La Giornata Internazionale della Donna tra storia e leggende metropolitane.
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Quello dell’8 marzo, Giornata Internazionale della Donna, è un problema non risolto. Tra storia e leggende metropolitane, ogni tanto arriva qualcuno e ribalta quelle che si ritenevano verità storiche documentate. Ogni donna apprezza in quel giorno il rituale mazzo di mimose, ma non tutte la pensano allo stesso modo s’una quantità di problemi: vi sono donne ad esempio che condividono temi come la parità del salario, il diritto al voto, la denuncia della violenza di genere, ma non l’interruzione volontaria della gravidanza, la contraccezione, il divorzio, persino il nome ultimamente ha subito, almeno nella vulgata, una trasformazione sostanziale diventando, da giorno di lotta, un’assai più vaga e disimpegnata Festa delle donne. Il metodo che adotteremo è sempre lo stesso di cui abbiamo detto in questa stessa sede, il museo di Piamaggio, lo scorso anno: in primo luogo, circoscrivere quel che crediamo di sapere a riguardo. Poi quel che si racconta ma soprattutto, chi lo racconta e perché. In una ricorrenza infatti vi sono elementi che la rendono riconoscibile, senza i quali essa non avrebbe lo stesso significato: immaginiamo il Natale a ferragosto, il 25 Aprile in inverno, il Carnevale a settembre, quando si sceglie una data lo si fa pensando a un particolare periodo dell’anno, o a un fatto storico rilevante al quale si vuol ricollegare quel determinato giorno. La data non è mai scelta a caso, il 2 Giugno corrisponde al giorno del referendum che sancì la scelta fra monarchia e repubblica dopo la seconda guerra mondiale, il 27 Gennaio si celebra la memoria dell’Olocausto nel giorno in cui venne liberato dalle forze sovietiche il campo di sterminio nazista di Auschwitz, il 10 Febbraio ricorda la firma del trattato di Parigi che assegnò l’Istria alla Jugoslavia, non una data qualsiasi dunque. Anche il nome di una ricorrenza è importante, la festa della Liberazione rappresenta per qualcuno la fine del nazifascismo, per qualcun altro la caduta del solo nazismo, per altri ancora l’inizio della servitù atlantica, ma il nome di quella ricorrenza ha un significato storico al di sopra delle singole opinioni, un senso istituzionale preciso. L’Italia liberata dalla dittatura fascista e dall’occupazione nazista. La Natività di Gesù ricorda la notte in cui è venuto al mondo l’iniziatore della religione cristiana, e così via: il nome di una ricorrenza rappresenta una sorta di programma che la identifica, ne riassume il senso.
8 Marzo, Giornata Internazionale della Donna
Veniamo dunque all’8 marzo, Giornata Internazionale della Donna. Una data, un nome. In virtù di quanto abbiamo detto sopra, quale evento storico si ricorda in quel giorno dell’anno? La vulgata vuole tuttora che si ricordi in quel giorno la morte di centinaia di lavoratrici nell’incendio di una fabbrica avvenuto nel 1908 a New York, in occasione del quale il padrone avrebbe addirittura chiuso dentro le donne lasciandole morire tra le fiamme. In realtà la tragedia, che effettivamente corrisponde a uno dei più disastrosi incidenti sul lavoro mai accaduto, non si verificò alla Cotton di New York l’8 marzo del 1908, ma alla Triangle il 25 marzo 1911, un evento di proporzioni inaudite che scosse profondamente l’opinione pubblica anche in virtù della responsabilità penale mai riconosciuta alla dirigenza della fabbrica, che aveva chiuso dentro le lavoratrici per aumentarne la produttività, causandone indirettamente la morte, e il misero risarcimento di 75 dollari alle famiglie di ciascuna vittima. Pur tuttavia, questo evento non è ricollegabile in alcun modo alla data dell’8 marzo, così come non lo sono le violente repressioni degli scioperi a Chicago, a Boston e a New York nel 1857 da qualcun altro invocate come fondamento storico della ricorrenza. Tutti questi eventi hanno in comune il fatto di essere avvenuti entro i confini di uno stesso territorio, gli Stati Uniti d’America. La stessa proclamazione della Giornata delle Nazioni Unite per i Diritti delle Donne e per la pace internazionale, con riferimento all’8 marzo, viene attribuita ancora oggi a una risoluzione dell’ONU che risalirebbe al 16 dicembre 1977, ancora una volta un organo con sede negli Stati Uniti. Si direbbe insomma che la Festa delle donne, così come viene chiamata volgarmente oggi, sia nata proprio in America, ma come vedremo le cose non stanno così, questa versione è il frutto di un’imbarazzante manipolazione della storia. In realtà la prima Giornata Internazionale della Donna fu istituita il 14 giugno del 1921 a Mosca durante la Seconda Conferenza Internazionale delle Donne Comuniste, durante la quale si fissò all’8 marzo la Giornata internazionale dell’operaia, rinominata poi su suggerimento di Lenin Giornata Internazionale della Donna. La data fu scelta per commemorare una pacifica manifestazione delle donne a San Pietroburgo, repressa nel sangue dai Cosacchi inviati a domare la rivolta, l’8 marzo del 1917. Fu il primo evento che diede innesco alla cosiddetta Rivoluzione di febbraio.
