Nessuno impazzisce da solo. Memorie d’un saltimbanco. Artista di strada Ep.16
Nessuno
impazzisce
da solo
Frammento XVI
Commento musicale
Beethoven, Sonata 23 “Appassionata”
FAI PARTIRE LA MUSICA
IMMAGINAZIONE
E REALTA’
Me lo ricordo sdraiato sul letto a fumare, sotto una grande nave da guerra appesa colle puntine da disegno alla carta da parati. Non usciva mai di casa, non da solo almeno. Temeva gli spazi aperti, soffriva in quelli chiusi. Non parlava, sibilava. Aveva bisogno di tutto. Il mobilio pieno d’ammaccature, porte scardinate; brutta cosa la psiche. Tanto l’aveva studiata, da perderne il controllo. Con me giocava a scacchi, discuteva di filosofia, veniva anche in piscina a nuotare, forse perché lo trattavo come una persona normale, s’immedesimava nella parte. Studiava tutto il giorno. Sapeva fare solo quello, scrivere e leggere.
L’immaginazione è realtà, così diceva sempre: gli ci voleva un buon antropologo non uno psichiatra, l’ho capito quand’era troppo tardi per salvarlo. In compenso ereditai la sua biblioteca, leggendo quei libri mi convinsi che aveva pescato un pesce più grande di lui. Un drago dai cento volti. Quella creatura terribile se l’era divorato un po’ alla volta, come l’aquila il cuore di Prometeo incatenato alla montagna. Aveva collaborato con personaggi importanti, professori dell’università… L’ho visto perdere il senno lentamente un giorno dopo l’altro. Ascoltava soltanto me, unico nipote, a me toccava richiudere il vaso. Avevo l’età giusta per delirare a tempo determinato, uno psicotico a progetto. Impazzire per gioco, la follia ragionata dell’attore. Se non ti prendi sul serio, niente di serio può accaderti.
LE STORIE SONO VERE
Stava sempre in casa a riflettere su quel filo sottilissimo che separa la ragione dalla follia, Bertoldo il saggio, Bertoldino lo sciocco. Davide il sapiente, Saul il pazzo. Fu in quegli anni che iniziai a interessarmi della narrazione: le storie sono vere diceva Calvino, sono il catalogo dei destini che possono darsi a un uomo e una donna. L’immaginazione è realtà. Nessuno impazzisce da solo, per ogni folle in ospedale ce n’è almeno un altro a piede libero, se il mondo è governato dai pazzi l’umanità impazzisce. Lui la sua gabbia se l’era costruita da solo. Quei libri pieni dicevano tutto e il contrario di tutto, sfuggivano al controllo, impossibili da verificare; se avessi seguito la traccia che mi aveva lasciato, penso che avrei fatto la stessa fine. Una favola condivisa non può essere soltanto la fantasia d’un pazzo, non di uno solo almeno. Diventa reale nel momento in cui la racconti, poi svanisce; o meglio, resta imbrigliata nella memoria di altre persone. Che la rielaborano, la rifunzionalizzano. La masticano, la digeriscono. Se malata, la guariscono.
Siamo narratori della nostra follia. Finché sei tu il a raccontarla, i mostri che hai creato possono prendere il sopravvento, ma dopo non sei più tu a condurre il gioco, non è più la tua storia. Appartiene alla piazza. Un osservatorio privilegiato, l’occhio verso cui convergono gli sguardi, ma anche il più sicuro perché sotto il controllo del comune buon senso. Sei autorizzato a entrare nelle vite degli altri ma gli altri possono entrare nella tua, se passi il limite li perdi e ricominci. Un gioco a carte scoperte. Ecco perché la strada, luogo pubblico per eccellenza. Il teatrino immaginario dei cantastorie. Puoi mentire una volta, la seconda se n’accorgono e ti revocano la credibilità, sei costretto a sparire e riprovarci da un’altra parte. Cavalcare il drago: addomesticarlo, trasformarlo in un cavallo alato: il prode Astolfo vola sull’ippogrifo. Questo il motivo per cui sono partito, per gettare un sasso nello stagno e contare le onde che si sollevano. Il tempo m’ha dato ragione, le maledizioni son tornate indietro.