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Figli di papà. Memorie d’un saltimbanco. Artisti di strada Ep.26


arancia meccanica
“Vengono al parcheggio coi loro motorini truccati, patenti fresche di timbro. M’accorgo della loro presenza quando sento fischiettare l’Inno alla gioia. Nella foto: una scena da ‘Arancia Meccanica’.

Arancia
meccanica

Commento musicale:
L.V.Beethoven, “Inno alla gioia”
FAI PARTIRE LA MUSICA

INNO ALLA GIOIA

Silenzio, nebbia. Lampioni gialli, ombre lunghe sul marciapiede. Chi parcheggia da solo si strozza, così dicono. Dei mercati rionali a Torino la Crocetta è senz’altro il più signorile, donne d’una certa età piene di soldi, fra qualche anno mi toccherà andarle a cercare in casa di riposo. Caronte sonnecchia nel piazzale deserto, intorno al quale si vedono palazzi che fra il bagno e la cucina passa un isolato intero, se ti scappa da pisciare a tradimento rischi di fartela sotto prima d’arrivare. Case piene di quadri firmati, antiquariato d’autore, artigianato di pregio, argenteria preziosa. Figli di papà residenti in quelle rose di cemento vengono ogni sera qui al parcheggio coi loro motorini truccati, patenti fresche di timbro. Scopano mica tanto, più che altro fumano in compagnia. Stasera m’accorgo della loro presenza quando sento fischiettare l’Inno alla gioia. Oscuro i vetri, spengo le luci e mi metto a osservarli non visto, per capire se posso dormire tranquillo: han l’aria di studenti in pausa merenda. Non sono armati, l’automobile credo sia appena uscita dall’autolavaggio. Riaccendo la luce, prendo gli appunti e mi metto a scrivere quando sento di nuovo fischiare lo stesso motivo che rimanda a storie di violenza notturna, in un luogo tanto desolato suona un po’ mostro di Dusserldorf.


arancia-meccanica
Una scena dal film “Arancia meccanica” di S. Kubrick.

Due giovanissimi scorpioni con brillantina fra i capelli vengono a parcheggiarsi vicino al mio somarello, vedo attraverso il finestrino un ginocchio piegato e lo stivale sul cruscotto, la coscia pulita d’una bambina che potrà avere forse una decina d’anni meno di me; a un paio di metri dalla fiancata opposta, un motorino viene issato sul cavalletto. Con tutto lo spazio che c’è. Non sanno quel che fanno, rampolli di buona famiglia come loro han bruciato i capelli a un clochard milanese qualche giorno fa e ricattavano da mesi una compagna di banco, per via di certe imbarazzanti foto nel sottoscala… Carogne che non incontri al commissariato, prenderli a schiaffi rischi pure una denuncia; non posso mettere in moto e sparire come il buon senso direbbe, m’han parcheggiato dietro il culo. La specie più pericolosa che possa capitarti d’incontrare durante la notte in una strada solitaria, sono i giovani per bene. Fischiano ancora l’inno alla gioia, mi risolvo a spegnere le luci e fingo di coricarmi, poi resto in attesa. Un minuto, mezz’ora.

D’un tratto iniziano a scuotere il camper che ondeggia sugli ammortizzatori come la zattera di Ulisse nell’impeto dei flutti, non riesco a trattenere un urlo perché son riusciti a sorprendermi; li sento ridere sotto voce, allontanarsi a passo svelto. Siedo ancora impugnando il coltello che tengo normalmente sotto il cuscino, aspetto ancora una ventina di minuti in silenzio: son là fuori, anche se non li sento respirare. La scena si ripete, due, tre volte; fossero pericolosi avrebbero sfasciato qualche fanale o tentato d’irrompere, così penso tra me devo prenderli in contropiede, o non mi lasceran dormire. Con movimenti quasi impercettibili vado a portarmi davanti al finestrino, delicatamente sgancio il vetro a compasso, ma senza aprirlo: con un solo gesto rapido posso spalancarlo bloccandolo in posizione eretta, contemporaneamente venire in fuori colla testa. Tolgo la sicura dalla porta d’ingresso, con un calcio si può aprirla da qui. Studio l’espressione da tenere quando sarà il momento, devo sembrare un pazzo, armato e senza freni inibitori, furioso. La follia non possono controllarla.

Hanno afferrato di nuovo il carrozzone. Lo stanno scuotendo con forza, bruscamente vengo fuori col busto sbattendo il finestrino in faccia a uno dei loro, brandisco un coltello con trenta centimetri di lama scintillante. Ho l’aspetto d’un invasato. Occhi sgranati, bocca spalancata, lunghi capelli scomposti, lingua di fuori, voce stridula, la mano armata s’agita nell’aria in modo inconsulto, completamente privo di logica: “Io v’ammazzo!” sibilo gridando nella notte. “V’ammazzo!” Contemporaneamente dò un calcio violento alla porta d’ingresso, che s’apre senza mostrare l’interno del veicolo, rimasto in ombra. Ma quanti sono, li sento domandare, in men che non si dica saltano sulle loro costosissime ferraglie e spariscono dileguandosi nell’oscurità. Come un pescecane si spaventa se lo prendi a pugni, così la teppaglia se la fa addosso dalla paura non appena la situazione le sfugge dalle mani. Potrei mettere in moto e cercarmi un altro parcheggio, ma il vecchio Caronte sghignazza divertito: “Torna pure a letto, per questa notte vedrai non torneranno”. La strada è un gioco delle parti. Ottima scuola, per un attore.

Continua
Framm.XXVI
“Quarto potere”


artisti di strada gigi russo
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