Gaspare Ungarelli, Vocabolario del Dialetto Bolognese

Gaspare Ungarelli

Vocabolario del Dialetto Bolognese,

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“Per noi era da fissare soprattutto la topografia del dialetto che dice Sìpa, la quale oggi non è più certamente quella indicata da Dante al suo tempo, risalire da ogni singola voce, smussata da tante labbra, alla forma originaria del latino classico o medievale, ovvero alle forme straniere qui portate ne’ diversi tempi dagli invasori, che c’imponessero leggi, costumi, usanze”

Tratto da Gaspare Ungarelli, Vocabolario del Dialetto Bolognese,

    Presentiamo quest’opera di Gaspare Ungarelli 1 agli appassionati del dialetto bolognese comprensibilmente intimiditi dall’irrigidimento del dialetto in lingua, che ha caratterizzato l’approccio alla cultura dialettale degli ultimi cinquant’anni. Dalle note dell’autore a quest’opera monumentale emergono alcuni dei problemi fondamentali, posti dallo studio dei dialetti 2 nella seconda metà dell’Ottocento: primo dei quali è che si trattava di un materiale linguistico considerato già allora in via d’estinzione, o meglio di trasformazione, che a sua volta risultava da evoluzioni precedenti di cui si avevano testimonianze fin dal Trecento, e che dunque non restituiva le ‘regole’ di una lingua, ma descriveva delle modalità di espressione condivise. Questo vocabolario del dialetto bolognese, redatto nel periodo post-unitario, non era concepito per avere una funzione ‘normante’, ovvero per spiegare alla comunità linguistica dei parlanti come quel dialetto si dovesse parlare, ma per svolgere il compito di testimoniare qualcosa che era già in essere, lasciando un resoconto dello sviluppo raggiunto da quel dialetto, in quella porzione di territorio, in quel periodo storico. Tale aspetto nella ricerca era tanto urgente in Ungarelli da fargli affermare, senza possibilità di equivoco, che il lavoro di raccolta da lui svolto si sarebbe dovuto in teoria confrontare con tutte le testimonianze precedenti, onde rendere conto delle trasformazioni in atto 3.

    Un secondo problema posto dalle note dell’Ungarelli al suo vocabolario del dialetto bolognese è nella delimitazione topografica, delimitazione che veniva fatta coincidere con i confini amministrativi della città medesima, sottoponendo cioè l’appartenenza idiomatica a un criterio puramente geografico e politico, non culturale: è bolognese quello che si parla a Bologna, ferrarese quello che si parla a Ferrara, modenese quello che si parla a Modena, salvo poi menzionare un più generico ‘romagnolo’ per identificare tutti quei dialetti parlati intorno alla via Emilia, a oriente di Bologna. Nel compiere questa operazione, lo stesso Ungarelli non può fare a meno di osservare che nell’avvicinarsi al confine amministrativo della città, si facevano sentire le influenze dei dialetti parlati nelle regioni limitrofe, per cui il modenese arrivava a influenzare il dialetto parlato ad Anzola, Castelfranco, Zola Predosa, Savigno, Bazzano e così via, mentre il romagnolo risuonava in parte nel dialetto bolognese parlato fra Budrio, Molinella, Castel San Pietro; nella montagna delle cinque valli bolognesi rileva persino forme di ‘bilinguismo’ 4, tra parlanti un dialetto bolognese con i bolognesi, e toscano con i toscani di là dal confine. Questa corretta affermazione presuppone un cambiamento graduale, non repentino, nelle varianti locali, per cui volendo partire da un modo di esprimersi proprio dell’area urbana, più densa di relazioni, scambi culturali e commerciali, si verificava in realtà in quegli stessi anni un progressivo cambiamento man mano che ci si allontanava dal punto focale, ragione per cui a distanza di pochi chilometri si potevano osservare differenze anche notevoli 5.

