Lisciva. Non tornerei indietro. Gli anziani raccontano. Interviste in casa di riposo. Libro, Ebook.
Lisciva
Il bucato con la cenere
Interviste agli anziani in casa di riposo
In collaborazione con Villa Maia, Monghidoro (Bo)
NON TORNEREI INDIETRO
“Fare il bucato era una cosa seria, voleva il suo tempo e una gran fatica. Ci si cambiava anche meno di adesso, i letti poi non ne parliamo, colle braci del camino per scaldarsi nell’inverno la cricca si cuoceva per bene, dopo ti credo che dovevi bollirle. Ho bruciato una coperta così, non avevo messo bene la suora sotto al prete si chiamavan così, che poi dovevi stare attenta al gatto sennò rovesciava tutto e prendeva fuoco. La biancheria veniva meglio che in lavatrice perché la cenere non è come il detersivo: più liscio, morbido, un profumo naturale di pulito che adesso hanno un odore chimico, a me disturba. Ci vuol l’ammorbidente, prima non ne avevi bisogno.”
“Nel 1959 quando son venuta dalla campagna ad abitare a Bologna, trovai la casa già con la lavatrice e il frigo, tutto un prezzo. Si che prima non avevamo nemmeno quello. Le lenzuola eran di canapa, che le donne allora filavano in casa col telaio, la mia dote l’ho ricamata da me, otto lenzuola, averne tre o quattro a quel tempo eri già ricco. Meglio che in cotone perché se erano un po’ più dure all’inizio, poi si ammorbidivano e diventavano fresche per l’estate, una signora dal medico ricordo mi chiedeva di dare a lei le mie perché era malata e le servivan quelle, risposi che non potevo. Per lavarle vuol la cenere di legno, non di carbone.”
“Noi avevamo tutto un campo di pioppa era un tronco e lo usavamo per riscaldare, far da mangiare, se non c’era la stufa si usava il camino. Quindi uno scarto, serve pure per cucinare: mia madre metteva le patate di fianco al fuoco, delle belle gnocche così ce la stendeva sopra e si cuocevano da sole, avevano un sapore! Sembravano arrostite. Anche la carne fasciata nella carta bagnata, che non bruciasse. Insomma dopo raccolta questa cenere dovevi setacciarla perché dentro si trovano i carboncini, allora la tenevi dentro un calderone apposta quella pulita. Ti serve un setaccio uguale a quello della farina, magari un po’ rotto che non va bene perché la crusca passa sotto.”
“Quando è il momento di fare il bucato, metti a bollire una gran pentola sul fuoco, quel paiolo che usava anche quando lavavano il maiale per togliergli il pelo; dentro di rame, fuori s’anneriva a furia di star sulla fiamma, si perché ci rimaneva ogni giorno, lo scaldabagno era poi quello. Non si faceva spesso ma dopo qualche mese, mio bisnonno aspettava alla fine dell’inverno. A quel punto si prende un mastello, vuole un tino grande come questa tavola, simile a quelli del vino, largo anche un metro e mezzo dipende che famiglia hai da lavare, poggiato sopra un trabiccolo con due assi incrociate.”
“Quindi il lenzuolo si bagna con l’acqua della pentola, viene passato con un sapone che noi lo facevamo sempre in casa colle cotiche del maiale e la soda, cuocevi a lungo e poi alla fine tagliavi i pezzi. Oggi lo compri. Insomma, una volta insaponato lo metti nel mastello. Sopra ci stendi anche un pezzo di tela vecchio ma fitto che non passi nulla sotto, noi lo chiamavamo zindron, il cenerone perché serviva proprio a quello. Legarlo tutto intorno con della laccia in modo che vada giù nulla perché altrimenti sporca. Sopra metti la cenere, ne vuole un bel po’ ma bisogna averne un’idea perché se è troppo forte, la lisciva ti rompe le dita, viene pure il sangue. Puoi tenerla anche più volte per la roba scura o per lavare i capelli, dicono che proteggeva dai pidocchi.”