L’8 marzo non nasce in America
Dunque la Giornata Internazionale della Donna non è nata negli Stati Uniti ma nell’Unione Sovietica, il primo paese che abbia mai sancito per costituzione il suffragio universale, la parità dei diritti e dei doveri tra uomini e donne. E’ nel 1921 che per la prima volta questa ricorrenza viene fissata nel nome e nella data , ricollegandola a un fatto storico (quello si verificabile), avvenuto realmente e tuttora considerato un evento di rilevanza mondiale, la svolta di un’epoca. La leggenda metropolitana dell’incendio alla Cotton è dunque il frutto di una manipolazione storica consapevole, voluta proprio per rivendicare un fatto precedente alla rivolta di San Pietroburgo. Cambiando il nome alla fabbrica e la data dell’incidente, s’intendeva ricondurre l’origine della festività alle femministe borghesi nell’America del primo Novecento. Ora però dobbiamo fare un passo indietro. Negli Stati Uniti venne effettivamente istituita dal Partito Socialista una giornata della donna il 23 febbraio 1909, questo il dato storico. Women’s Day, si chiamava allora. La storiografia borghese e post-capitalista sembra voler leggere in questa data il primo nucleo dell’attuale ricorrenza, ma come vedremo le differenze rispetto all’attuale Giornata Internazionale della Donna sono molte, troppe: innanzi tutto il giorno non corrisponde, la prima domenica di febbraio in luogo dell’8 marzo, in secondo luogo la scelta del nome, ‘Women’s day’ ovvero il giorno delle donne, non sembra voler rendere conto della componente di classe (la donna, non le singole donne) e dell’internazionalismo socialista che incitava all’unione delle classi indipendentemente dai confini nazionali. Quello del primo Novecento a New York era un movimento borghese che rivendicava il diritto di voto alle donne e ne denunciava l’oppressione, ma non metteva in discussione il sistema politico, economico, culturale, che era alla base di quell’oppressione: per questo motivo nel secondo Congresso dell’Internazionale Socialista tenutosi a Stoccarda nel 1907, varie personalità della corrente marxista europea come Rosa Luxemburg, Clara Zetkin e August Babel, oltre che Lenin e Martov in Russia e Jan Jaures in Francia, avevano esortato le donne di tutto il mondo a dissociarsi dal movimento delle suffragette borghesi, alleandosi piuttosto con i partiti socialisti che lottavano anche per il suffragio delle donne, ma lo inserivano nel quadro più generale della lotta a tutte le forme di sfruttamento, oppressione, repressione, esclusione, a carico di tutti i cittadini di ogni paese del mondo: il motivo di questo dissidio tra femminismo borghese e femminismo socialista, era nell’obiettivo e nel metodo. Le femministe borghesi infatti portavano avanti una lotta che i partiti d’ispirazione marxista ritenevano superficiale, non risolutiva: curavano il sintomo, non la malattia. Nella visione marxista la liberazione delle donne era inclusa in un progetto molto più ampio e come tale in grado di muovere le masse popolari, includendo gli uomini che lottavano per la parità di genere.
Quante Giornate Internazionali della Donna?
Il Women’s day americano non si può considerare un antecedente dell’8 marzo, rappresentò al contrario la controparte sociale di quel vasto movimento che solo alcuni anni più tardi arriverà a istituire la Giornata Internazionale della Donna. Il mito della Cotton/Triangle non è dunque un banale fraintendimento, ma una volontaria manipolazione della storia, paragonabile all’ingresso dei carri armati americani nel campo di concentramento di Auschwitz nel film La vita è bella di Roberto Benigni. Una deliberata menzogna che si inserisce nella più diffusa damnatio memoriae di tutto quel che fu il socialismo internazionalista a cavallo tra Ottocento e Novecento. Un’operazione di propaganda sottile e spregiudicata che stravolge il senso stesso della ricorrenza trasformando quello che fu un movimento di classe a partecipazione di massa, nella filiazione a partire dalle proteste di una minoranza borghese e moderata. La risoluzione Onu del 1977 riconfermò la manipolazione storica ratificando la leggenda della Cotton e trasformandola in mito borghese, contribuendo all’oblìo del fatto storico e della reale ascendenza di questa ricorrenza. Inutile dire che anche lo slittamento del nome nella vulgata contemporanea ne riconferma l’involuzione: la Festa della donne ricorda anche nel nome il Women’s day americano del primo Novecento ovvero precisamente la controparte del femminismo socialista, avendo perso la componente internazionale e il richiamo alla lotta di classe. Questo spiega il motivo per cui tra le donne che amano ricevere la mimosa ogni anno alla data dell’8 marzo, troviamo anche quelle che vorrebbero tornare sulla legge 194 e incentivano il fenomeno dell’obiezione di coscienza antiabortista nei consultori, nelle farmacie, nelle sale operatorie. Dall’altro lato, una parte considerevole dell’opinione pubblica ricollega sempre più spesso la Giornata Internazionale della Donna a un più ampio movimento di liberazione sessuale, che coinvolge anche il diritto ai patti civili di convivenza e i diritti delle coppie omosessuali. Il problema sta nell’indifferenziazione tra l’una e l’altra visione del mondo, nella mancanza di consapevolezza e soprattutto, nell’approccio cognitivo a un problema che potremmo dire di memoria condivisa. Molti di noi si fermano al primo livello dell’interpretazione: leggono la storia della fabbrica andata in fiamme, non si pongo il problema di verificare se il fatto sia realmente accaduto e quando, se vi siano versioni alternative dello stesso racconto, in altre parole, e qui torniamo all’inizio della nostra riflessione, non si domandano chi stia raccontando loro cosa e perché.