La realtà dell’illusione
La realtà
dell’illusione
Il Boia dell’Alpe n.34
Thriller italiano
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Nota dell’editore. Il manoscritto è un falso. Non c’è appello a critica della ragione o vezzi di pirandelliana memoria, nonostante il clima di omertà che si respira intorno alle mie indagini ho incontrato anche persone disposte a collaborare, entusiaste della mia iniziativa. Un testimone ha mostrato le immagini da lui stesso catturate durante la sfilata dei carri nel carnevale del 2015, l’anno della grande nevicata: non si vede alcuna donna messa in gabbia e sorvegliata da carabinieri in uniforme, non s’è svolta la tradizionale farsa del processo che di fatto non ha luogo da almeno un ventennio. Solo i carri allegorici. Le parole del diario sono quindi pura finzione, molto probabilmente un’idea dello stesso architetto. Ciò non spiega tuttavia il mistero delle minacciose intimidazioni da me ricevute, o la silenziosa complicità di chi mi tratta con riguardo non dovuto. Il traffico delle reliquie è un’invenzione letteraria, ma ho la sensazione che nelle memorie d’Erminia Maltagliati si nasconda un qualcosa di drammaticamente reale. Purtroppo sono relativamente nuovo del paese, non conosco ancora abbastanza le persone per cogliere i riferimenti meno espliciti, da giorni deambulo come un alieno in cerca di qualcuno da intervistare. Chi mi lascia entrare in casa, chi mi tiene a distanza con sospetto.
Dalle informazioni fin qui raccolte sembra esservi un curioso parallelismo tra le disavventure del boscaiolo e la vicenda personale dell’architetto, entrando nello specifico devo constatare alcune incongruenze nell’istanza di sfratto che l’ha indotto ad abbandonare il suo appartamento sito nel centro storico. Pare che tra le carte siano state ritrovate diverse irregolarità accompagnate da numerose denunce contro ignoti alla stazione locale dei carabinieri, per motivi apparentemente scollegati fra loro: danneggiamenti, scasso, diffamazione e falso in atto pubblico, violazione di domicilio, simulazione di reato, procurato allarme. Mettersi contro le persone sbagliate è pericoloso. L’architetto s’era trovato nella morsa dei debiti e tentava disperatamente di attirare l’attenzione su qualcosa che non poteva provare davanti a un tribunale, ne ottenne solo un inasprirsi delle ostilità. Dovette vendersi i mobili pagando fatture da capogiro per il cambio d’una lampadina, o per ripristinare una grondaia ancora nuova d’impresa; quindicimila euro per la riparazione d’un televisore e nessun ricorso che arrivasse in porto, l’armadio della vergogna conteneva dichiarazioni dal tono surreale; gli inquilini del palazzo tacevano spaventati per i metodi non proprio ortodossi degli aguzzini. Nessuno parlava, nessuno chiedeva i danni. Solo lui, l’architetto. Mi reco allora negli uffici del Comune per raccogliere informazioni in merito alle imprese coinvolte in questi traffici, ma niente da fare. Negato l’accesso ai fascicoli per motivi di riservatezza. Mentre esco deluso mi torna in mente che esiste un accesso all’ambulatorio medico da una scala interna e attraverso di esso, un passaggio da cui si può entrare nei locali della biblioteca anche durante l’orario di chiusura; infilo dunque la rampa calandomi nel sotterraneo con l’intenzione di svolgere ricerche in solitudine, per non incontrare ostacoli alla consultazione di questo o quell’annuario. Si trovano spesso registri pastorali, edizioni limitate che trattano la storia locale anche degli ultimi cinquanta o sessant’anni, raccolte di giornali attraverso cui ricostruire fatti altrimenti vittima dell’oblio collettivo. La porta interna non è chiusa a chiave, entro senza difficoltà.
Nel consultare lo schedario vengo subito messo in allarme da un odore di cera calda, poi uno strano rumore nel seminterrato, dove si conservano le scatole dei nuovi arrivi o i fondi ancora da schedare. Temo d’essere scoperto, per questo m’avvicino con cautela. Non so descrivere la sorpresa sporgendomi dalla ringhiera, nel riconoscere lo sguardo impaurito d’un uomo anziano con la sciarpa a quadri intorno al collo, il berretto di lana in testa e le ciabatte imbottite di pelo. Regge in mano un moccolo di candela con lo stoppino ancora fumante. “Proprio voi, qual buon vento! Venite pure, gradite un amaretto?”. E’ lui, Lucrezio Coppola da giorni latitante. Mentre toglie l’acqua dal piccolo bollitore per versarla in una tazza zuccherata, spiega con naturale serenità che la bibliotecaria lo nasconde come un ospite di riguardo, gli porta da mangiare, ha premura che non manchino mai nel bagno la carta e il sapone. Una rete di solidarietà s’è attivata nel procurargli un letto, un materasso non troppo morbido, coperte e lenzuola pulite. Vengono a cambiargliele una volta alla settimana le volontarie della parrocchia, lui trascorre intere giornate leggendo e scrivendo, in attesa che si calmino le acque. E’ nel suo elemento. Le persone oneste lo proteggeranno a costo della vita, nessuno potrà torcergli un capello perché nel suo romanzo (ormai ne sono certo, lo ha scritto lui) vi sono indizi e prove concrete che inchioderebbero gli assassini. Per questo si sente tranquillo, semplicemente attende il momento di regolar vecchia pendenza come un saggio in riva al fiume aspetta che passi il cadavere del proprio nemico. Nel sentirmi dire queste cose comprendo che la situazione in cui si trova è temporanea ma anche instabile, forse più pericolosa di quanto lui stesso non pensi. Intuisco d”essere l’elemento chiave nel suo straordinario disegno. E’ con questo spirito che dopo aver salutato il distinto scrittore, mi ritiro per leggere le ultime pagine delle memorie.(Continua a leggere)