L’uso della memoria nell’apprendimento di un brano musicale.
Analisi e introiezione
L’uso della memoria
nell’apprendimento di un brano musicale
Articolo di Federico Berti
“Buongiorno, vorrei fare una domanda difficile e ottenere una risposta facile. Vediamo se è possibile. Sono un pianista autodidatta e sono in grado di suonare brani molto impegnativi. Il mio problema è che non capisco cosa intende un professionista per memorizzazione. Ho sentito molte campane: devi saper riscrivere il brano, devi sviluppare una memoria fotografica, devi memorizzare una riga per volta e saperle poi suonare in ordine sparso… Nessuna di queste spiegazioni mi convince del tutto. Ovvio che la memoria delle mani non è assolutamente sufficiente. Qualcuno si sente di spiegarmi brevemente in modo teorico, e forse anche superficiale, cosa memorizza un professionista? “
Mauro, Pianoforte a 360°
Caro Mauro, il problema che tu poni è comune all’apprendimento di qualsiasi strumento, per cui volendo darti una risposta pratica ti direi che la memorizzazione del brano inizia dall’analisi musicale, ovvero dalla comprensione stessa dello spartito, e procede attraverso l’introiezione, ovvero l’assimilazione profonda della musica, cioè quello che vorrei descriverti qui di seguito come l’ascolto con tutti i sensi. Nell’analisi dello spartito e della musica noi mettiamo in gioco lo stesso tipo di procedimento comune alla lettura di un libro, alla visione di un dipinto, o all’esercizio di un calcolo matematico. Non basta affidarsi alla memoria fotografica dello scritto, è necessario individuare all’interno della composizione l’architettura che l’autore si pensi abbia voluto darle, un lavoro per il quale può essere molto utile l’interpretazione che ne viene data dai critici, dagli storici della musica, lo studio di quello che il brano voleva trasmettere quando venne composto. Questa parte viene molto prima dello studio pratico sullo strumento, ed è certo utile poterne ascoltare molte esecuzioni diverse per sentire come i vari interpreti gli hanno dato la propria impronta, cercare di cogliere le differenze fra l’una e l’altra incisione.
Nella seconda fase, quella dell’introiezione, l’obiettivo da perseguire è fare in modo che quella musica risuoni dentro di noi, dobbiamo ascoltarla con tutti i sensi. Non è un eufemismo o un paradosso allegorico, il suono musicale possiamo toccarlo fisicamente, vederlo, persino gustarlo, odorarlo. Una musica si può ‘guardare’, nel senso che il suono musicale suscita in noi delle visioni, eccita la nostra immaginazione, come se disegnasse dei quadri che possiamo vedere se proviamo a lasciarci trasportare: quelle figurazioni sono molto importanti perché arricchiscono il senso del brano, dunque ci aiutano a memorizzarlo. Oltre alle immagini la musica porta spesso con sé un flusso di pensiero, fa emergere dei ricordi che possono manifestarsi addirittura attraverso memorie di odori e sapori. Non tutti arrivano a questa profondità di analisi, ma il modo migliore per raggiungerla è usare la musica come strumento per un ascolto di tipo meditativo. Ricordati che il nome dato dai classici alle Muse, le divinità che presiedevano alle arti, voleva dire letteralmente coloro che meditano attraverso la fantasia.
Se avrai svolto correttamente queste prime due fasi, che possiamo definire come analisi e introiezione del brano che vuoi studiare, la terza ti risulterà molto più semplice. Molti prima di cominciare ogni sessione di studio chiudono gli occhi per figurarsi lo spartito davanti e coglierne i punti salienti senza bisogno di leggerli, associandoli al suono, alle visioni interiori, ma anche eseguendo simbolicamente il brano a tastiera cieca, ovvero con le dita sul legno dello strumento e non sui tasti. Non importa riuscire a ricordarne ogni minimo dettaglio, quello che riusciamo a fermare nel pensiero andrà a costruire dei punti di riferimento utili nel renderci più familiare la composizione man mano che ci esercitiamo. A quel punto valgono i procedimenti che già conosci: studiare gruppi di 4-8 battute, ripeterli uno alla volta prima a mani disgiunte e poi a mani unite, insistere sui passaggi che trovi più ostici suonandoli a ciclo continuo finché non senti più la difficoltà, provare a metterli insieme. Quando avrai studiato le varie parti, nel suonarle di seguito finirai per costruirti spontaneamente, senza bisogno di particolari artifizi, una sorta di mappa mentale dell’esecuzione, nella quale cercherai di individuare le parti più ostiche e quelle in cui ti senti più sicuro, nella prospettiva di usare le seconde per prepararti all’arrivo delle prime.
Non basta ovviamente ripetere il brano mentre lo studi, mettendo da parte le prime due fasi come se dopo non servissero più, suggerisco al contrario di continuare a praticare l’analisi e l’introiezione, ovvero l’ascolto sinestesico (con tutti i sensi) associando mentalmente quest’attività meditativa anche al ricordo delle sessioni di studio sullo strumento. Col tempo ti accorgerai che il brano ti è letteralmente ‘entrato dentro’, gli darai vita ogni volta che lo suoni perché sarà diventato parte integrante di tutto il tuo essere, mente e corpo. Spero che questi consigli possano esserti utili, nel caso ti interessi approfondire la parte mnemonica desidero segnalarti due libri che ho scritto specificamente su questo tema e che riportano anche una bibliografia di riferimento per addentrarti nello studio della tua memoria profonda, che cambierà completamente il tuo approccio all’arte, rendendola uno strumento di radicale trasformazione interiore.