Il sogno premonitore del conte Ugolino. Inferno, Canto XXXIII.
Dante Alighieri
Divina Commedia
Inferno, Canto XXXIII, vv.22-55
Il sogno premonitore del Conte Ugolino
Il sogno premonitore del conte Ugolino, raccontato nella Divina Commedia, si inserisce in una dolorosa vicenda storica che risale al tempo delle lotte fra guelfi e ghibellini. Il conte era stato rinchiuso nella Torre dei Gualandi, quella che si trova ancora oggi in piazza dei Miracoli a Pisa. Un edificio in pietra alto circa 30 metri, costruito nel XII secolo come parte del sistema difensivo della città. La torre esiste ancora, ospita i locali della biblioteca della Scuola Normale di Pisa, è stata oggetto di recupero e valorizzazione turistica, la sua imponente presenza e la sua storia la rendono una meta molto apprezzata. Secondo la leggenda, imprigionato nella torre il conte Ugolino si rivolse all’arcivescovo di Pisa Ruggieri degli Ubaldini sperando in un suo intervento ma questi per tutta risposta lo tradì abbandonandolo al suo destino, da quel giorno gli vennero negati i viveri e fu lasciato a morire di fame nella torre, con i suoi figli.
Dato l’antefatto veniamo al racconto dantesco nel quale tutte queste suggestioni si trovano riassunte nel sogno premonitore del conte Ugolino, la cui anima tormentata racconta al narratore del poema che l’ultima notte, prima di essere definitivamente condannato a morire nella Torre dei Gualandi, gli era parso di vedere in sogno l’arcivescovo Ruggieri degli Ubaldini a capo di una battuta di caccia. I quattro della spedizione braccavano un vecchio lupo e i suoi cuccioli sul monte San Giuliano tra Pisa e Lucca, il lupo tentava di scappare verso la città pedemontana proprio come il conte aveva chiesto l’intermediazione di quella città, per ottenere la sua scarcerazione e un eventuale asilo politico. L’arcivescovo comandava la spedizione condotta da tre famiglie ghibelline di Pisa.
Ugolino (lupo) e i figli (cuccioli) vennero abbandonati il giorno dopo la visione di quel sogno, senza più ricevere il cibo. Ridotti a pelle e ossa i figli morirono per primi, raccomandandosi al padre perché si cibasse dei loro corpi per salvarsi; in preda alla disperazione e a una lacerante fame, Ugolino mantenne l’orrenda promessa.
Il Conte Ugolino
Inf. XXXIII, 22-55
Tu dei saper ch’i’ fui conte Ugolino,
e questi è l’arcivescovo Ruggieri:
or ti dirò perché i son tal vicino.
Che per l’effetto de’ suo’ mai pensieri,
fidandomi di lui, io fossi preso
e poscia morto, dir non è mestieri;
però quel che non puoi avere inteso,
cioè come la morte mia fu cruda,
udirai, e saprai s’e’ m’ ha offeso.
Breve pertugio dentro da la Muda,
la qual per me ha ’l titol de la fame,
e che conviene ancor ch’altrui si chiuda,
m’avea mostrato per lo suo forame
più lune già, quand’io feci ’l mal sonno (sogno)
che del futuro mi squarciò ’l velame.
Questi pareva a me maestro e donno,
cacciando il lupo e ’ lupicini al monte
per che i Pisan veder Lucca non ponno.
Con cagne magre, studïose e conte
Gualandi con Sismondi e con Lanfranchi
s’avea messi dinanzi da la fronte.
In picciol corso mi parieno stanchi
lo padre e ’ figli, e con l’agute scane
mi parea lor veder fender li fianchi.
Quando fui desto innanzi la dimane,
pianger senti’ fra ’l sonno i miei figliuoli
ch’eran con meco, e dimandar del pane.
Ben se’ crudel, se tu già non ti duoli
pensando ciò che ’l mio cor s’annunziava;
e se non piangi, di che pianger suoli?
Già eran desti, e l’ora s’appressava
che ’l cibo ne solëa essere addotto,
e per suo sogno ciascun dubitava;
e io senti’ chiavar l’uscio di sotto
a l’orribile torre; ond’io guardai
nel viso a’ mie’ figliuoi sanza far motto.
Io non piangëa, sì dentro impetrai:
piangevan elli; e Anselmuccio mio
disse: “Tu guardi sì, padre! che hai?”.
Perciò non lagrimai né rispuos’io
tutto quel giorno né la notte appresso,
infin che l’altro sol nel mondo uscìo.