Un gioco dell’oca. Memorie d’un saltimbanco. Artisti di strada Ep.5
Un gioco
dell’oca
Frammento V
Commento musicale:
J. Mitchell, “Circle Game”
FAI PARTIRE LA MUSICA
ANDARE E’ RITORNARE
Nevica mentre suono davanti a un caffè nella via del passeggio, il freddo mi congela da dentro. La neve porta sempre un bel dono ai bambini buoni: intanto che fiocca si vende molto, ma il rischio di sgonfiarti come un sacco vuoto è sempre dietro la porta. Te ne accorgi quando fai fatica a respirare e non senti più le punte dei piedi; allora finisci una canzone e vai a chiuderti in qualche osteria, tè caldo, cioccolata. Dormirai come un neonato. In casa di studentesse, febbre alta e labbra viola. Non potrò muovermi per qualche giorno, del resto l’importante non è andare, ma ritornare. Sempre negli stessi posti, un percorso circolare.
Gli americani hanno le distanze, da noi se drizzi le curve in un paio d’ore ti ritrovi a bagno, o attraversi le Alpi e sei già all’estero. Il viaggio più lungo che puoi fare senza tornare sui tuoi passi è da nord a sud attraversando quelli che furono almeno quattro stati; ora in mezza giornata arrivi a un posto di blocco, ti chiedono il passaporto. Da noi il pellegrinaggio è internazionale, per tradizione: segui i sentieri che portano ai santuari, la via di San Michele per esempio, che taglia il Centreuropa in verticale, quando sei agli Appennini svolti per Nizza, passi i Pirenei e vai a combattere gli infedeli in Spagna, o prendi la via del Reno verso est. Se t’imbarchi Ancona o Bari secondo il tratto incontri la Grecia, poi la Bulgaria, poi Bisanzio, là puoi scegliere se andartene a morire sul Santo Sepolcro o proseguire lungo la via della seta fino in Cina come Marco Polo, oppure se hai del fegato fai Lampedusa Cartagine e poi vedi c’è da stare in occhio, haec sunt Leonidas!
IL CENTRO DEL
TABELLONE
Per chi è nato in Europa viaggiare è una cosa seria, ai tempi di Carlo Magno una condanna peggio del carcere: niente mappa geografica, non potevi alzare lo sguardo da terra né parlare con nessuno, solo i segni che trovavi sul cammino, le lingue che ti parlavano intorno. Riconoscerle e capire che dicevano. In compenso, portavi il sigillo e tutti erano obbligati a darti ospitalità per una notte. Pellegrin che vien da Roma... Per legge divina sarai nutrito, curato se stai male, ma poi devi ripartire e nessuno ha il permesso di parlarti in pubblico. Più o meno è così ancora oggi, chi s’avvicina a te lo fa quasi di nascosto, per lo più gente a rischio pure lei di buttare tutto all’aria, che sta cercando forse proprio una buona ragione per non farlo. Ogni vagabondo il suo percorso, chi teneva amanti e figli sparsi per il mondo, chi abbastanza fegato (o incoscienza?) d’ingoiare le spade in faccia ai carri armati. Chi vuol girare attorno, attorno vada. A me piace abitar la mia contrada, così mi ripetevo nel dare di frusta al povero Caronte, ascoltando Joni Mitchell e godendomi il panorama. Per quelli come me ci sono le vie della transumanza, le migrazioni stagionali degli scariolanti, dei minatori, dei taglialegna e dei pastori. Quelle tu puoi seguirle ancora oggi trovando ospitalità nei luoghi e nei modi più impensati, si possono percorrere dall’una all’altra come facevano i Normanni, caricandosi le barche in spalla. L’importante non è andare, ma ritornare. Sempre negli stessi posti. Come un gioco dell’oca, ti fermi per due turni in qualche fiera e poi salti dodici case per infilarti nel profondo sud che formicola di turisti; la volta che t’ammali aspetti un lancio doppio, se peschi la carta degli imprevisti può succederti di tutto. E’ un percorso circolare, ti s’arrotola addosso come un serpente. L’oca sei tu, non un pezzo di legno. Sbarchi sullo scoglio delle Sirene, t’incantano e custodiscono come un nobile prigioniero anche per molte settimane, ma non puoi fermarti a lungo: sei un’ombra, un personaggio in cerca d’autore, la maschera di te stesso. Qualunque accidente possa capitarti è solo transitorio: come le stagioni si alternano, così le piazze ti aspettano. Riparto una luminosa mattina di gennaio, con la neve sui tetti e il sole che ride nel cielo. “Torna presto!” si raccomandano i miei angeli, amorevoli, incrollabili, inviolabili. L’importante è ritornare, non sei qui per vincere lo spazio, azzerare il tempo e varcare le colonne d’Ercole, ma per trovare il centro del tabellone e piantarci una rosa.