Memoria, esperienza sensibile diretta e indiretta.
Il ricordo di una
esperienza diretta
o indiretta
Nella scorsa lezione si è parlato dell’uso dei segni che consente di fare un’esperienza indiretta delle cose, beneficiando della memoria altrui. L’esempio del fuoco che ustiona un nostro interlocutore, vedendo o ascoltando il quale noi stessi impariamo che non è il caso di avvicinarsi troppo alla fiamma, è un esempio tipico di esperienza indiretta in cui assistiamo fisicamente alla scena di una persona che si brucia in nostra presenza, o che racconta di essersi ustionata al contatto con una fiamma libera. Ovviamente il racconto o la scena cui assisto in presenza, possono essere accompagnati da osservazioni inerenti la gestualità, la mimica, l’intonazione delle parole, sistemi di comunicazione più elaborati e ritualizzati come il canto, la musica, la danza, il segno grafico e così via. Posso ascoltare l’urlo del dolore altrui, che rimanderà all’eco di altre urla nella mia memoria personale, vedere la mano dell’altro che si ritrae al contatto con la fiamma e così via.
Tutte queste esperienze vengono raccolte dai nostri sensi nel contesto in cui si svolge lo scambio d’informazione, cosa che costituisce di per sé una nuova esperienza: al racconto del fuoco la mia mente finirà per associare in modo più o meno consapevole il ricordo di tutto quello che avviene nel frattempo là intorno, ad esempio un cielo sereno o nuvoloso, il canto degli uccelli, lo scrosciare di un torrente, la brezza fra i capelli e così via, dettagli che pur non essendo parte del racconto e non avendo alcuna relazione con il contenuto dell’informazione, sono comunque parte del contesto in cui viene raccolta. L’insieme di tutte queste esperienze va a supportare l’acquisizione del racconto, che tornerà alla mia mente ogni volta in cui mi troverò davanti a una fiamma libera. Tutto questo per dire che ogni esperienza indiretta ha bisogno di un’esperienza diretta per essere acquisita. L’intelletto umano crea un collegamento fra stimoli che ha raccolto relazionandosi col mondo esterno, per cui ogni apprendistato è un’esperienza diretta che il nostro corpo e la nostra mente fanno insieme e di cui portano memoria.
Questo vale per la lettura di un libro come per la lezione di un professore o uno scambio d’informazione informale. Per riprendere una metafora cara a Umberto Eco, attraverso la lettura posso vivere molte vite affiancando Renzo e Lucia nelle loro peregrinazioni, posso osservare attraverso gli occhi di Alessandro Manzoni il corpo di Napoleone disteso nel feretro, posso sedere innanzi alla siepe di Recanati dietro cui Leopardi immaginava il suo infinito, sono tutte esperienze indirette quelle trasmesse dagli autori, che la mia mente può fare attraverso l’esperienza diretta della lettura. Naturalmente posso fraintendere, posso ricordare male quel che ho letto e di conseguenza, nel momento in cui affermo che Darwin ha detto qualcosa, o che Newton ha scritto un’altra cosa, in realtà sono io ad affermare che Darwin abbia detto o che Newton abbia scritto. Chi mi ascolta, sta facendo tesoro della sua esperienza diretta del mio racconto di un’esperienza indiretta. La questione si complica, a quanto pare.
A questo proposito mi viene in mente un aneddoto, quello dei tre studenti che accompagnano in treno un professore attraverso la Scozia. Uno di loro, vedendo una pecora nera brucare l’erba, afferma: “Perbacco, da queste parti le pecore sono nere!”, ma il secondo lo corregge: “Non è detto che tutte le pecore lo siano, ne hai vista una soltanto, potrai tutt’al più sostenere che in Scozia vi siano anche delle pecore nere”. Il terzo interviene a sua volta: “Siete entrambe in errore, quella che avete visto è una sola pecora nel prato, potrebbe essere l’unica in tutto il paese, al massimo potrete sostenere che in Scozia vi sia almeno una pecora nera. Il professore a quel punto si inserisce sorridendo nel vivace dibattito, chiarendo che tutti stanno osservando la scena a bordo di un treno in movimento e non avendo alcuna possibilità di girare intorno all’animale, potranno eventualmente ipotizzare che in Scozia esista almeno una pecora che per metà è nera.
