Artisti di strada a Roma. Le oche del Campidoglio | Poesia.
“Le oche der Campidojio”. Autore, voce narrante: F. Berti
L’oche der
Campidojio
Poesia di
Federico Berti
Tratta da:
“Gli artisti di strada
non sono mendicanti”
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La leggenda vuole che siano state le oche a salvare la città, in realtà leggendo il mito con più attenzione si noterà che il loro merito fu solo quello di svegliare i soldati dal sonno. Disturbarli, per la precisione, altrimenti avrebbero continuato a dormire. Insomma prendiamone atto, Roma non l’hanno salvata le oche ma i soldati che han combattuto per difenderla, se un merito hanno avuto i palmipedi, è stato quello di possedere una voce non proprio suadente e un poco sviluppato senso della discrezione. Molto spesso tendiamo a sopravvalutare il nostro ruolo nella vita pubblica.
Colla vociaccia tutta flatulenta
je piace da fa’ mucchio ‘nt’a lla piazza
pe’ biascica’ quer ciuffo de codazza,
du’ mollichelle e tu la fai contenta
Se penza d’esse’ l’urtima poetessa
ma è serva de chi campa sull’ovetto,
tutta ‘mpettita, dondola er culetto
manco fosse Giovanna la Papessa
Dice che Roma la sarvorno loro
strillaveno sguajate le canzoni
che in undici pareva ‘n concistoro
In verità so’ stati i centurioni
svejàti dallo squinternato coro
penzorno: “C’aete rotto li cojoni!”
Glossario
‘nt: dentro
Svejàti: svegliati
Penzòrno: pensarono
aete: avete
La leggenda delle
oche del Campidoglio
Classico dell’epos fascista che trattava la storia di Roma a suon di novelle esemplari prese in prestito più dalle leggende che dalla storiografia, la storia delle oche sul Campidoglio che salvarono i Romani dall’assedio di Brenno contiene un divertente paradosso che ben si presta a descrivere quelli che si credono salvatori del mondo e non s’accorgono d’essere servi di qualcun altro. In fondo Roma non è stata salvata dalle oche, ma dai Romani che svegliati dalla loro confusione s’accorsero dell’imboscata: i pennuti da cortile ebbero a ben dire un merito assai poco lusinghiero, quello di urlare con voce sgraziata nel cuore della notte. Di essere insopportabili, insomma. Una metafora di quegli intellettuali che hanno letto molto ma ricordano poco, aspettano le molliche piovute dalla mano del padrone e intanto si dilettano d’arte, filosofia, cultura. Così dicono almeno.