Non giudicare mai un cavaliere dalla cotta di maglia che indossa. Sarà alto un metro e ottanta, volto coperto, occhiali scuri e una lunga tracolla dietro la schiena, me lo vedo scavalcare il davanzale attraverso il vetro rotto. Sembra uscito da un fumetto del secolo scorso. Nel trovarmi là in piedi con la bocca spalancata dà un cenno brusco e vagamente aggressivo, l’istinto suggerisce un dignitoso ripiego verso il piano di sotto, lui saltando come un capriolo con due balzi mi sbarra la via nel corridoio.
Muove rapidamente le mani, le gambe, il collo, emettendo suoni curiosi dalla bocca stretta nel passamontagna; immobile contro la porta della mansarda strizzo le palpebre voltando la faccia rassegnato come un bimbo che attenda lo schiaffo dal padre, quando m’accorgo che il feroce guerriero non colpisce, tutt’altro. Si limita a spaventare. Più che un’arte marziale, una danza meditativa.
In quel frangente noto un piccolo cartello attaccato al costume col prezzo e anche il nome del negozio dove l’ha acquistato; lo sconosciuto segue il mio sguardo, afferra il biglietto per staccarlo dal vestito e interrompe sbuffando la sua pantomima. Levatosi il copricapo, tira un gran respiro, si passa una mano tra i capelli radi e arruffati, guarda intorno disperato. Par quasi che voglia piangere. Gli porgo una sedia, lo osservo a lungo.
Esaminando con più cura i suoi lineamenti ho un sussulto: “Ben ti conosco!” esclamo, “La tua foto è sul giornale, da mesi ti stanno cercando intorno al Lago Maggiore. Polizia, guardia forestale, esercito e carabinieri, uno schieramento di mille uomini che giorno e notte si danno il cambio per catturare l’ormai leggendario Lupo di Valacchia, detto fra noi ho visto adolescenti innamorate raccontare di te come d’un romantico fuorilegge con cui se ne andrebbero volentieri in capo al mondo”. L’intruso alza la testa, mi scruta negli occhi per qualche secondo poi divertito ribatte: “Tu mangiato faccia ad architetto dopo che avvelenato in sottoscala. Leggo anch’io giornali fratèalo“.
Non ho davvero tempo da sperperare in giustificazioni, invito l’uomo con la balestra a lasciare insieme a me quest’ala del palazzo, è pericoloso restare qui. Senza indugio raccolgo i fascicoli rimasti in terra, poi tirandolo per un gomito e mostrando l’indice dritto fra la bocca e il naso, lo esorto a seguirmi. Scendiamo le scale con circospezione. Al primo piano le macchine stanno rianimando i pazienti in fin di vita dopo l’ultima rissa, strisciamo come serpi verso l’ingresso e usciamo nel giardino dell’ospedale.
Tutto si svolge come da consuetudine, sul muretto Gustavo si gode il metadone perso in chissà quale orbita fra Marte e Venere mentre Sandino poco distante manovra con perizia l’aquilone, le tre pie donne dicono il rosario davanti al pilastrino dopo aver riunito cinque o sei dementi in carrozzina ai piedi della Madonna. L’intervento al piano di sopra non ha turbato la serenità di questo luogo sospeso fra terra e cielo, la vita continua perbacco.
Rientriamo in fretta dall’ingresso che sta sul retro dell’edificio. Infiliamo l’uscio della mia stanza, abbasso un poco la serranda per ammorbidire la luce. Devo pensare alle telecamere nascoste, mi viene in mente che tengo sempre una scacchiera nell’armadio, passione mai dismessa anche se con poca soddisfazione visto che avversari degni non ne capitano spesso da queste parti; la dispongo sul tavolo con uno sguardo complice al mio interlocutore, sediamo uno di fronte all’altro a capo chino.
“La sorveglianza automatica riprende per lo più dall’alto, se resti a testa bassa sul tavolo puoi ingannarli, ti scambieranno per uno qualunque degli altri ospiti” sussurro all’uomo con la balestra affinché nessun microfono possa catturare la mia voce. Sembra che l’assassino conosca bene il posto in cui si trova. Senza dire una parola sistema i pezzi nella posizione d’inizio.
Attraverso la finestra della mia stanza osservo con un nodo alla gola le fiamme che divorano ettari di bosco tutt’intorno alla residenza giudiziaria, mentre il canadair della cooperativa Linguatorta innaffia l’inferno come i bambini sulla spiaggia spruzzano d’acqua i castelli di sabbia per renderne più solida la struttura.
Cerco gli occhi dell’uomo in calzamaglia nera, lui sorride beffardo e muove i suoi pezzi con leggerezza, non riflette a lungo ma avanza disordinatamente con pedoni isolati e trascura il centro del tabellone. “Non sono assasìno” mormora con studiata indifferenza. “Forse un poco di rapine però mai sparato prima. Uno vede mio vestito allora si spaventa, scappa e lascia me molti soldi. Se uccido viene altri dopo che tagliano mia gola, loro non sono paura. Per questo io spaventa ma non spara”.
Mai giudicare un eroe dal canto che ne fanno i menestrelli, penso tra me. Finora questo povero disgraziato l’han descritto radio, televisioni e riviste d’ogni genere come un terrificante soldato, uno che può sopravvivere per mesi coi vestiti bagnati addosso nutrendosi di bacche e radici, bevendo l’acqua dei navili e dormendo sulle foglie secche. In realtà il terribile Lupo di Valacchia è rimasto sempre qui dal primo e unico omicidio commesso lo scorso inverno. Dorme nel seminterrato.
E’ l’uomo che ho visto radersi la barba in biblioteca, nella penombra non lo avevo riconosciuto. “Non sono assasìno”, ripete. “Poco buono sparare in casa d’altri, non ho paura di legge italiana ma più di gente per bene che comanda. Loro cattivi molto. Quello morto è solo incidente, lui vede me non scappa ma prende subito pistola, spara a mie gambe. Non posso aspettare. Vlad cacciatore, sa tirare di balestra”.
La sua storia suona più inquietante di come la cantano, s’è dovuto rivolgere a un protettore prima che gli tagliassero la gola quelli che si fan pagare il pizzo per garantire la sicurezza alla piccola e media impresa, l’han sistemato qui nella residenza giudiziaria in cambio di qualche lavoretto, è un irregolare inutile dirlo; chiunque sia stato deve avere aderenze nel mondo politico e amministrativo, qualcuno che possa permettersi di pagare una telecamera per chiudere l’occhio.
“Loro detto me stare tranquìelo” prosegue, “Donna con occhio di vetro porta qualcosa di mangiare. Loro non detto a nessuno me scappato lontano perché vuole che tutti hanno paura. Nuova caserma, squadre di volontari, dicono per pulire città da barboni e puttane vuole una pistola in ogni casa, per questo loro detto a giornali che Vlad dorme ancora dentro bosco. Ora privati messo taglia su mio corpo, vivo o morto. Sicari di tutto il mondo cercano me, portare mia testa per venti milioni e nessuno protesta. Brava gente fan paura. Loro assasini, non me”. A suo modo ha ragione, pagare per un omicidio è reato. Continua a parlare immobile con lo sguardo fermo sopra la scacchiera. (Continua)