In altre parole, per acquisire un’esperienza indiretta abbiamo sempre bisogno di un’esperienza diretta e a quella noi ritorniamo ogni volta che formuliamo un pensiero. In questo senso imparare è ricordare. Questa presa di coscienza è molto importante ad esempio rispetto all’irrisolta questione della disinformazione, le cosiddette ‘fake news’ di cui ho parlato nel libro Le vie delle fiabe. L’informazione è narrazione. Qualcuno ricorderà la falsa notizia dei leoni sguinzagliati da Vladimir Putin per le vie di Mosca durante la fase più acuta della pandemia. Si trattava evidentemente di un meme sarcastico, in cui qualcuno voleva prendersi gioco del presidente della Federazione Russa che non riconosceva lo stato di emergenza e alterava i dati del contagio per non dover prendere le misure di sicurezza necessarie. Tuttavia l’immagine del leone, scattata in realtà diversi anni prima su un set cinematografico in Sud Africa, era stata ripresa dalla stampa anglo-americana, che l’aveva rilanciata come una notizia vera in funzione di propaganda contro la Russia. Falsa la notizia, reale il lancio. Nel momento in cui noi vediamo la foto, qualunque sia l’esperienza indiretta che stiamo raccogliendo, è la nostra esperienza diretta del raccoglierla cui la nostra mente ritornerà ogni volta che ne parleremo. Non possiamo affermare in alcun modo che il presidente russo abbia detto o fatto una determinata cosa, ma solo che l’abbiamo letta in questo o quel giornale.
Inutile dire che leggendo un libro, un articolo, guardando un film o anche solo ascoltando un racconto al bar sotto casa, l’esperienza indiretta riferita dall’interlocutore va a sollecitare sempre altre esperienze dirette da noi precedentemente acquisite. Noi associamo i vari dettagli del suo racconto in parte ad esperienze personali realmente vissute, in parte a racconti che abbiamo ascoltato, letto o ricevuto per via indiretta da qualcun altro. Attenzione a questo punto, perché il teatro interiore della memoria non si limita ad attivare lo stimolo corrispondente, dando a noi l’illusione di vivere quello che stiamo leggendo, ma lo fa trattando allo stesso modo sia le esperienze dirette, sia quelle indirette, integrandole tra loro. Questo da un lato è un procedimento necessario a scaricare una parte del peso che altrimenti la nostra mente sarebbe costretta a sopportare, qualora sentendo parlare di un bel tramonto fossimo costretti a rievocare tutti i tramonti che abbiamo visto, o dei quali abbiamo letto e sentito raccontare. Dall’altra però l’integrazione tra i dati dell’esperienza conservati nella memoria comporta anche il rischio di alterazione, deformazione, alimentando la probabilità d’incorrere nel malinteso. Come abbiamo detto più volte, la memoria può ingannare.
Ma c’è di più, l’intelletto lavora infatti sui dati dell’esperienza per formulare le idee, che a loro volta sono alla base del ragionamento e possono condizionare le nostre scelte. Le idee dunque sono in parte irreali, nel senso che esistono soltanto nella nostra mente: posso immaginare un asino che vola senza che debba necessariamente esistere un asino capace di volare, così come l’idea che mi sono fatto di un tramonto sulle scogliere della Scozia potrebbe essere influenzata da una lettura fraintesa, o da un ricordo deformato. Nello stesso tempo però queste idee sono anche reali, poiché reale è l’atto di concentrazione, l’attenzione focalizzata quando ricorriamo ad esse nel formulare un pensiero, non solo ma lo diventano ancor più quando il pensiero si traduce in azione. Per fare un esempio concreto, quando nella Repubblica di Weimar si è dato spazio alla condivisione e circolazione di idee antisemite, si sono poste le basi per quel che poi sarà pochi anni più tardi la Shoah. Ogni volta che pensiamo un’idea, ne rafforziamo l’influenza su noi stessi. Ogni volta che la condividiamo, ne promuoviamo la circolazione favorendo la probabilità che altri ne rimangano influenzati.
