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Empatia e attivismo. Il re nudo.

Ascolta il podcast di questo articolo

Empatia e Attivismo

Il coraggio di gridare che il re è nudo

Articolo di Federico Berti

E’ uno dei temi ‘caldi’, se ne parla spesso come di una panacea per tutti i mali della società: siamo abituati a pensare che l’empatia consista semplicemente nel sapersi mettere nei panni degli altri, comprendere i loro sentimenti, le loro emozioni, le loro idee, vivere in uno stato di connessione emotiva e cognitiva, rispondere fisicamente alle emozioni altrui, immaginare noi stessi al posto delle persone con cui entriamo in relazione.

Il problema è che sentire a volte non basta: quando è l’empatia a farci cogliere aspetti inquietanti nella persona che abbiamo davanti, nel riconoscere in questa un pericolo per sé stessa, o per la società, avvertiamo qualcosa di oscuro e profondo, qualcosa di inquietante, e ci preoccupa l’acquiescenza con cui talvolta si preferisce lasciar correre pur di evitare il conflitto, senza risolvere le questioni, senza nemmeno affrontarle. Magari, non se ne avverte il rischio potenziale.

In questi casi, l’empatia è l’anticamera dell’attivismo: se altri non si attivano, siamo noi a doverlo fare. Come il bambino della favola di Andersen, che ebbe il coraggio di gridare a tutti: “Il re è nudo!”, quando nessuno aveva il coraggio di farlo. Empatia è quella che porta l’uomo di Platone a rientrare nella caverna, per mostrare agli altri che stanno fissando le ombre della realtà proiettate sulla parete, ben sapendo che questo si ritorcerà contro di lui, perché nessuno gli crederà. Tanto è l’amore che prova per il prossimo suo (Eppur la nostra idea, è solo idea d’amor).

L’empatia in questi casi risolve in mobilitazione militante, quando un gruppo o una società rifiutano di affrontare i loro problemi più urgenti, le persone che ne avvertono la pericolosità non hanno altra scelta, se non quella di forzare il blocco dell’inerzia collettiva, favorendo l’evoluzione del sintomo in dramma sociale per attirare l’attenzione sulle questioni irrisolte.

A questo servono le manifestazioni di protesta e le diverse forme di attivismo, obbligare gli altri a prendere in considerazione quel che si sono rifutati fino a quel momento di riconoscere come il sintomo di un disturbo profondo.

In questo senso l’empatia non è sempre una forza positiva, non è sempre rose e fiori: può anche portare al risentimento o all’odio se non gestita correttamente, soprattutto quando si sceglie di prendere le parti in un conflitto. Come disse Gesù Cristo, “Son venuto a portare non la pace, ma la spada”. Questo perché l’empatia si può usare anche in modo scorretto, per manipolare gli altri, per dividerli e assoggettarli, per scatenare delle guerre, per influenzare le azioni o le opinioni a proprio esclusivo vantaggio.

Anche nell’empatia non si scappa dal relativismo, c’è chi si convince che un determinato individuo o gruppo costituisca un pericolo per la società e dunque si mette a perseguirlo, ostracizzandolo, convinto di agire nell’interesse collettivo. Così le collettività a volte si sbilanciano in favore di elementi divisivi, non volendone percepire l’azione corruttiva e distruttiva, allontanando anzi chi potrebbe costituire una risorsa, pur di non affrontare il problema, pur di continuare a lasciar correre, comportandosi come gli Indifferenti di Moravia, quelli che Gramsci tanto odiava. In questo modo si sfasciano le società, l’armonia viene a rompersi. Qualcosa nel gruppo si rompe, per non aver avuto il coraggio di quel bambino che aveva osato gridare pubblicamente: “Il re è nudo!”.

Se nessuno lo fa, qualcuno dovrà pur farlo.

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