Requiem per un mangiatore di spade. Memorie d’un saltimbanco Ep.15
Requiem per un mangiaspade
Frammento XV
Commento musicale:
J. Bukley, “Hallelujah”
FAI PARTIRE LA MUSICA
LE SCIMMIETTE
DEL CIRCO
Tu lo vedi come fanno adesso, col pigiamino buono e il turbante di seta sembrano le dame di corte, quei film d’una volta Ali Babà contro Maciste: si fan pagare milioni le scimmiette del circo, li conosci dalla mossa… Zan zan! Dormono in albergo i signorini, altro che sacco a pelo. Presente quelle armi sotto il sedile? Sono vere, ci vuole una patente apposta sennò a tenerle passo i guai: tutte le volte mi fermano quante storie, pure nelle mutande mi cercano la revisione. Le palle omologate. Mi caccio in gola mezzo metro di lama affilata fino allo stomaco, due tre alla volta poca manfrina; certi a vedermi gli viene il vomito. C’è stato un momento nella vita che avevo bisogno e chi m’ha insegnato lo disse, stai in occhio non possono impararlo tutti! Un ragazzino gli andò il cherosene di traverso, finì dentro i polmoni. L’hanno portato all’ospedale. Mettiti in testa che non sei la Vanda Osiris…
Pure tu bravino a cantare ma per me ti dai un po’ troppe arie, tutto precisino le scarpette colla fibbia, la camicina, parli bene si vede che hai studiato. Qui però non conta i libri la parolina scelta il filetto il saltimbocca, là fuori vogliono sapere chi sei e che gli vuoi dire: o li fai ridere, o li fai piangere. Scegli. Il trattato dei miei coglioni non gli interessa, vuoi parlare di Saturno e Giove? Hai sbagliato mestiere, metti uno scatolone rovesciato per terra, ci stendi sopra un tovaglino e mescoli il mazzo dei tarocchi. Prima o poi qualcuno si ferma. Però una cosa mi piace di te, hai un bel coraggio. Tu non sei nel bisogno, che ci fai qui? Sono arrivato grazie scendo, ci si vede in giro. Buona strada. Buona.
PROPIZIO AVERE
DOVE RECARSI
Da qualche tempo era parcheggiato a Bologna dietro la stazione, pochi isolati dal palazzo in cui aveva abitato per quarant’anni il famoso cantastorie Piazza Marino. Una volta c’era il mercato della frutta nel capannone di via Fioravanti, adesso l’hanno occupato. Un centro sociale, lo vedi subito dai murales e dai mutoids. Non lo sapevo nemmeno che fosse venuto a stare qui, sarei passato a trovarlo qualche volta. Lui era un fachiro vecchio stampo uno che fa impressione a vederlo, non una soubrette in calzamaglia e brillantina; spade di mezzo metro, armi antiche, se ne vedevano poche nell’ambiente. Proprio in quei giorni avevo trovato una sua vecchia foto sopra uno di quegli annuari che pubblicano le agenzie, mi servì per illustrare una cartolina. Apuleio in salsa technotrance, per il numero del mangiatore di spade ci avevo messo lui con quel ferro in gola che si vedeva solo spuntare l’elsa, la croce di re Artù, la roccia di San Galgano. Pochi giorni dopo qualcuno mi raccontò il fatto: l’avevano trovato con un sacco avvolto intorno alla testa, non respirava. Una lettera firmata. La famiglia non ci volle a salutarlo, odiavano il nostro mondo lo disprezzavano con violenza inaudita, mai capito il perché.
Non lavorava ormai quasi più, c’era tanti di queste prime donne col nastrino bello, un esercito di carillon da salotto per bene in versione sadomaso. Quelli autentici erano spariti dalla circolazione, quasi tutti all’estero: ormai in Italia non ti prendevano in considerazione senza la partita Iva, l’Enpals, lo show-reel, il booklet… Volevano il cavaliere elettrico, le luminarie di natale, i fuochi d’artificio sul berretto: la storia si ripete sempre due volte, prima come tragedia poi come farsa, quanti pensieri mi si affollarono in testa! Prendere la strada son buoni tutti, difficile è non perderla. Non perderla, già. Caronte mi sorride sornione dietro il fumo della sigaretta. “Credevi fosse una scampagnata?” Ora conosci la verità. Tornare indietro è tardi, non resta che proseguire con cautela un passo alla volta, in precario equilibrio s’un filo appeso tra due nuvole nel cielo. E’ l’avventura più bella che ti capiterà mai di vivere, ma fai in modo che la tua ombra non possa raggiungerti.