La sepolta viva
Federico Berti
Il boia dell’Alpe
La maldicenza uccide
Romanzo di Federico Berti
ISBN 9788822881595.
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La sepolta viva
Da una sottile fessura nell’acciaio distinguo a malapena gli alberi che ci sfilano incontro come una parata di ballerine in festa, i cingoli fan meno baccano di quanto avrei pensato; in che modo l’eroico fornaio abbia potuto raddrizzare il gigante, sollevarmi dal pendio gelato e caricarmici dentro, non riesco a spiegarmelo. L’inclinazione del terreno è favorevole, il pachiderma può discendere la linea del fosso anticarro, “L’ho avuto dalla protezione civile” spiega, in verità aggiunge che l’ha messo a disposizione il museo della Linea Gotica per raggiungere le località più fuori mano, abbiamo con noi viveri, medicine, strumenti per il primo soccorso. Conosco bene Annibale Panzanella è un abile imprenditore, ha saputo giocarsi la carta dei farinacei aprendo diversi negozi anche in città, l’idea del carro armato gli darà un bel po’ di visibilità. Un genio, senza dubbio. Immagino i bambini che da giorni s’annoiano davanti a un televisore inerte leggendo vecchi fumetti a lume di candela, vedersi parcheggiare questa specie d’elefante nell’aia sarà per loro quasi meglio del circo. “Siete in pericolo” dichiara il giovane Annibale mentre s’aggiusta nello scomodo seggiolino del guidatore, non mi meraviglio dei suoni gutturali che produce portandosi una mano ai lombi; suonan quasi familiari, come l’avessi ascoltati mille altre volte. “Date retta al mio consiglio, non c’è tempo da perdere” prosegue. Salace, penso tra me, così a occhio non si direbbe; provo a chiedergli di portarmi dall’altro versante della montagna, “Impossibile, uomini armati presidiano le strade” risponde, “Vi stanno cercando. Non è prudente andar loro incontro”. Ha ragione. La guida mi fa sobbalzare, lungo il tragitto ogni tanto sostiamo nel cortile d’un caseggiato e lui va a parlamentare con un portavoce della borgata mentre io rimango invisibile al mio posto, se ogni cosa è in ordine si riparte subito; d’un tratto lo vedo rallentare, svolta per un sentiero coperto di neve fermandosi davanti a un rudere sepolto nella tormenta.
Prima che possa rendermene conto Annibale salta fuori dal carro armato e va incontro a una persona immobile, in piedi accanto alle rovine di quella che è stata a suo tempo una casa torre. Sulle prime non ne distinguo le sembianze per via del sole che inonda di luce il bosco dietro le sue spalle, ma non appena apre bocca riconosco la voce; appartiene alla stessa donna che mi perseguita da giorni, in realtà meno ostile di quanto l’ho creduta: per quanto minacciose potessero sembrarmi le maschere al suo seguito, per quanto agghiacciante l’agguato al cimitero, nessuno di quegli scalmanati m’ha poi torto un capello. Con questo pensiero emergo anch’io dal ventre della balena e rimango ferma ad osservare la scena da posizione sopraelevata; mi balena sulle labbra un sorriso al pensiero che potrei mettere in moto, schiacciare quei due come scarafaggi e sparire da qui per sempre. Lei mi viene incontro con la tranquillità di chi non ha insoluti con la propria coscienza, giunta a pochi metri dalla bestia mi guarda negli occhi, un’espressione rassicurante e i capelli raccolti sulle spalle a coda di volpe. Quasi materna. Scendo anch’io, mentre il guidatore dopo aver preso congedo torna a bordo del veicolo e riparte sbuffando, lo vedo tuffarsi nella marea di luce che inonda l’orizzonte orientale dell’Alpe, il suo contorno sbiadisce dissolvendo nello stesso nulla da cui l’ho veduto arrivare. Siamo rimaste sole, potrei ucciderla con le mie mani se solo provassi un desiderio di rivalsa nei suoi confronti; la vedova sa benissimo che non ho alcun interesse ad aggravare la mia situazione, senza dire una parola fa segno di seguirla avviandosi verso il perimetro interno del rudere in rovina, arresta il passo proprio accanto a quel che resta d’un camino antico; sul pavimento mal ridotto alcuni scalpelli e una mazzuola da muratore. “Guardate là” dice, col mento indicando una voragine aperta nel muro largo mezzo metro. Dalla cavità interna qualcosa attira la mia attenzione, un senso di nausea mi prende alla gola e per poco non mi metto a strillare: qualcuno è sepolto là dentro. “Per l’agnello di Dio!” mi dico levando lo sguardo al cielo e portando una mano sul petto. Sono ossa umane quelle che appaiono in tutta la loro crudele nudità. (Continua a leggere)
ROMANZO NOIR ITALIANO
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