Imparare è emozionarsi. Memoria del piacere e del dolore.

Per sottrarsi al condizionamento della memoria, si deve coltivare l’arte della memoria

Imparare è emozionarsi

Memoria del piacere e del dolore
Articolo di Federico Berti

Per secoli le emozioni sono state viste come un ‘daimon’, un demone che si impossessa dell’anima destabilizzandola e inducendola a scelte impulsive, quando non alla depravazione, alla decadenza, alla disperazione. Dalla furia di Achille nell’Iliade, l’eroe incapace di contenere la sua violenza, all’Ippogrifo che Ruggero fatica a domare nell’Orlando Furioso, la virtù è sempre identificata nel controllare le passioni che erompono dal profondo. In particolar modo con l’educazione cristiana, cattolica e protestante in Europa, o quella puritana che ha trovato fertile terreno di sviluppo nel Nord America, emozioni decisamente piacevoli come la lussuria vengono considerate vizi capitali, mentre quelle spiacevoli come il dolore e la sofferenza diventano al contrario virtù. Dante Alighieri nella Divina Commedia scaglia le passioni all’inferno, stessa dannazione dell’anima riservata dal Rinascimento ai personaggi delle grandi tragedie teatrali, travolti da emozioni che li conducono nella maggior parte dei casi alla morte. Così avviene nel teatro dell’Opera ottocentesco, nel romanzo borghese e ancora oggi nel cinema di Hollywood. Questa visione delle emozioni come un elemento ostativo alla comprensione, pone le basi per una dialettica sentimento/ragione che s’incarna nella morale e nell’etica del gentiluomo educato, autocontrollato, equilibrato, moderato.

L’antica e moderna visione negativa del sentimento viene drasticamente superata con un salto vertiginoso dopo la seconda guerra mondiale, quando la rivoluzione culturale degli anni Sessanta vede imporsi la Teoria cognitiva delle emozioni formulata per la prima volta dalla psicologa Magda Blondiau Arnold e ripresa in vario modo da diverse scuole di pensiero. Per tutta la seconda metà del Novecento le emozioni verranno poste dalle neuroscienze al centro dei processi cognitivi, non più come motivo d’inganno, illusione, pregiudizio, ma proprio come motore stesso dell’apprendimento. Imparare è emozionarsi. Mi emoziono, dunque sono. La ricerca sperimentale ha dimostrato negli ultimi cinquant’anni che ogni esperienza sensibile viene di fatto sottoposta prima a un giudizio emozionale da parte del soggetto, che valuta l’evento in base all’intensità, alla piacevolezza, al rischio che comporta e solo in un secondo momento passa tutto al vaglio dell’intelletto. Impossibile non ritrovare in queste indagini un riflesso del principio platonico di piacere, sofferenza e desiderio, le tre fondamentali potenze in grado di ‘muovere’ l’animo verso la conoscenza (‘emozione’ viene dal latino ex-movere, muovere fuori) che il filosofo poneva alla base del processo cognitivo. Sono le direttrici principali della motivazione ad apprendere, che nasce dunque sotto il segno dell’emozione, prima che della ragione. Ecco allora invertirsi letteralmente di segno il rapporto fra passione e intelletto, l’una motore dell’altro e non viceversa. Una rivoluzione copernicana, quella iniziata negli anni Sessanta, che influirà drasticamente sulle teorie dell’apprendimento nei decenni successivi.

Di fronte a all’esperienza stessa del processo cognitivo noi oggi sappiamo che il primo passo è preoccuparsi di renderlo non solo utile, efficace, ma anche e forse prima ancora piacevole, sia prendendoci cura del luogo fisico e del contesto in cui si svolge la nostra meditazione, sia provvedendo a minimizzare qualsiasi elemento di disturbo possa rendere impegnativo focalizzare l’attenzione, o riflettendo su quel che potrebbe rendere ancor più piacevole per noi l’acquisizione delle conoscenze che stiamo elaborando. Imparare dev’essere prima di tutto un piacere, primo e più importante compito del docente è proprio quello di insufflare nello studente il desiderio di provarlo, questo piacere. Diverso è studiare per bisogno, come avviene ad esempio allo scolaro che vede nella lezione o nel compito da svolgere solo un obbligo, una responsabilità, o quando si intende sviluppare una competenza indispensabile a svolgere determinati compiti sul lavoro. In quel caso raggiunto l’obiettivo posto dal bisogno, si tende a non approfondire e questo non produce che l’illusione della conoscenza. Identificando nuovi bisogni, possiamo tenere vivo l’interesse. Il principio del dovere può essere vissuto come fonte di emozioni negative, si pensi all’insofferenza per la costrizione o all’ansia da prestazione che può inibire l’iniziativa fino a congelarla, come avviene spesso nella scuola primaria e secondaria. Fondamentale è trovare dunque un equilibrio fra le tre principali direttrici indicate da Platone, sperimentando la motivazione sospesa tra piacere, bisogno e dovere.

