Infoterapia. Contro la crudeltà nell’educazione
Legge francese contro la crudeltà sui bambini
Interviste in casa di riposo
Molto si discute in queste settimane sulla legge francese che secondo alcuni giornali e trasmissioni televisive proibisce ai genitori di sculacciare i bambini o infliggere loro punizioni severe quando si dimostrano recalcitranti all’educazione. L’opinione pubblica si divide in realtà s’un provvedimento che stabilisce solo il divieto di assumere comportamenti crudeli e umilianti, in risposta a un esplicito richiamo da parte del Consiglio europeo in questo senso. Una notizia falsa dunque, non è vietata la sculacciata quando serve all’educazione, ma la violenza fine a sé stessa, che è un’altra cosa; ascoltiamo l’opinione delle donne riunite in redazione, ospiti e parenti a confronto, in collaborazione con le volontarie del gruppo di lettura.
Danne ancora una e ti denuncio.
- “Ero a scuola la quarta classe, allora ho avuto qualcosa con la maestra, m’ha dato uno schiaffo e ho detto: – Vado a casa -, così ho fatto. Lì a casa mia c’era una pianta con della frutta, mia madre mi cercava e non potendomi trovare piangeva, ero proprio nell’albero in mezzo alle foglie, lei chiamava e dopo un po’ di tempo son venuta giù, quante sculacciate m’ha dato! Ha fatto bene perché stava in pensiero di me, avevo nove o dieci anni chissà dov’ero andata mi ricordo ancora, ma vuoi dire? Mettermi nella pianta e nascondermi là in mezzo che non si vedeva. Non mi facevano male, uno due o tre sono leggerissime. Non era sempre così però, ho visto i miei fratelli che andavano nella stalla ad aiutare perché eravam contadini, uno specialmente ha preso tante di quelle botte, ma tante che c’era da urlare, in particolar modo uno dei cugini che era proprio una persona nervosa, cattiva e si sfogava; eravamo in ventitré, così l’anziano che dirigeva un po’ la famiglia disse: “Danne ancor onna poi te ti bel a post. At denunzi!”, è stata una manna. Non ha più picchiato nessuno, si son messi un po’ in regola. Mio padre l’unico maschio sposato era uno che non ha mai alzato le mani, faceva così con un dito e tutti sull’attenti perché lui era giusto, mica severo. Ma quante botte, quante botte! Un tempo i bambini venivan picchiati con la frusta sulla pelle cose veramente atroci, atti di crudeltà anche da parte degli insegnanti a scuola, anzi i genitori dicevano se non si comporta bene lo picchi; poi siamo passati in un’epoca dove chi avesse toccato il bambino si sentiva in colpa, gli psicologi lo tempestavano: bisogna andare loro incontro, mai dire non devi fare questo o cresceva frustrato e via di seguito. Adesso invece si sta ritornando a un giusto equilibrio, no le botte da fare male perché non servono a niente, sono solo un sfogo della rabbia, ma nemmeno troppo permissivismo. Queste sculacciate erano poi così umilianti, o hanno raggiunto il loro scopo? Io non mi sono vergognata, mia mamma quando mi aveva detto tre volte una cosa, alla quarta arrivava lo scapaccione. Magari a un altro con un carattere diverso può creare problemi, sono sempre questioni delicate perché il bambino è in una condizione di debolezza rispetto agli adulti e non siamo tutti uguali”.
Se si danno male non servono
- “La sculacciata era meglio piuttosto dello schiaffo perché non prendevi da nessuna parte, in faccia sai c’è gli occhi, il naso; ne ho prese poco e niente, non me le ricordo anche perché ho perso mio padre quando son nata. Erano utili per modo di dire, da bambini magari piangevano perché volevano il pane, avevano fame capito? Allora uno diceva: “Sta zitto sennò te le do sul sedere!”. Dev’essere un bel magone per una mamma dover dire così ai suoi figli, solo che è la verità; quando eravam nella stalla il figlio di un’altra donna gridava dalla finestra: “Mamma, ho fame!” allora mia madre veniva con una bella pagnotta di pane fatta al forno per darla a questa donna e le diceva: “Vai mò in casa a dar da mangiare a tuo figlio”. Fortunatamente erano tempi prima della guerra, non ne avevano e lei glie ne dava un po’. Nel paese dove stavo io c’era un contadino che si levava la cinghia dei pantaloni e glie la dava sulle gambe, una bestia noi sgridavamo: “Basta, lasciatelo stare!” ma bisognava scappare sennò le prendevi pure te. Era proprio violento, una volta usava così specie in montagna, in campagna, le gambe tutte segnate. C’è differenza fra la mamma e il papà, lui ha la mano più pesante e si arrabbia, interviene solo per le cose più gravi, lei invece più leggera te le dà perché hai fatto un malestro, uno scapaccione e basta. Nessuna mamma poteva darle così forti, io che andavo in bicicletta mi rovinavo sempre le ginocchia e lei doveva fasciarmi, da grande le ho detto: “Quante me ne hai date!” ma lei: “Erano tutte sante, così hai imparato a essere educata, a dare retta!”. Però non mi facevano male. Mio padre faceva solo la finta della cintura, bastava mettersi la mano qua e tutti zitti. Oppure mi facevan lavorare nei campi, o scrivere un tema, stare in castigo mentre gli altri erano fuori a giocare; dico che sono utili perché uno mette un po’ di giudizio nella testa, non so se in altro modo funziona bisogna vedere il carattere che hanno, ognuno il suo. Il problema è se si danno male, allora non servono più”.
