Figli dell’officina o figli della terra, già l’ora s’avvicina della più giusta guerra, la guerra proletaria, guerra senza frontiere, innalzeremo al vento bandiere rosse e nere, Avanti, siam ribelli, fiori vendicator un mondo di fratelli di pace e di lavor.
Dai monti e dalle valli giù giù scendiamo in fretta, con queste man dai calli noi la farem vendetta; del popolo gli arditi, noi siamo i fior più puri, fiori non appassiti dal lezzo dei tuguri. Avanti, siam ribelli…
Noi salutiam la morte, bella vendicatrice, noi schiuderem le porte a un’era più felice; ai morti ci stringiamo e senza impallidire per l’anarchia pugnamo; o vincere o morire, Avanti, siam ribelli…
Fiori vendicator
Questo canto del 1921 è un classico del repertorio anarchico e socialista, ho letto e sorriso d’una recente discussione a proposito della versione inclusa nell’archiviowww.ildeposito.org. Qualcuno sostiene un’ipotetica versione ‘originale’ in cui i vendicatori son detti ‘fieri’, per cui sarebbe un refuso la lezione ‘fiori vendicator’. Personalmente condivido l’idea che ogni versione d’un canto abbia una propria dignità nel contesto in cui viene cantata, non solo come variante ma proprio come momento unico e irripetibile nel quale trovano spazio gli esecutori del canto, gli ascoltatori, gli autori, la comunità stessa nel luogo e nel tempo in cui avviene l’incontro. Ho affrontato il tema parlando delle fiabe popolari, in questo articolo; nel caso specifico, tornando a questo inno degli arditi la parola ‘fiori’ non sembra isolata e fuori luogo: un’intera strofa della canzone paragona i ribelli antifascisti a fiori spontanei:
del popolo gli arditi, noi siamo i fior più puri, fiori non appassiti dal lezzo dei tuguri.
La lezione ‘fiori’ dunque non è occasionale ma coerente con il testo, tanto basta per considerarla plausibile e sensata. La mia elaborazione per organetto di barberia o eventualmente per orchestra di ocarine, nasce dal desiderio di far conoscere un inno straordinario, che riporta a un momento di resistenza alle violenze fasciste negli anni successivi alla prima guerra mondiale, schere armate di teppisti e delinquenti comuni che picchiavano, stupravano, incendiavano le case del popolo. Questo mio brano rientra in una più ampia collaborazione con il professor Pietro Maria Alemagna sulla vita quotidiana a Bologna dai primi anni del ‘900 all’avvento del fascismo. L’incisione è pensata come commento musicale all’audiolibro del romanzo “L’ospedale fantasma”, che sto curando in queste settimane.