    Ciò implica di fatto una consapevolezza ancor più significativa, che l’idea stessa di dialetto ‘bolognese’ fosse in realtà una convenzione, con la quale si indicava un insieme di varianti idiomatiche locali in uso in una porzione di territorio delimitata dallo studioso stesso, delimitazione che implicava quindi una componente di arbitrio: modi di parlare che presentavano somiglianze importanti e che si mescolavano tra loro in una moltitudine di parlate ‘spurie’, contaminate fra loro da una quantità non valutabile di relazioni fra l’una e l’altra comunità linguistica. Nella localizzazione di questi modi di parlare, l’Ungarelli distingueva due approcci distinti: 6, una scuola linguistica che identificava due macro-aree delimitate simbolicamente, ma non rigidamente, dalla via Emilia, a partire dalla quale si venivano a configurare un dialetto della bassa e un dialetto della montagna, l’altra scuola che prendeva a punto di riferimento le vie fluviali del Reno e del Savena distinguendo un dialetto della parte orientale da quello della parte occidentale. Queste macro-aree tuttavia servivano solo indicativamente a osservare delle zone in cui si verificavano cambiamenti più vistosi tra modi di parlare condivisi che presentavano differenze persino da un parlante all’altro, e che non si potevano ridurre tutte a un rigido ceppo linguistico, ma andavano contestualizzate nella complessità dei legami parentali, amicali, delle relazioni sociali.

    Tra le osservazioni fatte dall’Ungarelli, è da registrarsi la constatazione che gli studi linguistici sul dialetto bolognese non fossero rivolti alla comunità linguistica dei parlanti quel dialetto, ma a un’elite di studiosi della lingua italiana, che fossero interessati a conoscerne le varianti locali per meglio comprenderne e apprezzarne le potenzialità espressive e le declinazioni particolari, in un momento storico di grande fervore politico. Ricordiamo infatti che il primo vocabolario della lingua italiana era stato redatto meno di trent’anni prima del vocabolario dell’Ungarelli, nella seconda metà dell’Ottocento, gli ultimi due volumi vennero pubblicati dopo il 1876. Tra gli obiettivi posti dallo studio del dialetto si menzionava il riconoscimento delle influenze e delle contaminazioni lasciate dalle lingue cosiddette straniere, tema che ritroveremo trent’anni dopo nella retorica autarchica della ‘purezza linguistica’. La stessa scrittura fonetica poneva problemi nella resa di alcune sonorità estranee alla lingua nazionale o letteraria, tutto questo in un contesto di alfabetizzazione ancora molto limitata, dove la comunicazione avveniva per la maggior parte degli italiani prevalentemente in forma verbale, non scritta 7. La maggior parte dei parlanti il dialetto bolognese descritto dall’Ungarelli (e dagli altri studiosi del suo tempo), non sarebbe stata in grado di leggerne la versione scritta, ciò vuol dire che quegli studiosi non si rivolgevano al contadino o all’operaio, ma ad altri eruditi come loro 8.

    A distanza di un secolo dalla prima pubblicazione di quest’opera tanto importante per la ricerca sul dialetto bolognese, è avvenuta una trasformazione nel ruolo che a questa ed altre opere viene attribuito. Non più un ruolo descrittivo, ma sempre più spesso un ruolo normativo. L’immagine stereotipata del dialetto nazional-popolare venutosi a costituire in epoca fascista, ha portato sempre di più alla codifica di un bolognese al quale si presume che la comunità linguistica debba in qualche modo uniformarsi o adeguarsi 9. Quando si esce da quello stereotipo, si viene sanzionati: la variante o il contributo individuale allo sviluppo e alle trasformazioni successive degli idiomi locali, viene percepita come un errore. Tale atteggiamento proprio delle lingue nazionali che richiedono studio e applicazione, era estraneo alla prospettiva degli studiosi che lasciarono testimonianza preziosa del dialetto parlato al loro tempo sul territorio bolognese, il cui obiettivo non era certo insegnare ai poveri la lingua dei poveri, ma piuttosto meditare sulle molte lingue confluite nella lingua nazionale, che avrebbero potuto infondere ulteriore linfa all’italiano stesso. Il problema è che trasformare in lingua un dialetto, lo sottrae al dominio dell’evoluzione spontanea, lo rende cioè qualcosa di diverso da un dialetto. Questo ovviamente non può fermare lo sviluppo degli idiomi locali, che continuano a evolversi lontano dagli occhi degli eruditi, ignari del prezioso bagaglio di conoscenze che potrebbero trarre dalla valorizzazione di quel che forse a volte un po’ frettolosamente viene stigmatizzato come ‘errore’.

    La lezione di Gaspare Ungarelli, insegna che l’atteggiamento corretto nello studio di un dialetto non è mai quello normativo, ma piuttosto quello descrittivo. A cent’anni di distanza dalla prima pubblicazione di questo vocabolario del dialetto bolognese, non possiamo che auspicare nuovi studi sugli idiomi locali che potrebbero riservare molte sorprese 10, sia in quanto a permanenze linguistiche, sia in quanto a contributi regionali e persino internazionali, riflesso di una maggiore mobilità e di uno sviluppo enorme negli strumenti della comunicazione. All’omologazione imposta dai nuovi media, o all’implosione del linguaggio impoverito dei social networks, si affianca un tentativo da parte di individui e gruppi sociali, di recuperare forme di espressione che si riallaccino a una trasmissione verbale, diretta, personale, della conoscenza. Quel dialetto che non si può studiare in altro modo, se non parlando fisicamente con chi lo pratica.

