Il mestiere del giornalista
Federico Berti
Il mestiere del
giornalista
L’ospedale fantasma n.29
Romanzo di Federico Berti
FANTASCIENZA ITALIANA
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E’ arrivato l’ambasciatore
Così la pustola è scoppiata. So bene cosa vuol dire trovarti i cronisti in casa, dopo tanti anni ho imparato a riconoscerli dalla voce, dalla luce negli occhi, a volte persino dall’odore: quelle insopportabili essenze di cui si cospargono i corpi incartati a confetto, nauseanti effluvi che si mescolano tra loro insieme nelle conferenze stampa con risultati agghiaccianti, dopobarba per lui, acqua di colonia per lei. Chi glie lo spiega a questi che le scarpe di vernice e il tallieur firmato non sono abbigliamento consono al mestiere del giornalista, coi tempi che corrono meglio scarpe comode, tuta da ginnastica, un berretto che non voli al primo vento e magari qualche lezione di difesa personale. Insomma, sono arrivati anche qui. Meno male penso tra me, ora dobbiamo solo fare attenzione a non rimanerne schiacciati. Perché nella loro disarmante ingenuità questi sono quasi più pericolosi dei criminali di cui parlano, non puoi prevedere cosa resterà della tua storia un quarto d’ora dopo l’intervista.
Non commettere imprudenze, penso tra me. In fondo non sono che servi malpagati da altrettanto impotenti caporedattori la cui sola preoccupazione è che un inserzionista possa mandargli la disdetta. Perciò fan paura. Nel vedermeli arrivare a scaglioni, prima timidi esploratori, poi a gruppi di tre o quattro e infine comitive armate di videocamera come turisti in vacanza, il mio primo pensiero è capire cosa stiano veramente cercando, quale che sia meglio dargliela subito prima che se la prendano da soli: il segreto è preparargli una notizia già bell’e pronta in modo che debbano lavorarci sopra il meno possibile.
Si direbbe che in città stiano girando infamanti notizie sul nostro conto. Molti sostengono che il governo spenda per noi un sacco di soldi, secondo loro dobbiamo solo ritirare i voucher all’ufficio postale e spenderli in orge incestuose. “Non vi basta un televisore per ogni camera?” domanda un giovane dalla fronte sudata e l’occhiale scuro mentre gli altri spingono, sgomitano, bestemmiano sottovoce. “Chi lava le vostre mutande?”, strilla da lontano una cornacchia sulla trentina coll’orecchino al naso, la giacca di vinpelle fucsia e un body giallo fosforescente. Non sanno che la cooperativa Linguatorta percepisce ogni mese ventimila euro solo per le spese di lavanderia, ma le mutande ce le laviamo da soli. L’assemblea pubblica sta per cominciare, il comitato locale incontrerà fra poco le autorità civili e i rappresentanti del servizio sanitario nazionale, per denunciare i crimini della Domoticart chiedendo l’apertura di un’inchiesta e la presa in custodia del ragioniere.
Schiarisco la voce. Tacciono. Da questo momento in poi, ho a disposizione più o meno venti parole per catturare la loro attenzione, pondero con cura. Quel che fa venire a un giornalista il prurito alla lingua non è tanto la parola detta, quanto il silenzio che ne consegue, quel tacito e sibillino riserbo che fa lievitare il racconto. La folla li spinge dentro la sala conferenze dell’ospedale Alderico Barbacani dove sono convenuti sindaci, assessori, medici, primari, sindacati, ma soprattutto schiere numerose di cittadini d’ogni età, ceto sociale e convinzione politica. Prende la parola Valeriana Citronella, sindaco transessuale di Lusiano, che ha sostenuto la nostra causa mettendo a disposizione del comitato organizzatore le sue strutture, invocando l’intervento delle forze armate in previsione d’uno scontro diretto con l’azienda.
“Cari concittadini, siam qui riuniti per salvare l’ospedale da uno squallido finale di partita” esordisce, “Come saprete gli ambulatori sono ormai gestiti da un servizio di volontariato locale. Dottori, specialisti, analisti di laboratorio, non ricevono più lo stipendio da mesi, vengono qui per puro spirito di servizio”. Tamburella sul tavolo le dita Valeriana, sollevando la testa scuote un poco la parrucca bionda e sorridendo solleva lo sguardo, “L’edificio è stato ristrutturato da questi ragazzi. Noi l’abbiamo seguiti da lontano, affiancati quando potevamo, consapevoli di non avere alcuna possibilità d’intervento, poiché la documentazione sulla Domoticart a suffragio delle nostre ipotesi era scomparsa nel nulla”. Si sente un brusìo tra la folla, “Ma ora” prosegue il sindaco “Nei volantini che io stessa ho raccolto per strada quei frammenti son tornati allo scoperto, ringraziamo di cuore queste persone per averli restituiti all’umanità. Erano là dove nessuno sarebbe mai andato a cercarli. Ora che siete venuti qui avete visto con i vostri occhi, potrete riferirlo al mondo”. Diffuso malcontento, per lo più nella stampa accalcata al centro della sala, stretta su ogni lato dalla ressa: La loro preoccupazione è comprensibile, tra i finanziatori della stampa locale è in prima linea la Domoticart e il suo braccio provinciale, la cooperativa Linguatorta, sentirsela accusare di crimini contro l’umanità sta mettendo a rischio il loro posto di lavoro, o nel migliore dei casi la loro coscienza.
La voce della dottoressa Citronella sbiadisce in lontananza mentre il mio sguardo percorre attraverso la finestra le vie del paese gremite di gente, sorvolo il contorno delle schiere armate che sovrastano migliaia d’innocenti inermi sulla linea del tramonto. Il ragioniere ha investito molto denaro in questo progetto, non esiterà un solo minuto a lasciare la nave che affonda per andarsi a godere il frutto dei crimini in qualche isola del Peloponneso. Non ha scampo, eppure i suoi mercenari non depongono i fucili, mentre addirittura gli androidi sembrano farsi più numerosi ogni minuto che passa. Tra poco più di un’ora avrà luogo il concerto di Gustavo, seguiranno ballo liscio e drum’n bass fino a notte inoltrata. Spero solo che non vogliano sporcarsi le mani col sangue dei civili. Il sindaco ha terminato il suo discorso introduttivo, prende la parola Osei. Il padre di Ashanti.
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