Pluralismo culturale e accademie letterarie tra avanguardia e conservazione.
Le accademie
letterarie
Tra avanguardia
e conservazione
Articolo tratto da F. Berti,
Trilussa contro Maciste
In questa breve panoramica sulla poesia popolare in vernacolo romanesco e sull’uso del sonetto, abbiamo nominato alcune accademie letterarie, fenomeno da cui non si può prescindere se vogliamo comprendere quella che è stata la grande rinascita dell’umanesimo originato dal sodalizio tra una parte dell’aristocrazia e la nascente borghesia, in aperta contrapposizione con l’oscurantismo dei secoli cosiddetti bui. Si è parlato del ruolo svolto proprio dalle accademie a Roma nell’affermazione della koiné toscana a partire dalla fine della diaspora avignonese e il ritorno del Papa a Roma, fino al sacco dei lanzichenecchi nella prima metà del Cinquecento, e di come le accademie successive, quelle del Seicento e del Settecento, abbiano contribuito all’invenzione d’un romanesco aristocratico, letterario. Frequentò e fondò accademie quel Giuseppe Berneri autore del Meo Patacca, così come lo stesso Gioachino Belli autore dei Sonetti romaneschi. Fino al secolo romantico è l’associazionismo delle accademie a promuovere l’otium letterario d’ispirazione neoclassica, evidente il debito verso la scuola del filosofo greco Platone e del latino Cicerone.1 Le accademie rinascimentali ricaddero solo in parte nel patronato dei principi, dell’aristocrazia e dell’alta borghesia, che talvolta le sostenevano in forma privata nella prospettiva di potervi esercitare sopra un controllo; in realtà a differenza delle Università, che a partire dal Quattrocento ottennero sempre più spesso il contributo pubblico, le adunanze delle Accademie dovevano accontentarsi di qualche mecenate che occasionalmente poteva avere anche un ruolo politico. 2
L’Italia risentì per tutto il Seicento e il Settecento della competizione tra l’artistocrazia, la borghesia e il clero, che attraverso la Controriforma tentò con ogni mezzo di mantenere il primato della teologia sulle altre scienze. Le università italiane si ritrovarono penalizzate da stipendi inadeguati, concorrenzialità dei collegi religiosi, nepotismo e spartizione delle cattedre a vantaggio delle parentele o dei piccoli baronati. In questi due secoli, le accademie soffriranno paradossalmente meno la diminuzione complessiva delle risorse disponibili o il fatto che queste venissero per lo più impiegate nella costruzione di chiese e palazzi, o nel finanziamento degli spettacoli e delle feste pubbliche. Merito di queste associazioni culturali è stato in ogni caso per almeno quattrocento anni il rivendicare una cultura scientifica e letteraria non soggetta al primato della teologia. Espressione di questo conflitto sono i due eventi forse più controversi di questo periodo storico, ovvero il processo a Galilei e la condanna di Giordano Bruno. Con la rivoluzione francese e il movimentismo risorgimentale, l’arrivo di Napoleone in Italia, la nascita dei movimenti rivoluzionari, tutti questi fenomeni insieme contribuiranno a sovvertire l’ordine delle cose portando alla nascita d’una scuola pubblica, laica e all’istruzione obbligatoria.3 Da allora in poi nulla sarà più come prima.
L’istituzione della scuola pubblica, la restaurazione nazionalista, le rivoluzioni industriali tra Ottocento e Novecento, porteranno a un sistema di competizione tra stato, clero e corporazioni, con il cosiddetto quarto stato che inizierà a esercitare in modo sistematico pressioni dal basso nella lotta politica e nelle rivendicazioni sociali. In tutto questo complesso equilibrio, le università pubbliche faranno capo al potere politico e da esso dipenderanno, quelle private al potere economico, mercantile e finanziario, quelle religiose alle confraternite e dalle istituzioni che le governano, mentre le accademie si troveranno a subire e riflettere tutte queste pressioni insieme; questo moderno associazionismo potrà concorrere in parte al finanziamento pubblico e in parte chiedere il sostegno dei privati, simpatizzando o meno per un partito politico, per una corporazione, per una confessione religiosa; un cenacolo letterario o scientifico sarà dunque espressione delle forze che lo finanziano e degli ingegni che lo animano. Le iniziative di queste accademie dunque, per il modo stesso in cui vengono progettate e realizzate, ne tradiscono anche la linea più o meno rigorista, progressista, classicista, modernista, militante e così via.
