L’uccello di fuoco nel folklore russo e ucraino

L’uccellodi fuoco delle tradizioni slave,illustrazione Berti/Fotor

L’uccello di fuoco nel folklore russo e ucraino

Articolo di Federico Berti

Nel folklore narrativo slavo Zhar Ptitsa è un uccello mitologico che emana luce propria o che si manifesta avvolto nelle fiamme, con piume dorate simili a cristalli che brillano anche se strappate dal corpo. Una piuma dell’uccello di fuoco può illuminare una stanza come una lucerna. La testa somiglia a quella di un falco, ma una cresta sul capo e piume della coda con occhi luminosi gli conferiscono un aspetto simile a quello di un pavone, così almeno viene descritto nell’immaginario contemporaneo ma come sappiamo, vi sono poi varianti locali che lo rappresentano con dettagli non sempre riconducibili a uno stesso stereotipo. Figura ambigua, tra la benedizione e l’ossessione, quando il folklorista russo Afanasev pubblicò a metà del XIX secolo le sue note raccolte di fiabe russe, tornò più volte sulla figura dell’uccello di fuoco, dimostrandone la comune appartenenza alle tradizioni russe e ucraine avendone raccolta testimonianza si nell’una che nell’altra comunità linguistica. L’esempio forse più conosciuto alla letteratura e alla musica occidentale, è nel balletto russo di Igor Stravinsky, basato su una fonte russa con varianti ucraine.

Nella fabula del balletto di Stravinsky del 1910, l’uccello di fuoco si introduce nel giardino di un malvagio stregone per divorarne le mele d’oro e nove fratelli vengono incaricati di catturarlo. Uno di loro incontra la creatura prodigiosa nella foresta, impressionato dalla sua bellezza non lo uccide e gli ruba una delle penne incantate, che lo proteggono dalle malìe del mago permettendogli di introdursi nel suo castello per liberare tredici principesse da quello tenute prigioniere. Fra le molte ipotesi avanzate intorno alla figura dell’immortale Kascej , il perfido mago, è la sua presunta identificazione nel Khan Konchak vissuto realmente nel XII secolo, a capo dei Cumani contro cui si batté la Rus di Kiev nel XII secolo. Il racconto popolare dunque, secondo questa interpretazione storicizzante, si sarebbe tramandato a partire da un leggenda riportata nel controverso Canto della schiera di Igor, poema sul quale si è molto discusso in merito alla sua autenticità, ma che in ogni caso circolava dai tempi di Caterina la Grande e poteva quindi aver prodotto varianti che poi Afanasev raccolse da fonti russe e ucraine.

Nella Berlino degli anni ’20 venne pubblicata per non meno di un lustro una rivista dedicata ai russi residenti in Germania, lo Zhar Ptitsa per l’appunto, l’uccello di fuoco della fiaba, dove si parlava della vita artistica e culturale della Russia all’estero come di un passato storico euro-asiatico messo in discussione da un presente vago e un futuro incerto. La pubblicazione era molto elegante dal punto di vista editoriale, scritta in russo con supplementi in tedesco e in inglese, si guadagnò una credibilità sempre maggiore negli anni successivi alla sua prima uscita, per poi condividere a partire dal 1924 la crisi complessiva dell’economia di Weimar. Nelle raccolte dei folkloristi di allora, l’Ucraina veniva concepita come una delle Repubbliche Sovietiche, ovvero una delle molte anime che componevano il progetto di una società internazionalista, cosmopolita. Pur nelle specificità, si poneva l’accento sulla sorellanza tra culture profondamente interconnesse fra loro. Il riferimento stesso alle guerre tra Cosacchi e Cumani nel XVI secolo, vedeva russi, polacco-lituani e ucraini, uniti contro un nemico comune, quello dei turco-tatari contro cui si era battuta per secoli la Rus di Kiev. Allora i nemici dell’Ucraina provenivano dalla steppa o dal mare, non da Mosca.

L’uccello di fuoco del resto portava con sé rimandi a creature leggendarie conosciute in altre culture con nomi e caratteristiche diverse, che potevano manifestarsi con la testa di un’aquila in luogo del falco, potevano avere un ruolo più o meno attivo nel racconto, ma condividevano un comune aspetto solare e l’elemento del fuoco, si pensi all’Araba Fenice che secondo la leggenda ogni cinquecento anni si consuma tra le fiamme e rinasce dalle proprie ceneri. L’accostamento, ma nello stesso tempo la netta distinzione tra queste due figure, venne rimarcata dallo stesso Kogan, il direttore del periodico, il quale scrisse in un editoriale:

“Il nome della nostra rivista è Zhar-Ptitsa: un nome dal suono insolito per un orecchio tedesco! Cosa significa? Potremmo chiamarlo ‘Uccello di fuoco’ o anche ‘Uccello luminoso’. Badate bene, non è la fenice leggendaria della fiaba tedesca, ma piuttosto la sua controparte russa, che illumina con il suo piumaggio luminoso un giardino buio a mezzanotte. Sulle sue ali porta il sogno della nostalgia, della gioia e del desiderio! Conosciamo tutti il peso dell’oscurità sulla nostra patria russa. Le notizie che ci giungono da lì sono pesanti come un incubo. Oggi gli artisti russi, come tanti altri, sono dispersi in tutto il mondo”.1

