Fake News Tutorial. La foto dei bambini al museo. Rapiti dall’androide.
Rapiti dall’androide
In che senso questa foto è vera?
In questo capitolo parleremo di un’immagine che ha girato per un po’ nella rete e nei gruppi di discussione, in cui si vedono alcuni bambini a capo chino sul cellulare nel museo di Amsterdam. Il ‘topos’ narrativo è quello della tecnologia che rapisce i nostri figli, disinteressandoli alla realtà, come un pifferaio magico che li affascina col suono del suo strumento e li guida in processione sopra una montagna dalla quale non faranno più ritorno. E’ un racconto fantastico, quello associato alla foto, una favola, che non basta smentire ma dovremmo piuttosto chiederci cosa voglia raccontarci. Ma andiamo un passo alla volta.
FAKE NEWS TUTORIAL
Questo articolo è in risposta a diverse segnalazioni riferite a un pezzo firmato da David Puente per Debunking.it, nel quale si commenta un altro articolo apparso sul Medium di Jose Picardo rispetto a una foto divenuta molto popolare: quella dei bambini nel museo di Amsterdam che anziché guardare il quadro stanno a capo chino sul cellulare. Come vedremo, l’ansia di smentire ‘bufale’ vere o presunte non porta sempre a una sola ‘verità’ uguale per tutti.
SUPERFICIALITA’ O SENSO COMUNE
Il fatto all’origine dell’equivoco è tutto sommato banale, il Rijksmuseum di Amsterdam ha adottato, come molti altri stanno da tempo sperimentando, l’uso della tecnologia android per le visite guidate: i bambini delle scuole, trovandosi davanti a un quadro Rembrandt, consultano sul loro cellulare la voce dell’assistente e la presentazione in video di quanto è davanti ai loro occhi; un passo avanti nell’uso consapevole della tecnologia al servizio della cultura e non del puro intrattenimento disimpegnato, così spiegano i debunkers, convinti forse di aver ‘svelato’ la verità agli occhi di tutti, ma nello stesso tempo, diremmo noi, un passo indietro rispetto alla personalizzazione dei percorsi d’apprendimento e all’elemento umano, se non stiamo attenti a come usare questi nuovi strumenti. Dall’android nel museo alla DAD, la didattica a distanza che rischia di trasformare tutti i bambini in monadi isolate nei loro appartamenti, il passo è terribilmente breve.
L’applicazione del museo olandese infatti non è isolata, sempre più numerose le ‘communities’ di guide turistiche dove si costruiscono presentazioni in video o gallerie d’immagini con brevi commenti per accompagnare i turisti nei loro viaggi, sostituendo molto spesso in questo modo le più costose, ma anche più competenti e approfondite, competenze professionali. A parte il danno su queste ultime, che col tempo finiranno per essere quasi percepite come ‘superflue’ da tanti viaggiatori e dunque si ritroveranno ingiustamente svalutate anche sul mercato del lavoro (come nella vertenza Uber sui tassisti fai-da-te), il problema avvertito dai tanti che si sono espressi in modo scettico a riguardo è nel livello personale della guida umana, che non ripete sempre la stessa lezione in modo identico per tutti, ma ogni volta sviluppa un discorso in evoluzione, aggiungendo, togliendo, adattandosi ai presenti, rispondendo alle loro curiosità, ai loro dubbi e così via. Un po’ come nel caso delle fiabe raccontate dal mangiadischi e non più dalla voce di un narratore familiare al quale si possano rivolgere domande, prendendo parte attiva al rituale narrativo.