    Un’ultima considerazione va fatta intorno a un dettaglio che nel testo dell’Ungarelli sembra passare in secondo piano, nel quale viene posto il problema di censire non solo le voci dialettali, ma tutto l’insieme dei modi di dire complessi, ovvero di quelle espressioni colorite che comportano perifrasi, circonvoluzioni, allegorie, a partire dalle quali vengono a comporsi motti sapienziali, proverbi, non riducibili a singoli termini, che richiedono un approfondimento metalinguistico. Qui sta forse l’approccio più interessante al dialetto, la spiegazione del motivo per cui l’interesse nei confronti di questo linguaggio continua a trovare così tanti estimatori a un secolo e mezzo dall’Unità d’Italia, nonostante la sistematica demolizione dell’impianto dialettale e il passaggio ormai avvenuto dalla dialettofonia all’italofonia nella quasi totalità degli italiani 11.

    L’apparente povertà lessicale del dialetto, che in quanto lingua del popolo e più ancora per il suo status di ‘antiquariato linguistico’, obbliga a esprimersi in modo diverso dal tecnicismo della lingua letteraria, servendosi di espressioni figurate in cui alla semplificazione linguistica corrisponde spesso una riduzione ai minimi termini di concetti complessi, implica proprio per questo motivo un esercizio di ricodifica del pensiero che passa attraverso la sintesi poetica. Questo è forse il grande punto di forza intorno al quale si viene a configurare l’interesse moderno per la dimensione dialettale, in quanto obbliga ad assumere di fronte a questioni alte uno sguardo ‘obliquo’, uno spostamento della prospettiva in cui allegoria e metafora prevalgono sul raziocinio. In questo senso, il dialetto viene a porsi come uno strumento che si rinnova nell‘eversione linguistica 12, fondamento per l’evoluzione della lingua stessa.