La prospettiva di Kogan dunque, si direbbe propendere verso un’ascendenza russa dell’uccello di fuoco, diversamente da Afavasev che lo collocava all’intersezione fra due culture, quella russa e quella ucraina, caratterizzate ancora da una profonda reciprocità. Sappiamo tuttavia che il nazionalismo ucraino si sviluppa intorno alla metà dell’Ottocento e quindi è per noi molto importante comprendere gli sviluppi successivi di questa figura nell’immaginario collettivo a partire dalle prime riflessioni sull’autocoscienza di un folklore propriamente ucraino. Come si è detto in apertura di questo articolo, la figura dell’uccello di fuoco nel folklore dell’Europa Orientale viene svilupparsi come un elemento proprio delle culture slave e quindi andrebbe considerato sia russo, che ucraino. Molto interessante a questo proposito l’esempio della comunità ucraina nel New Jersey, che riporta una quanto mai significativa testimonianza di questa figura mitologica negli anni ’60, in un contesto di aperto e conclamato sincretismo culturale con le popolazioni dei nativi americani.

Un mensile per bambini con illustrazioni a colori, pubblicato in New Jersey nel 1968 dall’editore ucraino Svoboda per le iniziative dell’Unione Popolare Ucraina negli Stati Uniti, curata dal Comitato dei membri dell’Associazione dei Lavoratori per la Letteratura per l’infanzia2, riporta una leggenda dei nativi americani che nella rivista viene opportunamente intitolata Zhar-Ptitsa, ascoltata da un tale B. Danilovich, dove una creatura fantastica molto simile all’uccello di fuoco delle tradizioni slave, porta in dono la domesticazione del focolare nelle tradizioni popolari dei cosiddetti Indiani. Le due illustrazioni di B. Pevny che ritraggono l’animale prodigioso, rimandano all’iconografia tradizionale del folklore slavo, in cui l’uccello somiglia sostanzialmente a un pavone e richiama la figura della Fenice. Essendo la rivista in bianco e nero, non è possibile valutare l’aspetto cromatico delle piume, che il testo descrive come rosse nelle ali, rosso-azzurre nella coda scintillante. Il racconto presenta molte analogie con le fiabe russe e la sua pubblicazione in una rivista espressamente rivolta alla comunità ucraina nel continente nord americano, scritta in lingua e alfabeto ucraino, costituisce una testimonianza di come la figura dell’uccello di fuoco non venisse percepita dagli ucraini nel mondo come un simbolo del folklore russo, ma come un personaggio familiare anche all’immaginario collettivo ucraino.

L’uccello di fuoco torna a comparire sulla stessa rivista sei anni più tardi nel secondo numero del 1974, firmata stavolta dalla penna di un’autrice che viene considerata un simbolo per la letteratura nazionale ucraina, la poetessa Lesya Ucrainka racconta la favola del Signore della Terra3 illustrata da Mykola Vutobichya. A questo racconto in versi è collegata un’attività didattica per mettere in evidenza il significato allegorico del racconto, sottolineando che l’autrice visse nel periodo in cui l’Ucraina era sotto il dominio della Russia zarista. La poetessa ripercorre lo stesso filo poi ripreso da Stravinsky nel suo balletto, ovvero il racconto di un potente illusionista che vuol ridurre ognuno in servitù, sia chi accetta di servirlo, sia chi rifiuta di farlo. Parla di una prigione sotterranea in cui una ragazza piange disperatamente, consolata dal solo uccello di fuoco e dal suo canto, in attesa di un giovane valoroso che riesca ad aprire le settantasette chiavi della prigione.


Nell’anno in cui l’Ucraina dichiarò l’indipendenza dall’Unione Sovietica, istituendo un proprio governo autonomo, l’organo stampa istituzionale del Parlamento annunciò l’apertura della stagione teatrale e musicale del 1991 all’Opera di Kiev, con il balletto di Stravinsky al secondo giorno di programmazione. Se la figura di Stravinsky e il simbolo dell’uccello di fuoco avessero implicato possibili connotazioni provocatoriamente filorusse, l’articolo avrebbe assunto con buona probabilità un tono molto diverso. In conclusione possiamo dire che la figura di Tsar Ptitsa nasce nelle tradizioni popolari slave e viene considerata parte del patrimonio culturale sia russo che ucraino. Nella favola di Afanasev l’illusionista malvagio è associato alle violenze dei turco-tatari nel XVI secolo, nella poesia di Ukrainka alla violenza e all’oppressione del regime zarista. Gli emigranti russi nella Repubblica di Weimar lo vedevano come un portatore di luce e civiltà, nel comune intento di preservare dalla decadenza la credibilità della letteratura, della musica e dell’arte russa pre-sovietica. Non ha dunque una connotazione propriamente etnica, ma appartiene più genericamente a un comune sostrato culturale slavo, nel quale per secoli Russia e Ucraina hanno convissuto in pace.

  1. Susanne Marten-Finnis and Igor Dukhan, in: ‘East European Jewish Affairs’, Vol. 35, No. 2, December 2005, Dream and Experiment, Time and style in 1920s Berlin émigré, magazines: Zhar Ptitsa and Milgroym
    ↩︎
  2. B. Danilovich, Zhar-Ptitsa, in: ‘Veselka’, 1968/3, Svoboda Editore, New Jersey ↩︎
  3. Kazka Pro Okha-Charoschjia, in: ‘Veselka’, 1974/3, Svoboda Editore, New Jersey ↩︎
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