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Leggendo Kerouac. Il mito americano. Memorie d’un saltimbanco Ep.2


Henry Fonda e Jack Nicholson in “Easy Rider”, film di Dennis Hopper, 1969, Stati Uniti d’America. Musiche di Jimi Hendrix, Bob Dylan, Steppenwolf, The Byrds.

Leggendo
Kerouac

Frammento II

Commento musicale:
Charlie Parker, “Anthropology”
FAI PARTIRE LA MUSICA

JACK KEROUAC E
IL MITO AMERICANO

Kerouac è sempre stato il mio punto debole, i suoi romanzi mi fermavo a pagina ventuno senza capire dove quelle spettrali controfigure di sé stessi trovassero i soldi per la birra i viaggi le moto, non li pisciano mica gli scorpioni: annoiati adolescenti incapaci di dare un senso alle loro giornate gli eroi di Kerouac non sembrano umani, non hanno spessore, trattano le donne come orinali di carne confondendo Eros e Priapo, l’erotismo con il coito selvaggio. Stralunati perditempo in guerra contro il destino, incarnano il perfetto stereotipo del sogno americano: dominare gli spazi, sperperare il tempo, per loro il viaggio 犀利士 è una prova di virilità più che una ricerca di sé stessi. La cultura del bop m’ha dato sempre l’impressione di scambiare l’edonismo col narcisismo, quello autodistruttivo intendo. Per essere edonisti bisogna come minimo volersi un po’ di bene, ma dire che Mingus e Baker volessero bene a sé stessi fatico a crederci: un po’ dadà e un po’ naive la deriva musicale del dopoguerra ha decomposto la ricerca modernista, ha accecato il futurismo anziché aprirgli nuove strade.


Jack Kerouac, autore di “On the road” e “The Dharma bums”. Scriveva sul rullo di carta per fotocopie, improvvisando le parole al ritmo di bebop ascoltando la musica di Charlie Parker.

Charlie Parker lo ascoltavo al volante o sui libri, tutta quella folla di semibiscrome finiva per alienarmi, senza rendermene conto escludevo il suono e m’isolavo dal resto del mondo, niente di meglio per memorizzare quei noiosissimi testi blaterologia, o più semplicemente evitare di addormentarmi alla guida. Come il bambino che piange al piano di sotto, come una mosca che sbatte la testa contro il vetro e si brucia le ali tentando l’amplesso con una lampadina accesa. All’inizio quasi t’infastidisce, dopo un po’ non la senti più. Ma perché sono qui a parlarvi di Kerouac? E’ il primo luogo comune di cui sbarazzarti, vivendo in un carrozzone il problema è mantenerti in ordine, lavarti, stirare le camice, rifornirti d’acqua, ma soprattutto dove andare e perché: sei tu a muoverti, non la strada che ti scorre sotto come un tapis-roulant. La telecamera non s’accontenta del primo piano sulla giacca di pelle da ottocento dollari, ma cerca gli sguardi delle persone che incontri ogni giorno sotto un portico, al mercato. Quegli sguardi che s’infilano nei tuoi per capire chi sei, se possono fidarsi di te. Siamo noi che giriamo il mondo, non è il mondo che gira intorno a noi. Leggendo Kerouac mi viene in mente che mentre il mito dell’orgia beat imperversava in tutte le colonie americane sparse per i continenti, dall’altra parte della cortina di ferro il governo spendeva un sacco di soldi per combattere la piaga dell’alcolismo, perché l’ubriachezza fa sempre il gioco dei padroni.

Qui da noi invece i libri di Kerouac li trovavi a mille lire nelle migliori bancarelle, mentre le fiabe di Calvino ti toccava leggerle in biblioteca. Questa la prima lezione del nocchiero di latta, sulle strade infuocate dell’esodo estivo: tieni gli occhi bene aperti perché qui non sei al cinema, questa è la realtà. Quel che rimane un mistero è come il picaresco post-industriale degli anni ’50 possa aver tanto affascinato la cultura progressista, egualitaria: un’automobile, una strada e dietro l’orizzonte una donna che ti aspetta, potrebbe mai averlo scritto Virginia Woolf, la dottoressa Jacobi, la detenuta Emmeline Pankhurst? Come può una madre far leggere al figlio i romanzi di Kerouac e poi stupirsi quando lo trovano in spiaggia spada al braccio e schiuma in bocca? Penso ai viaggi di Ulisse, non una scelta ma una condanna: il greco piange, non si ubriaca. Dietro l’orizzonte vede la sua casa in rovina, la moglie assediata, nessuno che possa riconoscerlo. Dietro i suoi viaggi s’intravede un progetto di vita, il riscatto per un crimine di guerra. Poseidone gli rovescia la nave ogni volta che si mette in mare. La strada è luogo di passaggio. Se non vieni da nessuna parte puoi andare ovunque, ma se non sai dove andare finisci in nessun luogo.

Continua
Frammento III
Gli occhi di Caronte


artisti di strada gigi russo
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