La crisi dei missili coreani. Dov’è il malinteso. Fake news tutorial
La crisi dei
missili coreani
DOV’E’ IL MALINTESO
Articolo di Federico Berti
TUTORIAL FAKE NEWS
La questione del Nord Korea, le armi nucleari di Kim Hong Un e il suo fair play con gli Stati Uniti di Donald Trump, ecco un altro tema che divide l’opinione pubblica. Non lo affronteremo sotto il profilo etico o politico, ma da un punto di vista puramente cognitivo: qual’è il vizio di ragionamento che sta dietro la maggior parte delle facili conclusioni offerte dalla stampa internazionale, quel che ne sappiamo e quel che possiamo realmente documentare.
IL PROGRAMMA NUCLEARE COREANO
In primo luogo mi sembra di cogliere nella questione dei missili coreani una colpevole mancanza di contestualizzazione storica nell’analisi del quadro politico, a leggere molti giornali si direbbe che il programma nucleare di questo piccolo stato cuscinetto collocato fra Cina Russia e Giappone sia il frutto di una scelta recente e che il noto dittatore lo stia sbandierando ai quattro venti con il preciso obiettivo di scatenare il finimondo. Come spesso accade, l’analisi geopolitica è molto più complessa e impone un passo indietro. Il sonno della ragione genera mostri.
DA HIROSHIMA A PYONGYANG
Il programma nucleare della Corea risale agli anni successivi il conflitto con gli Stati Uniti iniziato nel 1950, esattamente 5 anni dopo la distruzione di Hiroshima e Nagasaki, il conflitto nell’estremo oriente asiatico segnò allora un momento culminante nella guerra fredda, nel quale lo spettro del nucleare giocò un ruolo decisivo. Non sarà inutile ricordare la deposizione del generale Mc Arthur, che pensava di poter risolvere il conflitto a suon di bombe atomiche, da parte del presidente Truman. Lo stato coreano usciva da quarant’anni di dominazione giapponese grazie al supporto dell’Unione Sovietica e della Cina di Mao, è in questo clima che nasce e si sviluppa il programma nucleare del Nord Corea.
LA GUERRA FREDDA
Fino agli anni ’80 la corsa agli armamenti nucleari è stata condivisa dalle maggiori potenze del mondo, in un crescendo che ha destato viva preoccupazione nell’opinione pubblica internazionale; la politica del disarmo risale soltanto al periodo della cosiddetta ‘Perestrojka’ e si è protratta per molti anni fino all’amministrazione di George Clinton, giunta a un passo dall’accordo con l’allora presidente Kim Jong Il. Nell’accordo, che non fu mai firmato per l’avvenuta scadenza del mandato presidenziale americano e il successivo cambiamento nella politica di George W. Bush, si concordava una riconversione degli armamenti atomici in energia nucleare, con un supporto concreto anche da parte degli Stati Uniti. In questo complesso quadro, nulla distingue il percorso dell’estremo oriente da quello dell’occidente capitalista.
LA POLITICA DEL DISARMO
Una delle critiche più frequentemente rivolte alla Corea del Nord è che gli accordi di Ginevra sul disarmo non siano stati mai rispettati, purtroppo questo è uno dei temi nevralgici che han portato al fallimento nella soluzione pacifista delle istanze poste dalla guerra fredda: come ben sappiamo infatti, non solo il Nord Korea ma tutti i paesi coinvolti negli accordi sulle armi di distruzione di massa, sulle armi chimiche, atomiche, sui diritti dell’uomo, sul ripudio della guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali, non hanno mai veramente rispettato le convenzioni, senza esclusione di alcun governo ma in misura direttamente proporzionale al coinvolgimento nello scacchiere strategico mondiale. Tra i paesi che tuttora contravvengono a questi accordi, gli Stati Uniti d’America, Israele e l’Arabia Saudita si distinguono per la politica aggressiva da loro perseguita negli anni successivi al fatidico 11 settembre 2001.
DOPO L’11 SETTEMBRE
Con l’amministrazione Bush Junior. s’inaugura una stagione completamente nuova per la politica internazionale, caratterizzata da un conflitto quasi ininterrotto che vede gli Stati Uniti nella parte dell’aggressore imperialista agitare lo spettro del terrorismo, delle armi di distruzione di massa, come paravento per iniziative militari unilaterali in Medio Oriente, in Africa, in America Latina, in Europa e nel Pacifico. E’ stata proprio la Casa Bianca a invertire la rotta sul negoziato aperto dall’amministrazione Clinton con la Corea del Nord sugli armamenti nucleari, ed è stato proprio a partire da quel rifiuto che prima Kim Jong Il e poi Kim Jong Un hanno ripreso la via del riarmo: non l’acquisto di armi atomiche, ma la predisposizione di un’industria gestita direttamente dal governo, in grado di produrle a un ritmo capace di sostenere un eventuale conflitto militare.