Le idee sono dunque un prodotto della nostra mente, che ispirando l’azione può modificare la realtà. Per questo dobbiamo prendere atto di quel che le rende reali, ovvero l’esperienza in cui si radicano. Ogni idea è fondata sempre sulle esperienze passate che l’hanno prodotta, su quelle presenti che la richiamano tenendola in vita, su quelle future che possono derivare dalle azioni che ispira. In questo senso tutte le idee sono reali. Per questo è così importante per noi ricondurre ogni pensiero all’esperienza sensibile, ovvero alla memoria naturale cui quel pensiero rimanda. Quando focalizziamo l’attenzione sul teatro interiore dei nostri ricordi, è importante distinguere i vari livelli di esperienza che la nostra mente confonde in ogni pensiero da cui siamo attraversati. Pensando a un bel tramonto in Scozia, magari dietro alla pecora nera dei nostri amici viaggiatori, posso ricordarmi di averne letta la descrizione in un romanzo, o di averla ascoltata dal racconto di un amico, posso averlo osservato a mia volta dal vero quel tramonto. Ognuna di queste esperienze dirette può aver accorpato insieme altre esperienze ancora, ad esempio nel leggere la descrizione di una scogliera che non ho mai visto metterò insieme dettagli che rimandano a ricordi passati, o immagini che ho trovato in qualche rivista, che magari non hanno nulla a che vedere con la Scozia. Posso aver ricomposto quell’idea a partire da varie altre idee. Meditarvi sopra, per ritrovare queste connessioni, è funzionale a una maggior consapevolezza del nostro pensiero, ci aiuterà a diminuire la probabilità di cadere nell’inganno, a ricordare meno e ricordare meglio.
Bibliografia
Mark K. Smith , L’apprendimento esperenziale di David A. Koloa: caratteristiche, problematiche e sviluppi, in: ’Formazione esperenziale’, marzo 2009.
Umberto Eco, La bustina di Minera, Milano, Bompiani, 2002.
Redazione ’LItalo-Europeo, 24 Dicembre 2007. Lo sperimentatore, il teorico e il matematico
Federico Berti, Le vie delle fiabe. L’informazione è narrazione, Bologna, Streetlib, 2020
Federico Berti, Memoria. L’arte delle arti, Bologna, Streetlib, 2022
AA VV, Tracce nella mente. Teorie della memoria da Platone ai moderni, Pisa, Edizioni della Normale, 2007, X/265
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Nella stanza di mercoledì scorso su Club House, in cui si parlava di come ogni esperienza indiretta abbia sempre bisogno di un’esperienza diretta per essere acquisita, di come cioè ogni pensiero sia necessariamente radicato in un’esperienza reale, sia pure quella della lettura di un libro o l’ascolto di un racconto, sono emersi alcuni spunti di approfondimento che vado a riassumere brevemente a integrare il materiale segnalato nell’articolo. Il primo testo riguarda gli esperimenti di Morales sulla natura cognitiva della percezione, che non possiamo ridurre allo stimolo sensoriale di partenza, ma dobbiamo considerare il risultato di un lavoro intellettuale sull’esperienza sensibile. Di particolare efficacia l’esempio dell’automobile rappresentata in prospettiva, che non riconosciamo solo dalla forma dell’immagine ma anche dai singoli dettagli che la compongono e naturalmente da quel che sta intorno all’oggetto della rappresentazione. Un lavoro cognitivo, non solo percettivo. Ho tradotto l’articolo segnalato da Valentina.
Paul Linton, in PNAS, Scientific Hightlits, Vol. 118 n.10, 23 Febbraio 2021, La diversità nella percezione delle forme spiegata dalla distinzione cognitiva della percezione
Morales e altri hanno mostrato come un’ellisse frontale venga più rapidamente identificata fra cerchi frontali rispetto a cerchi ruotati, arrivando alla conclusione che la visione ha un duplice carattere: un cerchio ruotato viene percepito sia come un’ellisse bidimensionale in prospettiva, sia come un cerchio a tre dimensioni. La forma bidimensionale percepita è contemporaneamente un’ellisse disegnata su un piano ortogonale rispetto al punto di vista dell’osservatore, e un cerchio rappresentato su un piano inclinato nell’ambiente tridimensionale catturato dal campo visivo. Non è teoricamente sbagliata né l’una né l’altra delle due possibili interpretazioni. Nell’interpretare i cerchi ruotati come ellissi, stiamo perdendo la visione tridimensionale dell’oggetto? Non esattamente, il problema sta nell’interpretazione degli oggetti che si trovano intorno. Siamo ad esempio in grado di distinguere la rappresentazione in prospettiva di un’automobile non tanto dalla forma in sé quanto dalla nostra comprensione dei dettagli, il riconoscimento è dunque di tipo cognitivo, non percettivo.