Non è il caso specifico di Amsterdam, dove l’uso dell’applicazione è affiancato da una guida reale, ma i commenti sotto all’immagine che in questi giorni ha circolato nel mondo dei social networks non sono riferiti al contesto reale del museo olandese, bensì alla sua interpretazone allegorica: la foto è volutamente decontestualizzata, anonima, interpretata quindi non nel senso del reportage giornalistico, ma come un’allegoria del reale, l’interpretazione di quella realtà offre in questo caso lo spunto per una lettura alternativa dell’immagine, alla quale forse chi l’ha messa in giro per primo non aveva pensato: bambini e ragazzi vengono sempre più spesso lasciati in balìa dello schermo, come vent’anni fa lamentava il filosofo Karl Popper denunciando il fenomeno della televisione bambinaia e Pier Paolo Pasolini quando ne prevedeva la distruzione del senso della socialità, della famiglia, dell’educazione, per non parlare del lavoro di sensibilizzazione svolto proprio in questi ultimi anni da Renato Curcio, di cui con l’occasione segnaliamo in lettura La società artificiale, miti e derive dell’impero virtuale.
E’ ormai noto che lo sviluppo tecnologico può implementare l’esperienza e che va affiancato dalla figura umana altrimenti finisce per impoverirla, non per migliorarla, questo il senso delle obiezioni, che non riguardano ovviamente il Rijksmuseum ma rappresentano per noi il sintomo di un problema più ampio: l’impressione che prima o poi si pensi di poter sostituire la realtà con la sua mimesi o come direbbe Schopenhauer, la volontà con la rappresentazione, sarebbe la morte della civiltà ed è esattamente quel che l’impero virtuale sta perseguendo con sorprendente brutalità. Il senso comune lancia quindi un allarme non tanto sull’ideale del progresso civile, ma sul pericolo della distopia tecnologica. Ciò nulla toglie naturalmente al prezioso lavoro di Puente e Picardo, che pur mantengono desta l’attenzione sull’altro aspetto della controversia contestualizzando l’immagine, nello stesso tempo la lettura allegorica vuol dare uno stimolo a guardare oltre: i nostri figli trascorrono troppo tempo davanti al video, copiano e incollano le loro ricerche per la scuola senza porsi domande sulle cose che leggono, lo vediamo ogni giorno coi nostri occhi. La foto se letta in questo senso è più vera del vero. In altre parole questo è un caso tipico in cui il confine tra realtà e mistificazione si fa particolarmente sottile, nel senso che se pur falsa risulta la notizia, nel momento in cui viene contestualizzata, se la interpretiamo non nel senso della verità giornalistica ma in quello allegorico della satira di costume, la storia che racconta è terribilmente autentica, se vogliamo potremmo classificarla tra le numerose varianti moderne della leggenda del pifferaio magico. E’ una fiaba, ma parla della realtà. Una realtà diversa da quella ritratta nella foto, ma pur sempre una realtà.
Un caso tutto sommato simile a questo si è verificato quando nel pieno della pandemia mondiale del Coronavirus, ha iniziato a circolare la foto di un leone a spasso per la città, con la falsa notizia di Vladimir Putin che avrebbe sguinzagliato 500 bestie feroci liberandole nelle grandi città russe per convincere i cittadini a stare in casa. Un falso, lo sappiamo: erano le immagini scattate in Sudafrica durante le riprese di un film e poi decontestualizzate, ma la domanda corretta da porsi non è se la foto sia reale, bensì chi l’abbia messa in circolazione e perché, ovvero cosa voglia realmente dirci. Nel caso del leone, tutto era partito dalla satira (politica) indiana, che affiancava numerose interpellanze partite dall’opposizione al Cremlino, ovvero il partito comunista russo e l’alleanza dei medici, nel sostenere irresponsabile da parte del governo sottovalutare il pericolo del contagio, nascondendo il dato reale delle infezioni.
