Fake news, un granello nel deserto delle incognite. Trovare il vero nel falso.
Fake news. Un titolo
fuorviante è un falso?
Articolo di
Federico Berti
Un titolo fuorviante è un fake?
Rispondo a una domanda importante, che merita un approfondimento, mi è stato trasmesso un articolo che riporto in descrizione al video, nel cui titolo leggiamo che 100 milioni di persone in Cina sono di nuovo in lockdown. Un titolo fuorviante come vedremo tra poco, dobbiamo considerarlo un fake? La risposta è si e no. Ogni notizia contiene sia l’uno che l’altro, notizie in parte false, in parte vere, in parte non verificabili, non dobbiamo fermarci al titolo, anche quando contiene conclamate e irricevibili falsità un articolo può dare molte informazioni al contrario credibili e documentabili. In ogni menzogna si trova insomma un granello di verità, se non altro il fatto che sia stata raccontata è comunque reale, può far nascere in noi delle domande, così come del resto ogni notizia autentica si può interpretare in molti modi, secondo come viene contestualizzata. Non dobbiamo quindi partire dal presupposto che una notizia debba essere per forza vera o falsa, ma osservarla da diversi punti di vista e rapportarla sempre alla nostra esperienza diretta, per verificarne in primo luogo la coerenza interna prima di approfondire.
L’intervista a Zhon Nanshan
Partiamo allora dall’articolo trovato sul giornale, immaginiamo di voler trarre il massimo del contenuto da quello che stiamo leggendo prima ancora di approfondire cercandone altri, iniziamo dai dati concreti. L’epidemiologo cinese Zhong Nanshan, quello che scoprì la Sars nel 2003, è stato intervistato dalla CNN e ha dichiarato che la maggior parte delle persone residenti in Cina, non avendo contratto il virus, sono ancora esposte, non si è ancora conseguita l’immunità di gregge. Certo non sappiamo ancora se i dati giunti a noi, siano quelli dichiarati dall’intervistato o quelli riportati dalla CNN, siano attendibili, ma intanto possiamo collocarli in una dimensione più ragionevole partendo dal presupposto che una dichiarazione ufficiale, da parte di un portavoce governativo a una televisione estera, è pubblica, quindi ha un significato prima di tutto istituzionale. Reale è il fatto che quella comunicazione sia stata rilasciata, o meglio che qualcuno ci racconti di averla ricevuta.
Dal titolo al contenuto
Bene, ora contestualizziamo i dati. Il numero delle persone interessate dalle nuove misure di sicurezza in Cina è riferito a tre regioni del paese, Liaoning, Jilin e Heilongjiang, dove la scoperta di nuovi focolai d’infezione ha portato il governo a chiudere le scuole, sospendere il trasporto pubblico, mettere in quarantena ottomila cittadini solo a Jilin, isolamento in ospedale a chiunque da quella città giunga a Shenyang. I bambini che giocano all’aperto indossano le mascherine (dunque si può giocare all’aperto!), gli operatori sanitari camminano con indumenti protettivi. Non un lockdown totale come quello di Wuhan nelle prime settimane, ma una restrizione selettiva e un’allerta sanitaria, com’è nella natura del socialismo cinese che prevede una confluenza di tutte le energie dello stato verso la soluzione di problemi comuni. Per intenderci, le regioni del sud cinese non si pongono il problema di farsi restituire la cassa integrazione o le spese sanitarie impiegate per curare quelle del nord, proviamo a immaginare se in Europa tutto questo fosse possibile! Quanto inferiore sarebbe l’impatto della pandemia, quante infezioni, quanti morti in meno, quante aziende salvate dal fallimento.