“Noi si sapeva la quantità a occhio, provando l’impari. Allora aggiungi la famosa acqua bollente con un secchio e la metti lì sopra alla cenere, piano piano che vada giù; voglion delle ore perché passi di sotto, intanto si può far dell’altro. Io credo che la lasciassero a bagno tutta la notte, alle due del mattino ci alzavamo per andare a lavare in bugadria, un locale apposta che usavi per queste cose: era come una cucina, aveva il fuoco e serviva anche per fare il bagno. Non devi mescolare, è tappato per cui rimane coperto. Mi ricordo mamma lo ripeteva anche un paio di volte, apriva un rubinetto in basso al mastello, raccoglieva la lisciva, e la ributtava di sopra. Per questo serviva di sollevarla sopra le assi, che mettevi un bacile e la tiravi da sotto. Togli il telo, butti la cenere bagnata nell’orto da far concime, a questo punto hai tutto il tuo bel bucato da risciacquare vicino al pozzo, colla catena tirar su l’acqua oppure se avevi il lavatoio, o al fiume. Una volta siamo state al Reno. Era pesantissima, perché assorbiva un sacco. Col birroccio la portavi e una bestia o due. Da stare attenti perché una volta arrivò la piena, scapparon via ma la corrente si portò tutta la biancheria.”
“Ora c’è da dire che s’andava insieme, mica sole. Mio nonno faceva venire le donne dalle famiglie dei suoi contadini, per aiutare le figlie perché erano quindici o trenta persone in casa addirittura, dei bucati che duravan giorni. Poi dopo veniva il bello, quand’era quasi asciutto vi ricordate la tiratura? S’andava a raccoglierlo noi lo si doveva stirare a mano, uno da una parte e uno dall’altra; avevamo un tavolo da 24 persone, ce l’ho ancora sul granaio non so più dove metterlo, bisognava far combaciare tutti i dentini del pizzo, al massimo passavi una punta di ferro caldo sull’orlatura. Altrimenti se la lasci così com’è la canapa rimane dura e poi non la stiri più. Non c’era ancora il ferro a vapore, ne usavo uno colle braci dentro, bello era ma pesantissimo, un affare grande così col manico di legno e infatti lo adoperava solo mio zio che era un uomo aveva la forza. Occhio non venissero fuori le braci, altrimenti addio dote.”
“Puoi lavarci anche i vestiti colorati, la lana però a parte e allungando il ranno coll’acqua fredda altrimenti è troppo carica. Stenderli dopo la guerra usavamo i fili del telefono lasciati dagli americani, ce n’era dei rossi e dei neri, oppure la corda apposta chi viveva in città. Ma l’ideale era sul prato, che non passavano le macchine e non c’era il piombo dello scarico, la guazza del mattino dicono l’imbiancava ancora di più, oppure noi andavamo al macero quando avevano appena segato il frumento e rimaneva la paglia gialla secca alta un palmo da terra, usavamo quella come stenditoio. Asciugavano bene senza sporcarsi, certo era un po’ lontano da casa però non c’era dei ladri allora, non di biancheria almeno. Solo gli zingari rubavano i vestiti, non le lenzuola questo il perché non te lo so dire: di giorno sulle siepi dovevi fare la guardia ai vestiti, non di notte alla biancheria. Fai così adesso, portan via tutto. Insomma anche il momento per fare il bucato va scelto per bene.”
“In conclusione, alla nostra lettrice che vuol sapere della lisciva, risponderemo che la biancheria veniva più bella, più bianca, più pulita e profumata, non avevi problemi di allergia per le sostanze nei detersivi, s’incontravano altre persone alla fontana e quindi stavi pure in compagnia e tra donne si parlava di tutto, però voglio essere sincera: indietro non tornerei neanche un po’, adesso la vita è diversa. Si fa meno fatica. Ho sempre lavato al freddo, ne risentono mani, piedi, perché ho questo ginocchio malato? Per l’artrosi. Le lavandaie di mestiere prendevan su dei malanni, non era nemmeno tanto igienico. In due ore adesso c’è già la tua roba lavata. La ringraziamo delle sue domande perché così possiamo mettere a disposizione di uno più giovane la nostra esperienza. Lei chieda pure, che noi si risponde come possiamo. Tanti saluti e baci, paga la multa e taci.”