A quel punto la foto, sempre in India, ha iniziato a prendere un percorso inaspettato, ovvero qualcuno l’ha spacciata per vera, manipolando il meme e decontestualizzandolo a sua volta. Tanto che il 23 marzo il ‘Times of India’, giornale indiano in lingua inglese, ha ritenuto di dover tranquillizzare i cittadini sul fatto che la notizia non fosse vera. Dovremmo semmai chiederci come questo possa essere avvenuto, difficile attribuirlo solo all’ignoranza di un cronista, o alla credulità popolare, la presenza di più versioni del meme confermerebbe che quacuno ha fatto consapevolmente delle ‘prove’ per rendere l’immagine più convincente. Ma non in Russia e non per un pubblico russo, dal momento che non ne risultano riproduzioni in lingua differente dall’inglese. Si direbbe che qualcuno abbia volutamente deformato l’originaria satira contro Putin per rivolgerla piuttosto ai metodi (cosiddetti) ‘buonisti’ in uso nei paesi democratici, contro i quali si è scagliata con violenza la polemica sovranista durante il lockdown in Europa, vedi le dichiarazioni controverse e rilasciate alla stampa italiana da personaggi come Matteo Salvini, Giorgia Meloni, o a quella inglese dal primo ministro Boris Johnson.
Nella stampa anglosassone la notizia dei leoni è stata ripresa niente meno che da Lord Alan Sugar, magnate bimilionario, storico finanziatore del partito labourista britannico, il quale avrebbe accusato nelle scorse settimane l’amministrazione Johnson di non prendere misure efficaci per tutelare la salute dei cittadini. Ancora una volta il riferimento di Lord Sugar alla satira indiana contro Putin, ha prodotto un ulteriore riverbero della manipolazione mediatica, portando altri giornali e siti amatoriali in Italia a occuparsi del caso. Dietro la foto del leone ‘ramingo’ per le vie di Johannesburg, decontestualizzata e rimessa in circolazione con titoli da ultim’ora, non è evidentemente solo pura e semplice disinformazione. Siamo di fronte a una favola allegorica, il mito del drago che infesta un villaggio, il feroce Kong scappato dal circo, un racconto usato in maniera diversa dalle tante fonti che lo hanno riportato, ma sempre con un sottotesto chiaramente politico, satirico.
CONSEGUENZE COGNITIVE
In conclusione, bisogna stare molto attenti a non lasciarsi prendere dall’ansia di smentire bufale vere o presunte rincorrendo l’illusione del pensiero unico e dogmatico, in cui una sola verità e una sola lettura possibile della realtà sono quelle ‘corrette’, mentre tutto il resto diventa necessariamente menzogna. Non è sempre così. I commenti alla foto rappresentano per noi un sintomo che di per sé non possiamo considerare negativo né positivo, ma segnala un tema di riflessione da tanti sentito come urgente. E’ una lettura simbolica della realtà nella quale si evidenzia un possibile rovescio della medaglia, non dimenticando quella nozione di ‘verosimile’ tanto cara a Luigi Pirandello, che nell’introduzione alla seconda edizione del Fu Mattia Pascal rispose a chi considerava assurda la vicenda personale del suo personaggio, citando un articolo apparso in un giornale diverso tempo dopo la pubblicazione, nel quale si riportava una declinazione reale di quella storia, avvenuta davvero.
Compito di un debunker dovrebbe essere in primo luogo distinguere tra disinformazione e riflessione critica, perché non tutti i pregiudizi sono sempre e comunque solo ‘idola’ da abbattere: a volte dietro l’idolo c’è un culto, dietro il culto un insegnamento, dietro la menzogna apparente una verità condivisa. Non al singolo commento dovremmo allora guardare, ma al clima complessivo che si respira nell’insieme delle testimonianze raccolte, le quali non vanno immediatamente connotate sulla base della nozione di bene o male, ma valutate per quello che rappresentano nel positivo e nel negativo, perché non piove mai con un vento solo. Impariamo a rapportarci con la molteplicità delle letture possibili. Rispetto alla foto dei bambini del museo di Amsterdam, non possiamo classificarla come ‘bufala’ per il semplice fatto che la foto è reale, quel che viene messo in dubbio nei commenti non è la qualità del contenuto ma la pervasività dello strumento tecnologico e il rischio di un collasso della realtà. Si può condividere o non condividere il punto di vista espresso in quei commenti, ma non lo si può considerare ‘irreale’.