L’INCUBO NUCLEARE
E’ naturale che tutti noi sentiamo viva preoccupazione per quest’inquietante rigurgito di guerra fredda, credevamo di poter relegare l’incubo atomico a un immaginario apocalittico di fine millennio e ora ce lo ritroviamo di nuovo in casa. Dovremmo fare molta attenzione però a non cadere nella trappola dello schieramento acritico, non servirà a niente speculare sull’eventuale (mai dimostrata per il momento) ferocia di una dittatura che non sembra aver mai portato gli abitanti del Nord Korea a scappare dal loro paese, o discutere vivacemente sulla presunta superiorità di una democrazia, vera o apparente, che negli ultimi settant’anni s’è lasciata dietro più vittime di Hitler, Mussolini e Hiroito messi insieme. Quel che serve quanto mai ora è ragionare sulla politica del disarmo, se realmente lo si possa considerare una soluzione al problema.
LA SOCIETA’ TECNOLOGICA
Quel che il dittatore coreano sta dimostrando è un fatto al quale non si può opporre nessun’obiezione razionale: nella società tecnologica, per incutere timore a una grande potenza non serve un esercito immenso, non un’aviazione numerosa o una flotta invincibile, basta possedere armi nucleari e testate balistiche di precisione per poter colpire qualsiasi nemico in caso di aggressione. Combattuta su questo piano la guerra diventa semplicemente inutile, perché non può portare a nessuna conquista reale: in teoria basta girare una chiave per cancellare intere metropoli, ma nella pratica nessun governo, nessun’organizzazione terroristica troverebbe sensato invadere un paese con tanto potenziale distruttivo e per contro si può dire anche l’inverso, nessun paese che possieda armamenti nucleari troverà produttivo impiegarli per aggredirne un altro capace di rispondere con la stessa moneta. Uno stallo che ha tenuto l’America e l’Unione Sovietica in precario equilibrio per più di cinquant’anni.
LA PRODUZIONE ILLEGALE DI ARMI ATOMICHE
Naturalmente restano aperti interrogativi inquietanti da thriller dietrologico, l’ipotesi che armi di questo tipo finiscano in mano a sette millenaristiche o folli psicopatici che le possano usare per distruggere veramente il pianeta, questo è un pericolo serio e purtroppo non possiamo evitarlo nemmeno cancellando il programma nucleare coreano, o riprendendo la politica del disarmo collettivo: dal momento che la ricerca tecnologica sull’impiego dell’energia nucleare nell’industria degli armamenti è stata aperta, l’umanità non può fingere d’ignorarla né impedirne la produzione illegale, cosa che spaventa forse più d’un programma governativo. Ma questi sono problemi che non rientrano direttamente nella crisi coreana, come abbiamo visto: rientrano piuttosto nel problema etico e politico, nel merito del quale non possiamo entrare in queste brevi note.
L’ISOLAZIONISMO DEL NORD KOREA
Un altro vizio di ragionamento nell’analisi politica della crisi coreana è nel pensare che un piccolo paese come il Nord Korea possa fare del proprio isolazionismo una crociata contro l’umanità. Si dimentica il ruolo di stato cuscinetto che piuttosto svolge tra le potenze che lo circondano, Cina, Russia e Giappone. Le prime due in particolare sostengono la Corea del Nord. Da un punto di vista geopolitico, la Corea del Nord è perfettamente inserita nel suo territorio, non è che uno dei paesi dell’oriente asiatico ostili ormai per tradizione più che centenaria alla politica imperialista degli Stati Uniti d’America. Dietro il programma nucleare di Kim Il Sung c’era l’Unione Sovietica di Stalin, ora c’è la Russia di Putin e il socialismo di mercato perseguito dal Cina.
DOV’E’ IL FAKE
Tutti noi vorremmo abolita la guerra, una pace duratura nel mondo, prosperità, uguaglianza e giustizia sociale, sono gli obiettivi proclamati dalle costituzioni di ogni paese, non c’è bisogno di ricordarlo. Ma di fronte alla minaccia coreana quel che dovremmo seriamente valutare non è la follia apparente di Kim Jong Un, quanto la visibile preoccupazione dell’impero americano, che fin dalla sua nascita non ha mai passato un solo anno senza essere impegnato in qualche conflitto militare al di fuori dei propri confini. Il solo paese del mondo che abbia davvero usato la bomba atomica per distruggere intere città, e avrebbe continuato a farlo se il generale Mc Arthur non fosse stato deposto. Dov’è il fake dunque? Nella leggenda nera di Kim Jong Un in preda al delirio di onnipotenza, nello stereotipo del dittatore sanguinario che vuole sfidare le potenze del pianeta e nell’illusione che le democrazie occidentali rappresentino il migliore dei mondi possibili.
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