Memoria e conoscenza in Giordano Bruno
Mirza Mehmedović
Breve saggio sul rapporto tra ars memoriae e pensiero filosofico in Giordano Bruno
in: Bollettino della Società Filosofica Italiana, N. 207 – settembre/dicembre 2012
Nota divulgativa di Federico Berti
Desidero presentare e semplificare la comprensione di questo breve saggio di Mirza Mehmedović, ad uso di coloro che oggi intendono apprendere le arti della mnemotecnica, o mnemopoiesi come preferisco chiamarla. In un mondo caratterizzato da un’insegnamento dell’ars reminiscendi che si concentra sugli aspetti quantitativi e competitivi, ricorrendo (spesso a sproposito) a nomi come quello di Simonide, Cicerone, Lullo e Bruno, questo saggio spiega in modo chiaro e inequivocabile che l’arte della memoria non serviva un tempo a ricordare la lista della spesa o una serie di cento numeri estratti a caso, ma costituiva uno strumento interpretativo della realtà e della conoscenza, poiché si basava non soltanto sulla collocazione di vuote immagini in loci arbitrariamente predisposti, ma richiedeva una meditazione profonda sulle idee, si trattava cioè di una tecnologia del sé, per dirla con Foucault. Ho affrontato più volte questi temi, formulando il principio dell’economia e pertinenza nella visualizzazione delle architetture mentali e questo saggio della Mehmedović è molto importante per capire da dove viene la mia convinzione che non sia prudente costruire un palazzo della memoria nel nostro salotto di casa per memorizzare il conto della serva.
Nel panorama del pensiero rinascimentale, l’arte della memoria di Giordano Bruno rappresenta molto più di una semplice tecnica mnemonica. Come emerge da un’attenta analisi delle sue opere, essa costituisce un elemento centrale della sua filosofia, intimamente connesso a una più ampia visione dell’universo e del rapporto tra il divino e l’umano.
La base filosofica dell’arte della memoria bruniana affonda le radici in una sintesi originale tra neoplatonismo e atomismo: cosa vuol dire, questo? Che al centro della sua concezione troviamo la convinzione che tutte le idee particolari siano deducibili da un’idea generale, che è quella del motore stesso dell’infinito universo, identificata in Dio stesso. Va detto che Giordano Bruno pensa a un Dio non trascendente il mondo, ma immanente al mondo, un principio primo della realtà che ne muove ogni singolo elemento. Bruno concepisce Dio come atto puro infinito, distinguendolo dall’universo che possiede invece un’infinità estensiva. In questo quadro, il filosofo cerca di superare il tradizionale dualismo tra materia e forma, sostenendo che tutto sia riconducibile all’unità divina.
La teoria della conoscenza che ne deriva è particolarmente innovativa e ancora attualissima, possiamo dire che anticipa di diversi secoli la convergenza tra scienza e filosofia: i nostri sensi vengono relegati a un ruolo marginale, non sono fonte di verità ma servono solo a eccitare la ragione, mentre le forme essenziali sono quelle che l’intelletto riconosce in sé stesso, presenti dall’eternità, come nell’idealismo classico in cui le idee sono più reali della realtà stessa.
Giordano Bruno rifiuta l’idea della mente umana come specchio passivo del mondo sensibile, proponendo invece una scala della verità che va dalla più minuscola entità, unità di essere, alla totalità infinita di quell’idea che comprende, armonizza e muove tutte le altre idee, cioè Dio. Un dio che non ha nulla a che vedere col vendicativo custode dell’ordine morale imposto dalle religioni.
Sorprendentemente centrale in Giordano Bruno è il ruolo attribuito ai sentimenti nel processo memorativo-conoscitivo, cioè nello sviluppo della conoscenza, imparare è emozionarsi. In particolare, l’amore viene visto come chiave fondamentale, una sorta di demone interiore capace di condurre sia alla virtù che al vizio. Senza un adeguato coinvolgimento emotivo, sostiene Giordano Bruno, la dimensione immaginativa risulta debole e instabile, la conoscenza è impossibile. Il sentimento diventa così una via privilegiata di accesso al divino e potente strumento di rafforzamento della memoria.
L’architettura dell‘ars memoriae è dunque fondamentale nell’apprendimento e si struttura attorno a due concetti operativi fondamentali, che l’autore mutua dalla classica tecnica dei loci, ma combinandola con il problema della verità posto dai teologi, ovvero catalogando le idee e i luoghi in cui noi le immaginiamo secondo diversi livelli, dal particolare al generale, come nella famosa scena di Gian Maria Volonté che insegna ai pescatori veneziani come si passa da uno stelo d’erba, al prato, al cielo, a Dio: i subiecta (luoghi virtuali, in cui collochiamo le immagini della nostra mente) e gli adiecta (le forme memorabili con cui ci rappresentiamo le idee) non servono solo a noi per collocare le informazioni da memorizzare, ma sono a loro volta realtà immanenti al mondo, influiscono sul nostro pensiero e dunque sulla nostra azione, quindi sono reali. Giordano Bruno insiste molto sull’importanza della varietà e della diversificazione per evitare confusione, e sulla necessità che le forme (adiecta) siano dinamiche e cariche di valenza emotiva.
Sarebbe riduttivo vedere in questa complessa architettura solo uno strumento mnemonico. L’ars memoriae bruniana si propone come vero e proprio strumento di comprensione filosofica, mirando alla conoscenza del disegno divino e all’anticipazione della natura, poiché non è possibile mettere ordine nelle nostre idee senza meditare su queste, e dunque senza riflettere sui vari ordini di realtà in cui viviamo. Essa permette di muoversi in una dimensione interiore generata mediante facoltà razionali, con l’ambizioso obiettivo finale di comprendere l’azione di Dio nell’universo infinito.
L’influenza di questa concezione si rivelerà duratura, riverberandosi nel pensiero di filosofi successivi come Galileo e Spinoza, particolarmente nelle loro concezioni del rapporto tra ragione, natura e divinità: l’arte della memoria di Giordano Bruno si configura così come uno dei più ambiziosi tentativi rinascimentali di creare un ponte tra mente divina e umana, tra infinito e finito, tra eternità e tempo, tra scienza e filosofia.
Giordano Bruno mostra in questo modo come la memoria non sia solo un archivio di informazioni, ma possa essere concepita come strumento attivo di comprensione della realtà e di elevazione spirituale. Una lezione che, seppur calata in un contesto filosofico molto distante dal nostro, è ancora una provocazione intellettuale modernissima.