    Note

    1. Sulla figura di Gaspare Ungarelli e le ricerche da lui svolte sulla cultura popolare del territorio bolognese, si rimanda alla bibliografia ragionata dei suoi contributi, s.a., Bibliografia delle pubblicazioni di Gaspare Ungarelli, in: ‘Lares’, Vol. 9, No. 6 (Dicembre 1938), pp. 477-480, Leo S. Olschki ↩︎
    2. Sui problemi fondamentali posti dalla studio dei dialetti nelle scienze demologiche si veda Corrado Grassi e.a., Fondamenti di dialettologia italiana, Roma, Laterza, 1997 ↩︎
    3. Quello di Gaspare Ungarelli non era il primo e l’unico studio ragionato sul dialetto bolognese, basti pensare al Vocabolario Bolognese-Italiano compilato da Carolina Coronedi Berti e pubblicato dalla Tipografia Monti nel 1874, solo tredici anni dopo l’Unità d’Italia, o al Vocabolario Bolognese-Italiano colle voci francesi corrispondenti, di Claudio Ermanno Ferrari per la Tipografia Nobili, un’opera addirittura del 1820 e altre opere ancora pubblicate in oltre un secolo di studi linguistici. Singolare il fatto che questi vocabolari fossero monodirezionali, dal dialetto alla lingua nazionale e non viceversa ↩︎
    4. Ungarelli parla di bilinguismo in riferimento al fatto che tra Emilia Romagna, fino a pochi decenni prima, correva un confine che non separava solo due regioni di una medesima nazione, ma due diversi Stati Nazionali. ↩︎
    5. Il fatto che gli spostamenti fossero molto meno rapidi, a causa di un sistema dei trasporti meno sviluppato e avanzato, comportava naturalmente un addensarsi delle relazioni entro luoghi molto meglio delimitabili geograficamente, un cambiamento graduale che l’avvento dell’automobile renderà assai più fluido. ↩︎
    6. Gaspare Ungarelli, Vocabolario del dialetto bolognese, Bologna, Zamorani-Abertazzi, 1901, pp.XIII sgg., ‘Delimitazione topografica del dialetto’. ↩︎
    7. Si veda a questo proposito Andrea Cucitro, Il bilinguismo ‘dialetto bolognese – lingua italiana’ attraverso le generazioni a Bologna: un’ indagine sul campo, Tesi di laurea in Dialettologia (Avanzato), Università degli Studi di Padova, 2019/2020, dove si approfondiscono le dinamiche del contatto linguistico, l’identità linguistica all’interno dei ‘corpora’, gli strumenti per la ricerca linguistica sul dialetto, i prestiti linguistici individuali e collettivi. ↩︎
    8. Interessante a questo proposito il contributo di Daniele Vitali e Luciano Canepari, Pronuncia e grafia del bolognese, in: ‘Rivista Italiana di Dialettologia’ N.19, pp. 119-164, da confrontarsi con le note sulla fonetica e la morfologia del dialetto bolognese proposte dall’Ungarelli nel suo vocabolario. ↩︎
    9. Sull’approccio strumentale ai regionalismi da parte del fascismo e la prospettiva ‘normativa’ del folklore negli anni dell’epurazione linguistica, si veda il contributo di Stefano Cavazza, Tradizione regionale e riesumazioni demologiche durante il fascismo, in: ‘Studi storici’, Anno 34, No. 2/3, Storia russa e storia sovietica nella “perestrojka”, Aprile-Settembre 1993 ↩︎
    10. Interessante a questo proposito l’operazione svolta da Francesco Perlini, L’Albertazzi. Dizionario, grammatica, storie di slang bolognese in una variante di balotta, Bologna, Pendragon, 2023 ↩︎
    11. Sul passaggio dalla dialettofonia all’italofonia si veda Anna Grochowska, Il dialetto nell’Italia postunitaria, in: ‘Studia Romanica Posnaniensia’, Adam Mickiewicz University Press, Poznań, vol. XL/3: 2013, pp. 17-31 ↩︎
    12. E’ il motivo per cui il fascismo avversò con decisione l’uso del dialetto, perché obbligava a pensare diversamente, servendosi di processi mentali diversi da quelli imposti dalla retorica del regime, si veda Nicola Cardia, Il neopurismo e la politica linguistica del fascismo, in: ‘Écho des études romanes’ 2008, 4(1): pp. 43-54, dove si chiarisce non solo l’atteggiamento repressivo e inibitorio nei confronti dei dialettismi e degli esotismi, ma anche un’operazione di nazionalizzazione del dialetto stesso, attraverso processi di standardizzazione normativa e omologazione. Un’operazione che, svolta sopra un complesso di varianti idiomatiche già messe in crisi dall’urbanizzazione e dall’abbandono delle campagne, portò col tempo alla trasformazione del dialetto in lingua morta da ‘recuperare’. ↩︎

    Bibliografia

    • Cardia, Nicola, Il neopurismo e la politica linguistica del fascismo, in: ‘Écho des études romanes’ 2008, 4(1): pp. 43-54
    • Cavazza, Stefano, Tradizione regionale e riesumazioni demologiche durante il fascismo, in: ‘Studi storici’, Anno 34, No. 2/3, Storia russa e storia sovietica nella “perestrojka”, Aprile-Settembre 1993
    • Coronedi-Berti, Carolina, Vocabolario Bolognese-Italiano, Bologna, Tipografia Monti nel 1874
    • Cucitro, Andrea, Il bilinguismo ‘dialetto bolognese – lingua italiana’ attraverso le generazioni a Bologna: un’ indagine sul campo, Tesi di laurea in Dialettologia (Avanzato), Università degli Studi di Padova, 2019/2020
    • Ferrari, Claudio Ermanno, Vocabolario Bolognese-Italiano colle voci francesi corrispondenti, Bologna, Tipografia Nobili, 1820
    • Grassi, Corrado, e.a., Fondamenti di dialettologia italiana, Roma, Laterza, 1997
    • Grochowska, Anna, Il dialetto nell’Italia postunitaria, in: ‘Studia Romanica Posnaniensia’, Adam Mickiewicz University Press, Poznań, vol. XL/3: 2013, pp. 17-31
    • Perlini, Francesco, L’Albertazzi. Dizionario, grammatica, storie di slang bolognese in una variante di balotta, Bologna, Pendragon, 202
    • s.a., Bibliografia delle pubblicazioni di Gaspare Ungarelli, in: ‘Lares’, Vol. 9, No. 6 (Dicembre 1938), pp. 477-480, Leo S. Olschki
    • Ungarelli, Gaspare, Vocabolario del dialetto bolognese, Bologna, Zamorani-Abertazzi, 1901
    • Vitali, Daniele; Canepari, Luciano, Pronuncia e grafia del bolognese, in: ‘Rivista Italiana di Dialettologia’ N.19, pp. 119-164
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