Il secondo articolo riguarda quelle che Brown e Kulik chiamano flashbulb memories, ovvero quei dettagli che si imprimono involontariamente nella nostra mente quando pensiamo a un evento di particolare importanza, sorprendente, emotivamente eccitante. E’ abbastanza probabile che ognuno di noi si ricordi esattamente dov’era quando apprese dell’assassinio di Kennedy, o dell’attentato alle Torri Gemelle. Io ad esempio mi trovavo alla guida del mio furgone, avevo appena ordinato un sandwich o un hamburger da un distributore ambulante di street food e le riprese dell’aereo che attraversava il grattacielo mi riportarono subito all’uomo in fuga di Stephen King, la cui copertina nell’edizione italiana di Urania riportava esattamente la stessa scena. ricordo di aver provato esattamente questa sensazione, di assistere a un caso limite di profezia che si autoavvera. Laura suggerisce a questo proposito il seguente articolo:
Brown, R., & Kulik, J. (1977). Flashbulb memories, in: Cognition, 5(1), 73–99
È stata effettuata un’indagine su un questionario sui determinanti di tali ricordi chiedendo a 40 bianchi e 40 neri americani di età compresa fra 20-60 anni di altri omicidi, eventi di grande rilievo ed eventi personalmente significativi e i risultati indicano che l’assassinio di Kennedy non è l’unico evento ad aver creato un’istantanea di memoria. I principali determinanti sembrano essere un alto livello di sorpresa, un alto livello di consequenzialità e forse l’eccitazione emotiva. Se queste variabili non raggiungono livelli sufficientemente elevati, il fenomeno non si verifica, ma se raggiungono livelli elevati sembrano influenzare l’elaborazione nella memoria che può essere suscitata sperimentalmente. Vengono fatti paralleli tra la teoria comportamentale e una teoria neurofisiologica speculativa di cui R. B. Livingston (1967) è il sostenitore. L’ipotesi formulata dai due studiosi è che questo fenomeno possa considerarsi innato.
Di particolare interesse il riferimento a Glenn Gubbard e i suoi studi sul rapporto fra cinema e psichiatria. Sebbene il testo sia più orientato alla rappresentazione della psichiatria sul grande schermo, non possiamo fare a meno di osservare che l’intensità dell’emozione prodotta da un film cui molte persone assistono contemporaneamente in una sala buia e in assenza di altri stimoli, rende il cinema stesso il potente strumento di propaganda in grado di produrre e replicare in milioni di individui le stesse istantanee di memoria. Ermanno Taviani approfondisce il tema in Propaganda, cinema e politica, 1945-1975, Annali dell’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico, n.XI/2008. Il riferimento al classico di Hillman, La forza del Carattere, Milano, Adelphi, 1999, è molto utile a comprendere il concetto di ‘Enciclopedia personale’ introdotto da Umberto Eco, ovvero l’idea che tutte le nostre conoscenze, quel che non ricordiamo ed elaboriamo, concorrono all’edificazione di un palazzo della memoria in costante evoluzione, quello della nostra mente, cultura, personalità. Se invecchiare è un’arte, come sosteneva allora l’autore, altrettanto lo è imparare a edificare questa meravigliosa e monumentale città interiore, nella quale come Sant’Agostino vaghiamo sperduti, assaliti dai nostri ricordi, tra i quali con fatica distinguiamo quelli che possano renderci più stabili, sereni e consapevoli. L’ultimo degli spunti emersi nella stanza di mercoledì scorso è il riferimento a Rudolph Steiner, Filosofia della libertà, Milano, Fratelli Bocca Editori, 1997: 1846-1, nel quale si affronta il problema del rapporto fra pensiero azione da noi posto in evidenza. La nostra esperienza del reale è fondamentale a determinare le nostre scelte, quindi le azioni che in base a quelle andiamo a compiere. L’esperienza dunque, elaborata dall’intelletto, influenzando l’azione finisce per modificare la stessa realtà da cui era stata prodotta, rendendo ogni idea a suo modo reale e misurabile dalle conseguenze della sua influenza sulla mente di individui e gruppi sociali. Mi sembra che tutti questi spunti concorrano verso il problema sollevato da Enzo, ovvero come si passi dall’esperienza sensibile al ragionamento consapevole, come cioè la reminiscenza possa evolvere in conoscenza. Sarà argomento della stanza di mercoledì.