Rispetto al problema rappresentato dal vernacolo dialettale a Roma abbiamo dunque messo in evidenza i punti principali su cui riflettere in una prospettiva a lungo termine: in primo luogo ridefinire il concetto stesso di ‘popolo’ in relazione a una città come Roma, multietnica per definizione, nata intorno alle migrazioni dei popoli da luoghi prima vicini (si pensi al rito antico della zolla di terra), poi sempre più lontani. In secondo luogo il monitoraggio della varietà idiomatica presente sul territorio, intesa questa nel senso più ampio ovvero tenendo presenti le molteplici identità culturali attive, capaci di reagire all’evoluzione della società in movimento. In terzo luogo, un confronto con l’ideologia del vernacolo tradizionale, fondamentale per l’individuazione delle specificità in relazione con l’onnipresenza e le pressioni dei media di massa. In ultima analisi l’incidenza delle altre lingue, non soltanto l’italiano, nella ridefinizione dei rapporti culturali all’interno di questo nuovo organismo in cui sempre più si troveranno a dover convivere, interagire, comunicare, evolvere insieme, popoli diversi.4
Note
1Alessandra Panzanelli, Le accademie in Italia dal Cinquecento al Settecento, in Atlante della letteratura italiana, a cura di Sergio Luzzatto e Gabriele Pedullà. II. Dalla Controriforma alla Restaurazione, Torino, Einaudi, 2011, pp. 314-322.
2Luigi Pepe,Università, accademie e scienze in Italia nell’etàmoderna, in ‘Bollettino dell’Unione Matematica Italiana’, Serie 8, Vol.2-A—LaMatematica nella Società e nella Cultura, 1999, n.1, p. 17–35.
3Luigi Pepe, op. cit. p.31grazioni dei popoli da luoghi prima vicini, poi sempre più lontani. In secondo luogo il monitoraggio della varietà idiomatica presente sul territorio, intesa questa nel senso più ampio ovvero tenendo presenti le molteplici identità culturali attive, capaci di reagire all’evoluzione della società in movimento. In terzo luogo, un confronto con l’ideologia del vernacolo tradizionale, fondamentale per l’individuazione delle specificità in relazione con l’onnipresenza e le pressioni dei media di massa. In ultima analisi l’incidenza delle altre lingue, non soltanto l’italiano, nella ridefinizione dei rapporti culturali all’interno di questo nuovo organismo in cui sempre più si troveranno a dover convivere, interagire, comunicare, evolvere insieme, popoli diversi.
4Flavia Gramellini, op. cit., p.182: “A poco più di un secolo dall’unità d’Italia Italo Calvino sulle pagine de ‘Il Giorno’ si soffermava su una questione sopra la quale tanti prima di lui avevano riflettuto e progettato, descrivendo situazioni e prevedendo evoluzioni, imponendo norme e canoni o suggerendo modelli. Insomma, l’antica «questione della lingua», che tuttora non cessa di sollevare dibattiti. Negli anni del boom economico, dell’industrializzazione, della migrazione interna, di un allargamento della partecipazione al sistema di istruzione ed alla cultura in genere, della nascente comunicazione di massa affidata a radio e televisione, essa si presentava, più che,come una questione, come un problema da risolvere e destava qualche timore per un futuro imprevedibilmente soggetto ad un veloce cambiamento.”