Fiabe e racconti degli schiavi afro-americani. Il piccolo Epaminonda
Epaminonda e la madrina
Tratto da Fulvia Bessac, Racconti di tutti i paesi,
Torino, Società Editrice Internazionale, 1935
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Questo racconto nell’edizione italiana si direbbe un esempio di letteratura implicitamente e subdolamente razzista. Tratto da una raccolta del 1935, tre anni prima delle leggi razziali, viene presentato come un racconto negro ma in realtà non fa che ripetere schemi tipici dei racconti popolari europei intorno ai folli, agli idioti, agli stupidi. La rappresentazione di personaggi afroamericani come stupidi e ignoranti è stata lungamente utilizzata nella storia per perpetuare gli stereotipi razziali e creare una falsa immagine della comunità afroamericana, possiamo dire che questo racconto così come trasmesso nella versione italiana di Fulvia Bessac del 1935, appartiene proprio a quel genere. Non è specificato se sia stato raccolto veramente dalla voce popolare, o da quale altra fonte. Il bambino sciocco viene chiamato da sua madre Epaminonda, nome appartenuto allo storico condottiero greco, questo dettaglio sembrerebbe indurre a collocare l’origine del racconto nel periodo della guerra civile o successivo, dato che prima di allora l’istruzione agli schiavi era proibita. Come vedremo, proprio questo dettaglio potrebbe indurre a considerazioni meno a senso unico
I racconti popolari e le fiabe degli schiavi neri d’America furono raccolti e pubblicati per la prima volta nel XIX secolo, dopo la fine della guerra civile americana, ma riprendono materiali narrativi già in circolazione tre o quattro generazioni prima. La prima raccolta importante fu “Slave Songs of the United States” di William Francis Allen, Charles Pickard Ware e Lucy McKim Garrison, pubblicata nel 1867, due anni dopo la fine della guerra civile. Prima di allora non sarebbe stato possibile pubblicarli, per ovvi motivi. Questa raccolta conteneva canti tradizionali degli schiavi neri, ma includeva anche alcune storie e leggende popolari. L’autore William Francis Allen era un compositore, noto soprattutto per il teatro musicale. La sua opera più famosa è “The Ethiopian Serenaders”, che presenta un gruppo di musicisti afroamericani che suonano strumenti come il banjo e il tamburo. Anche se questa opera è stata apprezzata dal pubblico del tempo per la sua vivacità e il ritmo coinvolgente, è stata anche in parte criticata per la sua rappresentazione stereotipata e razzista dei personaggi afroamericani.
L’aspetto paradossale è tuttavia che William Francis Allen viene ricordato come un etnomusicologo e attivista americano di origini inglesi, bianco, un abolizionista insomma. Faceva parte dell’Unione durante la guerra civile americana, durante la guerra servì come ufficiale dell’esercito e in seguito lavorò come agente per il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti, aiutando a confiscare le proprietà dei confederati. Dopo la guerra, Allen divenne un educatore e un attivista per i diritti civili, lavorando per migliorare l’istruzione e le opportunità economiche degli afroamericani. Allen fu inviato a Port Royal, in Carolina del Sud, per lavorare come insegnante e assistente per gli ex schiavi afroamericani che stavano imparando a leggere e scrivere, prima ancora che il conflitto finisse. Come si conciliano questi fatti con l’interpretazione in chiave razzista dei racconti da lui pubblicati?
La collaborazione di William Francis Allen con gli ex schiavi afroamericani di Port Royal fu molto importante per la loro educazione e il loro sviluppo culturale. Insieme ad altri insegnanti e attivisti, Allen ha fatto parte di un esperimento sociale noto come “Port Royal Experiment“, che ha cercato di dimostrare che gli afroamericani potevano diventare cittadini produttivi e autosufficienti, a prescindere dalla loro origine. Allen ha anche lavorato come ispettore per la Freedmen’s Bureau, una agenzia federale americana creata per assistere gli ex schiavi afroamericani durante il periodo della Ricostruzione post-bellica. Nel corso della sua vita, Allen ha anche scritto diversi libri e articoli sull’etnomusicologia e sulla cultura afroamericana. Allen ha anche lavorato come professore di musica e critico musicale, e ha continuato a studiare e promuovere la musica afroamericana per tutta la sua vita. La sua eredità è stata riconosciuta sia nel campo dell’etnomusicologia che in quello dell’attivismo per i diritti civili.
Ecco allora che il nome di Epaminonda attribuito a un bambino afroamericano prima dell’abolizione della schiavitù, in un racconto popolare che si tramandasse da generazioni proprio negli stessi anni in cui Allen insegnava a Port Harcourt. verrebbe ad assumere il tono di una provocazione. Il nome (o soprannome) attribuito al bambino infatti, segnalerebbe alla società dei bianchi, come alla stessa comunità afro-discendente, la presenza di persone istruite tra gli schiavi liberati, o cosa ancor più significativa tra quelli non ancora liberati. Ovvero, la disponibilità di qualcuno, bianco o nero che sia, a insegnare, educare, favorire la crescita culturale dei neri, quindi la presenza di un movimento abolizionista forte sul territorio. Raccontare la storia di Epaminonda e la sua madrina dunque, sia prima che dopo la guerra civile americana, aveva di fatto un significato tutt’altro che razzista. Di questo aspetto sembra del tutto ignara l’edizione italiana, tradotta e pubblicata a Torino tre anni prima delle leggi razziali.
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