L’infame chirurgo

 

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Federico Berti

Il boia dell’Alpe

La maldicenza uccide

Romanzo di Federico Berti
ISBN 9788822881595.

 

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L’infame chirurgo

 

Sulle baracche è scesa l’oscurità. Devo aver perso conoscenza. Calato il sole dietro le montagne i demoni del bosco son tornati a farsi udire con le loro inquietanti litanie notturne. Qualche ululato in lontananza, le civette che ridono nel buio come tante giovinette sgraziate. Son venuta a nascondermi nel covo dell’assassino e ora mi trovo confinata in questo luogo sperduto, mentre penso al susseguirsi degli avvenimenti che m’han portato fin qui sento dei rumori nella radura. Voci bisbigliano tra loro. Due grossi fari squarciano la notte dell’Alpe, l’umidità aleggia come un gelido vapore brillando sotto il fascio di luce; sagome oscure si muovono in un teatro di ombre, entrano nella capanna dell’ossario e ne escono pochi minuti più tardi con uno scatto nervoso, guardandosi intorno. Dietro al primo uomo vedo sbucare uno dei carabinieri che m’hanno arrestato qualche giorno fa, senza l’uniforme e con la barba incolta ha un’aria tutt’altro che rassicurante. Dubito sia davvero un militare. Nel riconoscere la donna al suo fianco, ho un sussulto: il prete non ha mentito, la suonatrice di mandolino è viva. Altro che assassinio, cannibali e folletti. Eccola davanti a me con lo sguardo terrorizzato, l’orecchio teso al minimo rumore.

“Quel figlio di nessuno, l’avevo detto non c’era da fidarsi” protesta. Credo si riferisca al pittore, l’ho visto riempire due borse nella capanna e sparire. La scena del delitto al prato della biscia assume ora per me un significato diverso: se le mie valutazioni sono corrette allora il corpo del boscaiolo è stato dissepolto dopo sei mesi dalla sua morte, incorrotto per via dell’esposizione prolungata all’arsenico. Chi ha portato la salma nell’unico posto dove nessuno si sarebbe mai sognato di trovarla ovvero a casa sua, nello stesso luogo dove s’è tolto la vita, è un genio maligno. Mentre quel macellaio sezionava il cadavere per ricavarne l’orrida merce di scambio, sulle loro tracce s’è trovato l’inconsapevole oracolo dei semplici, quel povero Lupo che avendo assistito al macabro spettacolo è fuggito nel bosco in cerca d’aiuto; sentendo in lontananza la musica della festa, s’è infilato in casa della Berta strillando come un ossesso: la bionda in gonnella era lì, stava suonando con l’orchestra, avvertito il pericolo è venuta con me sulle orme del gigante; intendeva dissuadermi dal proseguire, convincermi a tornare indietro. “Stiamo prendendo un abbaglio”, ripeteva. Nel frattempo l’infame chirurgo rendeva irriconoscibile il cadavere di Anacleto. Nel timore fossimo accorsi in maggior numero ha simulato anche le apparenze dell’aggressione, la scure in mano e naturalmente la pozza di sangue rappreso, effetti speciali come quelli del cinema, del teatro. Nel vedermi sopraggiungere deve aver trovato un modo per avvisare i compagni, che m’han preceduto sul luogo della festa sotto le mentite spoglie dei carabinieri. Anche l’uniforme doveva essere un costume di scena. Teatro, nient’altro che uno spettacolo: l’avevo detto, quei militari non mi convincevano. Quando siam tornati sul luogo del crimine, Asfodelio con la giacca schizzata di vernice aveva dato un tocco da vero artista alla messinscena, manipolando il volto sfigurato del boscaiolo in modo che somigliasse a quello della ragazza. La testa di una donna sul corpo d’un uomo, semmai fossi riuscita a fuggire qualsiasi cosa avessi raccontato in paese nei giorni seguenti m’avrebbero preso per pazza, come infatti è accaduto. Prontezza, rapidità, creatività. Un allestimento a dir poco perfetto. Mentre vagavo per la montagna contorcendomi dal dolore, quei mentecatti hanno avuto il tempo di sgomberare la casa nel bosco e ripulire l’orrendo magazzino. Poi però qualcosa è andato storto, non si son capiti; o forse il pittore ha tradito, voleva impadronirsi dell’opera e goderne il valore senza spartirlo con nessuno.

Una pioggia di bestemmie s’è riversata contro di lui, dubito possa dormire sonni tranquilli per i prossimi duecento anni; molti elementi ora iniziano a trovare una collocazione sensata nell’imperscrutabile mistero, ma troppe sono ancora le incongruenze. In primo luogo l’elicottero con cui son venuti a prendermi in casa del boscaiolo, un sistema non proprio discreto per trasportare cadaveri esposti in vetrina; il motivo dell’astio nei miei confronti da parte della comunità m’è incomprensibile, se la vedova Bonvino reclamava la mia testa al tribunale del popolo in casa del prete, per quale motivo poi m’ha raccolto sulla via del santuario? Il rumoroso corteo in maschera voleva uccidermi, o solo spaventarmi? Un dubbio sopra ogni altro mi tormenta, Anacleto è morto per avvelenamento o s’è davvero appeso a un ramo nel suo giardino? L’assassino tradirà il mandante? Risposte congruenti e possibilmente documentate, questo mi serve ora per dimostrare la mia innocenza davanti alla legge dell’uomo. Frattanto osservo che la banda in preda al panico torna velocemente al fuoristrada, “Sta arrivando qualcuno, via in fretta!”. Si sente un motore sopraggiungere, stanotte sembra esservi più traffico su quest’ermo colle che per le vie del paese all’uscita dalla messa; la ragazza prima di salire a bordo si china sul cerchio di sassi all’ingresso della radura, raccoglie le scarpe e il coltello da cucina abbandonati sul posto in precedenza. L’automobile scompare dietro le cavalle di neve, discende il fianco della montagna e sparisce nel freddo mulinare dei venti, mentre due fari s’affacciano dall’altro capo del sentiero.(Continua a leggere)

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