Le neuroscienze, la psicologia e le teorie dell’apprendimento, nell’indagare il rapporto fra emozione e processi cognitivi hanno approfondito questioni che in filosofia erano già note da tempo. L’ars memoriae fin dal tempo di Cicerone e Quintiliano pone l’accento sulla costruzione di immagini agenti che siano emozionanti, non solo didascaliche. E’ nota ad esempio la testimonianza di vari mnemonisti che ammisero fin dal Quattrocento di inserire nelle proprie architetture mentali immagini evocative anche nel senso dell’eccitazione fisica, dell’erotismo, espediente raccomandato pure dagli acrobati dei mind sports contemporanei. Di questa relazione fra eccitazione fisica e memoria sono consapevoli purtroppo anche gli esperti della pubblicità e della propaganda politica, quelli che Vance Packard chiamava mezzo secolo fa Persuasori occulti, negromanti della comunicazione. Le campagne intraprese per porre un freno all’uso indiscriminato del corpo delle donne nel marketing, sono indicative di una tensione profonda intorno a questa pratica molto diffusa. E’ un campo di studi, quello dell’analisi motivazionale orientata alla propaganda, che nasce come un applicativo della psicologia ghestaltica e si basa s’un modello di comunicazione stimolo/risposta, un modello improntato alla manipolazione, non alla didattica, non produce quindi conoscenza ma solo comportamenti condizionati. Per quanto ognuno di noi possa ritenersi libero da forme di abuso, nella realtà sappiamo bene che l’uso di queste strategie di comunicazione si fonda su studi statistici approfonditi che fanno dell’indagine demoscopica il loro passpartout per scardinare le menti più smaliziate. Ogni volta che acquistiamo un prodotto reclamizzato alla televisione, dobbiamo rassegnarci all’idea di non essere immuni da un bel niente, al contrario siamo parte di questo processo manipolatorio anche se non ce ne rendiamo conto.

E’ vero del resto anche l’inverso. Il dolore, la paura, l’emozione negativa, è un elemento che contribuisce in modo diverso, ma sostanzialmente simile nel procedimento, all’impressione del ricordo. Basti pensare alle ‘flashbulb memories’ di cui abbiamo parlato in altra sede, ovvero quegli eventi impressionanti che lasciano un ricordo profondo, radicato nella coscienza e descritto dai testimoni nel minimo dettaglio. La propaganda religiosa è consapevole dell’efficacia che il principio del piacere e quello del dolore hanno sulla memorizzazione dei contenuti, per questo motivo la rappresentazione dei motivi decorativi nelle chiese, o la loro descrizione dei testi sacri, passa dalle immagini gloriose ed estatiche dei celi luminosi a quella straziante del dolore e della sofferenza esposta con dignità composta dai martiri nelle loro icone. Pratiche arcaiche tuttora coltivate come quella del cilicio e dell’autoflagellazione si inscrivono in quest’idea del dolore come un motore dell’anima verso la conoscenza di Dio, quel che rende l’uomo simile al Cristo sulla croce. Se confrontiamo le icone religiose con i manifesti della propaganda nel Novecento, non possiamo che rilevare le profonde analogie nell’uso del principio di piacere e dolore evidente nel contenuto delle immagini, mai neutre dal punto di vista emozionale.