Manca l’educazione a educare
- “Io sono in conflitto di interessi perché pedagogista e poi laureata proprio in quegli anni lì. S’è preso un po’ troppo alla lettera le cose che si dicevano negli anni ’70, passati da un’educazione troppo restrittiva a una troppo liberale, ma perché si è voluto anche interpretare male le direttrici che venivano da questi Piaget, Montessori, che tra l’altro i maggiori fra loro non avevano figli e questo dovrebbe dirla lunga. Ad ogni modo parlavano di autorità e autorevolezza, in genere anche la sculacciata è una sconfitta perché vuol dire che non sei riuscito con altri mezzi a fargliela capire. E’ importante la coerenza, non puoi dire: “Non mangiare la cioccolata!” e poi magari tu per primo t’ingozzi nonostante hai il diabete, per esempio. C’è differenza fra autorevolezza e autoritarismo: le cose vanno spiegate non imposte dall’alto, chiaramente se poi nonostante questo poi il cinno non sta capito a quel punto lì ci vuole più severità. A me solo una volta mio padre ha dato un ceffone che mi son trovata la testa dall’altra parte perché avevo detto delle volgarità, anche mia mamma l’unica volta mi schiaffeggiò con uno strofinaccio e non ricordo nemmeno il motivo. E’ fondamentale ascoltare, osservare, perché ognuno ha bisogni diversi. Oggi non c’è l’educazione all’educare, vedo molta superficialità. Comunque educare un figlio non è mai un’equazione perfetta, le variabili sono tante; ci sono casi anche di bulli che non risolvi con una punizione per quanto forte perché sono reazioni a situazioni di disagio in cui si dovrebbe andare all’inizio per capire dove nasce il problema: i bambini oggi vengono lasciati molto soli o con un fratellino più grande, o a un doposcuola, non c’è un’educazione familiare con i suoi lati positivi e negativi. Oggi se un insegnante si azzarda a toccare un bambino passa i guai, devi avere come quell’autorità dentro che ti permette di alzare un sopracciglio e ottenere il risultato che vuoi. Io facevo la maestra, ho chiesto una volta a uno che ha buttato il banco giù dalla finestra: “Perché con me non fai queste cose, ma solo con la mia collega?”, lui mi rispose: “Perché lei urla sempre”, dico allora: “Ma anch’io urlo, forse anche più forte”, e lui: “Si però dopo sorridi”. Insomma m’arrabbiavo ma dopo loro vedevano che c’era anche l’affetto; la mia collega che invece dopo le è venuto un esaurimento ed è andata in pensione anticipata, urlava come una disperata, non sapeva più cosa fare. Se anche dietro una sculacciata si sente il desiderio di educare, è diverso: i bambini hanno un profondo senso della giustizia. Sono sbagliate sia le legnate del ‘700, sia l’indulgenza di quel benedetto dottor Benjamin Spock che ha fatto più danni lui di tutti gli altri messi insieme: un pediatra americano, secondo lui i bambini non andavano mai toccati, sempre dire sì, risolvevi tutto dandogli un grande amore. No, l’amore non basta, ci vuole anche la giustizia. Inutile mettere cento regole, ne dai tre ma vanno rispettate”.
Quando l’educazione non basta
- “Ci son poi casi in cui il problema è a monte e va risolto in maniera diversa, parliamo sia dei maltrattamenti da parte di insegnanti patologici, sia di bambini che non rispondono a qualunque sistema. Deve intervenire la società a quel punto, ma i mezzi per far fronte li abbiamo? Grandi cambiamenti dovuti alle sostanze stupefacenti che sono state una vera piaga nel XX secolo, e anche all’avvento dei mezzi tecnologici che hanno sovvertito i concetti di tempo e spazio; una volta per sapere cosa succedeva là si doveva andare e muoversi. Da quando siamo andati sulla Luna il primo computer quella notte lì ha funzionato per questo evento, in realtà la rivoluzione non è stata quella ma è stata il contrario, portare la Luna in casa: ribaltato il mondo, i nostri fondamenti di essere umano. La società ha la volontà e i mezzi per risolvere questi problemi? Ora pensiamo a Gian Burrasca, di fronte ai bambini che non rispondono a nessuno dei sistemi educativi non violenti, quindi giusti, chi propone lo psicologo, chi un altro sistema; a Bologna avevamo il Collegio dei Birichini. L’istituto correttivo, insomma. Che poi va seguito anche quello per verificare che non avvengano ingiustizie, ma di sicuro non può usare gli stessi metodi della famiglia. E’ successo qualche anno fa, una maestra addirittura si trovò la milza disfatta a calci da un ragazzino della terza elementare; siamo ben oltre la semplice educazione. In conclusione l’argomento è complesso, si devono educare i bambini ma anche i genitori e delle volte non basta nemmeno quello. La legge francese contro la crudeltà nell’educazione è sacrosanta, ma questo non vuol dire che non si possa correggere con severità i propri figli o gli alunni a scuola. Come si dice, quando ci vuole…“