uomini l’arte dell’agricoltura, quando conobbe Russlina si accorse che lei sola coltivava un fiore a lui sconosciuto, un fiore che cresceva su un albero mai visto prima d’allora. La vide più volte nelle settimane seguenti prendersene cura, potarne i rami, innestarne le gemme, finché un bel giorno da quella pianta per lui insolita vide nascere dei frutti rotondi, che avevano il contorno dei suoi stessi fianchi. Lei glie ne porse uno, lui lo assaggiò trovandolo zuccherino, gustoso. Le chiese di poterne piantare uno nel suo giardino.
Lei sorrise e lo schernì affettuosamente. Quanta fretta, disse. Era un frutto che bisognava volergli bene, si doveva lasciar cuocere a fuoco lento sulla stufa con un po’ d’acqua, limone e spezie a piacere, poi servirlo con del formaggio. Ma Silvano aveva i denti di uno scimmione e lo stomaco d’un gigante, si era avventato sul cesto e l’aveva divorato così com’era, crudo, come fanno i maiali.
Nelle settimane che seguirono, Russlina imparò a conoscere meglio il Silvano e scoprì che non era affatto rude, né scostante: era solo abituato a trascorrere molto tempo da solo, questo forse lo rendeva un po’ scontroso. Ammirava la cura che riservava alle sue piante, all’orto, alle api e il miele che produceva era il più dolce di tutta la montagna. Lui le mostrò i segreti del bosco, lei la cura di quel frutto meraviglioso, che da quel momento in poi non mancò mai nel suo giardino.
Il cacciatore del bosco
Ogni giorno Russlina e l’Uomo Selvatico si incontravano nel frutteto, dove le pere maturavano sotto il sole caldo, e ad ogni raggio di luce un albero metteva una gemma. I due passarono interminabili momenti di piacevolezza ascoltando lo scorrere del torrente, il cinguettìo degli uccelli, il canto delle cicale. Silvano s’innamorò della bella Russlina, che per lui provava solo un sentimento di profonda, ma innocente amicizia e rifiutò le sue insistenti proposte amorose.
La bella ninfa era in realtà innamorata di Accio, un cacciatore del villaggio che vivamente ricambiava il suo amore, il quale un bel giorno si avventurò nel bosco armato di arco e frecce per la caccia al cervo. Giunto al frutteto, vide la ninfa e il gigante che coglievano pere mature dall’albero, sentì dentro di sé il morso della gelosia: attese a lungo che la sua amata si allontanasse, per tendere un agguato al Silvano. Si appostò su un albero, non appena vide che il gigante dormiva gli scoccò una freccia nel fianco.
L’Uomo Selvatico si svegliò di soprassalto urlando per il dolore e guardatosi intorno scorse il cacciatore che armava nuovamente il suo arco: non restò ad attenderlo ma gli corse incontro, lo afferrò per il collo e intraprese con lui una colluttazione violentissima. Silvano menava colpi furenti l’altro si ritrovò sopraffatto nel corpo a corpo e cadde esanime sul prato, battendo la nuca su un sasso. Non si rialzò mai più.
Il pianto di Russlina
Quando la bella Russlina si accorse della morte di Accio, pianse lacrime amare. Il suo pianto continuò a sgorgare dai suoi occhi tristi senza mai fermarsi per settimane, mesi, anni e da allora si può dire che non ha ancora mai smesso di piangere: è sempre lì che continua a lamentare il dolore per la perdita del suo amato cacciatore, le sue lacrime scorrono impetuose fino a gettarsi disperate nel Panaro. Dal suo pianto è nato il torrente Missano, nella cui terra cresce il frutto meraviglioso che la ninfa aveva mostrato un giorno all’Uomo Selvatico, e che questi mostrò ai contadini del villaggio.
Da allora il povero Silvano è tornato a vivere in solitudine, ombroso e schivo, compare ogni tanto a chi si avventura solo nel bosco, o spaventa gli amanti che si appartano nei pressi del torrente. Chi non lo teme però, può andarlo a trovare e allora gli insegnerà il segreto del frutto meraviglioso.