Riconoscere dunque il ruolo dell’emozione dell’apprendimento e per contro nel suo inverso, la manipolazione, pone il problema di come usare questa chiave di volta che tiene insieme le nostre architetture mentali. Possiamo infatti usarla nel senso creativo, speculativo, razionale, o al contrario servircene per attraversare le difese naturali di altre persone come fanno l’oratore, il venditore, il demagogo. Nel primo caso faremo appello all’immaginazione nel senso della libertà creativa, nel secondo caso faremo leva sulle debolezze, sui dubbi, sulle paure inconsce, per instillare nella mente dell’interlocutore un’emozione che induca a un comportamento favorevole per noi. Ho ancora davanti ai miei occhi la presentazione di un materasso ortopedico tenuta da un rappresentante di chissà quale casa madre (singolare che a distanza di anni non ricordi il nome dell’azienda) e fatta passare impropriamente come una conferenza sul sonno. Nel finale, il disonesto conferenziere giunse a prospettare addirittura il rischio di paralisi della spina dorsale per una postura non corretta a causa del materasso o del cuscino adottato dal povero dormiente. Un’emozione, la paura, che gli valse la convinzione di qualche cliente ancora incerto sull’acquisto, procedimento non dissimile dall’uso della paura fatto dai nazisti nella propaganda antisemita del primo Novecento e riportato nel Mein Kampf di Adolf Hitler, o nei testi chiave della propaganda contro gli ebrei come i Protocolli dei Savi anzian di Sion, o in un romanzo apparentemente innocuo come il Dracula di Bram Stocker. La scelta è dunque tra l’impiego dell’emozione nel senso pavloviano dello stimolo-risposta che produce un apprendimento meccanico, condizionato, non una conoscenza profonda, o lo stimolo dello studente a emozionarsi mentre studia, a provare il piacere di meravigliarsi per ogni nuova competenza acquisita.

E’ in questa parte del discorso che entrano in gioco l’arte e la creatività. Ne avevamo parlato nella prima parte del lavoro sulla memoria come un’arte delle arti. Nella filosofia greca, la dea della memoria Mnemosine figlia di Urano e Gea veniva considerata anche madre delle Muse, ovvero delle arti. Tutte le arti sono arti della memoria. Per questo motivo nelle scuole pitagoriche e poi in quelle platoniche, fondate s’un insegnamento ancora sostanzialmente orale nonostante si conoscesse da tempo l’uso della scrittura, le arti si consideravano uno strumento per l’educazione dell’intelletto e l’addestramento della memoria. Si studiavano in particolar modo le tre arti fondamentali, danza, musica e poesia, come strumento per la trasmissione e l’assimilazione profonda del sapere. Le arti non venivano coltivate in funzione del bisogno individualistico e narcisistico di apparire, come avviene oggi nel misero teatrino dei social networks, ma come una pratica collettiva cui ogni cittadino greco era tenuto a prendere parte. Tutti dovevano cantare, ballare, imparare a memoria versi poetici, proverbi, motti di spirito, racconti, favole, perché la cultura si considerava allora un bene comune al quale ognuno doveva contribuire, stranieri e schiavi compresi. Parliamo dunque delle arti intese come arti popolari, inclusive e partecipative. Queste sono responsabili di suscitare profonde emozioni nel momento stesso in cui trasmettono un contenuto sapienziale, muovendo l’anima verso la più alta delle forme di conoscenza. La conoscenza che attraverso l’emozione muove l’intelletto. Come affidarsi alle arti e alla creatività nei processi cognitivi è tema che non possiamo esaurire in poche note a margine, quel che per il momento a noi interessa è rilevare il ruolo dell’emozione nell’apprendimento, nell’importanza di emozionarsi ed emozionare e nella centralità delle arti, della poesia, della creatività, in questo percorso che muove l’anima fuori dal sé.


Federico Berti,
Memoria, l’arte delle arti


Bibliografia

Balboni, Paolo E. Il ruolo delle emozioni di studente e insegnante nel processo di apprendimento e insegnamento linguistico, in: EL.LE, II/1, Marzo 2013, ISSN 2280-6792

Berti, Federico, Memoria. L’arte delle arti, Bologna, Streetlib, 2022

Blondiau Arnold, Magda, Emotion and Personality, Bolumbia University Press, 1960

Blondiau Arnold, Magda, Memory and Brain, Ebook, 2013

Bussi Parmeggiani, Elisa, L’arte bastarda. Analisi del linguaggio della pubblicità televisiva inglese, Bologna, Patron, 1988

Cavalera, Cesare, L’influenza di colpa e vergogna sulla memoria di lavoro. Un’indagine sperimentale. Dottorato di Ricerca in Scienze della Formazione e della Comunicazione. Benessere della Persona, Salute e Comunicazione Interculturale, XXVI Ciclo. Università degli studi di Milano-Bicocca, Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione “Riccardo Massa”

Cohn, Norman, Licenza per un genocidio. I «Protocolli dei savi anziani di Sion» e il mito della cospirazione ebraica, Roma, Castelvecchi, 2013

Packard, Vance, I persuasori occulti, Torino, Einaudi, 1958.

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