Contestualizziamo i dati
Ma torniamo all’articolo sulla situazione in Cina. Per prima cosa localizziamo sulla mappa la regione di Jilin per capire dove si trovi rispetto a Wuhan, proviamo a ‘misurare’ la stessa distanza rispetto a luoghi che conosciamo per esperienza diretta: stiamo parlando di 22 ore di viaggio, più di 2000 chilometri tra l’una e l’altra città, più o meno quel che separa noi da Kiev, la capitale dell’Ucraina. In secondo luogo, dovremmo verificare la densità di popolazione della regione cinese, a Jiling 144 abitanti per chilometro quadrato, a Liaoning 299, Heilongjiang 83. Confrontiamola con la densità di popolazione della sola Lombardia, 422 abitanti per kmq, o di Kiev addirittura 3464, le proporzioni sono molto diverse. Dovremmo tener presente anche l’estensione geografica delle tre province cinesi interessate dal fenomeno, stiamo parlando complessivamente di 1129 chilometri comodamente percorribili in 15 ore e mezza, praticamente l’intera regione che si trova al confine nordorientale con Siberia e Corea del Nord, un totale di 793.300 kmq per 109,46 milioni di abitanti; considerando che l’Italia si estende su 301.338 kmq per 60,36 milioni di abitanti, è evidente che stiamo parlando di un territorio pari a quasi tre volte tanto di estensione, per il doppio della popolazione rispetto all’Italia. Questi dati li possamo trovare facilmente in rete, non abbiamo bisogno di intermediari.
L’esperienza diretta
A questo punto, dobbiamo ricorrere all’esperienza diretta, fare appello al buon senso. L’articolo parla di 100 milioni di persone in lockdown, dunque il titolo è fuorviante perché lo abbiamo visto, si tratta piuttosto d’un allarme sanitario con restrizioni parziali all’insorgere dei primi casi, limitazione agli spostamenti, scuole chiuse e 8000 persone in quarantena isolate negli ospedali. Quel che però traspare in modo evidente, nella dichiarazione pubblica rilascita dall’epidemiologo intervistato dalla CNN, è che un portavoce istituzionale della Cina stia mostrando la coerenza e l’unità del suo paese rispetto alla soluzione del rischio pandemico, in un territorio più vasto dell’Europa, con una popolazione pari a un terzo dell’intera umanità, in cui vengono adottate strategie condivise, realmente collettive, mentre noi continuiamo a ragionare come entità distinte, in competizione tra loro, incapaci di trovare soluzioni comuni a problemi comuni. Se pensiamo che in Italia abbiamo una regione indagata per aver consapevolmente (e provocatoriamente) contravvenuto alle indicazioni nazionali, causando migliaia di decessi, o che in Gran Bretagna, distante da noi come Wuhan da Jilin, si è discusso fino all’ultimo se fosse opportuno o meno ricorrere al lockdown nel pieno del contagio epidemico e dopo aver già visto quel che era accaduto negli altri paesi, o che la solidarietà dal parlamento europeo si sia poi ridotta a prestiti finanziari, quel che traspare dall’articolo, in cui si riporta una dichiarazione pubblica rilasciata da un portavoce levantino a una televisione britannica, è un atteggiamento assai diverso.
Un granello di verità
Può darsi che a una ricerca più approfondita emergano altre incongruenze nella fonte qui presa in considerazione, si potrebbe proseguire ad esempio raccogliendo le varianti del racconto, ovvero come siano state riportate le dichiarazioni dell’epidemiologo nelle diverse fonti, sui giornali, in televisione, nei blog, o ricostruirne la biografia, ma non era questo l’intento dell’articolo, quel che risulta a noi è la differenzza sostanziale tra le dichiarazioni rilasciate dal portavoce della Cina e quelle rilasciate dal primo ministro inglese in piena pandemia, o dal parlamento europeo, o dal governatore della regione Lombardia. Volevamo semplicemente mostrare come si possa ottenere un granello di verità da un deserto d’incognite, contestualizzando i dati e partendo dal presupposto che l’informazione è narrazione. Non dobbiamo chiederci se sia vero quel che mi raccontano, ma chi racconta cosa e perché. a partire dalle piccole certezze, possiamo ricostruire quadri più complessi, ma questa è già un’altra storia e se rileggete nei capitoli addietro, ve labbiamo già raccontata